Fate presto, la Supercoppa sta morendo
Cosa c'è da fare per salvare la Supercoppa Italiana, la competizione meno amata dagli italiani.
Possiamo dirlo senza timore di essere smentiti: l'edizione 2025 della Supercoppa Italiana è stata nel suo complesso divertente da seguire, forse persino anche per i tifosi interisti che, nonostante il supplizio di un Derby in finale perso in rimonta e in pieno recupero, non possono certamente dirsi di essersi annoiati. Non sono mancati i colpi di scena, così come gli spunti tattici interessanti, le belle reti e gli eroi memorabili, non è mancato il pathòs né tantomeno il thanatòs, almeno calcistico.
Abbiamo assistito, insomma, ad uno spettacolo gradevole, nei suoi alti e bassi, cosa non scontata quando parliamo di una competizione che sembra essere spesso vissuta dai tifosi, dalle squadre e e dagli addetti ai lavori come un impiccio, un contrattempo alla stregua di un appuntamento in banca o di una visita dal dentista fino ad almeno l'inizio del secondo tempo della partita finale.
Ma allora perché non sembra davvero importare a nessuno? Perché sembra quasi che l'intera opinione pubblica calcistica nutra del rancore nei confronti di quello che è pur sempre un trofeo da poter mettere in bacheca, di una competizione ufficiale che ci permette comunque di di guardare calcio (in genere) di alto livello e di poter seguire ancora di più la nostra squadra del cuore?
La risposta è molto semplice e molto complessa allo stesso tempo. Semplice perché è evidente, pleonastico: della Supercoppa non frega niente a nessuno perché è la sua configurazione ad essere pessima, lacunosa, ai limiti dell'improvvisato. Di converso, è una questione molto complessa perché il fallimento della baracconata che è l'attuale Supercoppa è da attribuire ad una serie di fattori fra loro eterogenei ma che contribuiscono a creare quel sentimento di forte disaffezione, per usare un eufemismo, nei confronti di una competizione che, senza arrivare all'esempio inglese, esiste in quasi tutti gli altri paesi europei e che non è vissuta con lo stesso senso d'insofferenza.
Proviamo allora a cercare di capire quali possano essere questi problemi, proviamo a ripensare, a riprogrammare in modo radicale o comunque innovativo una competizione che dovrebbe essere considerata a pieno titolo parte del patrimonio del calcio italiano e che invece, ogni anno che passa, è sempre più lasciata a sé stessa, cercando magari di pensare a qualche soluzione più originale, al limite della follia, che possa rendere la coppa più odiata dagli italiani un appuntamento d'avanguardia e di spettacolo.
2025: fuga da Riyad
Non ce ne vorranno gli amici sauditi, che del resto hanno dimostrato di condividere con il popolo italiano un assoluto disinteresse per la Supercoppa, ma la prima decisione da prendere per salvare questa competizione è quella di cambiare la location dell'evento, una soluzione che del resto è tanto scontata e necessaria per gli appassionati italiani quanto francamente improbabile in termini di attuabilità, visto il che la Lega Serie A e l'intero apparato istituzionale del calcio nostrano guardano ai petrodollari sauditi nello stesso modo in cui il Ragionier Fantozzi guardava le polpette di Bavaria del professor Birkermaier in Fantozzi contro tutti.
Ma, come del resto spesso accade, il fatto che l'intera organizzazione della Supercoppa sia orientata al tentativo di racimolare il più possibile dai munifici e magnifici sauditi ha svuotato la competizione di valore agonistico, ha reso la stessa un simulacro vuoto, qualcosa di più di quelle amichevoli che le squadre europee giocano in giro per il mondo durante la preparazione estiva.
Ma forse c'è anche qualcosa di più. Come dicevamo qualche giorno fa, la sensazione è che la Supercoppa Italiana, forse la più sacrificabile delle competizioni italiane ma non per questo da sacrificare, sia ormai diventata un'altra gabbia nello zoo dei dei ricchi sauditi, un prodotto realizzato e confezionato ad uso e consumo di un pubblico che per altro si dimostra disinteressato vista la sovrabbondanza di eventi sportivi a cui ha accesso durante tutto l'anno.
L'impressione è che la Supercoppa sia diventata l'equivalente dell'acquario dei pesci tropicali in questo giardino zoologico in mezzo al deserto: non solo l'idea stessa di questa cattività dorata e confortevole è sbagliata ma rischia di essere anche controproducente, al di là dell'incasso immediato, perché gli spettatori (paganti e pagati) non vogliono vedere i pesci esotici ma i leoni e gli orsi polari che, guarda un po' il caso, sono già in bella mostra nelle gabbie poco più avanti.
E allora che vantaggio possiamo trarre dagli stadi vuoti e silenziosi che ormai da due anni fanno da cornice alla final four, come possiamo pensare di rendere il prodotto Supercoppa appetibile e piazzabile su d'un mercato saturo come quello dello sport internazionale se attorno a Barella e Leao c'è lo stesso pubblico che si può trovare ad assistere alle partite tra scapoli e ammogliati del mercoledì sera sui campetti di provincia, con la differenza che i cori e gli striscioni degli amici del baretto e delle fidanzate sono sicuramente più originali e spontanei di quelle del pubblico saudita.
La freddezza della cornice, oltre ad essere pericolosa dal punto di vista commerciale, non fa altro che aumentare il senso di alienazione del pubblico nostrano nei confronti di qualcosa che sta cominciando sempre di più ad essere percepito ormai come un affaire saudita, uno dei tanti spettacoli fatto da ricchi, per i ricchi, che col calcio vero non ha nulla a che fare, non per questioni moralistiche o ideologiche ma perché posticcio e svuotato di appartenenza, agonismo e significato.
E allora l'incertezza sulla volontà dei sauditi di ospitare anche le prossime due edizioni della coppa dev'essere l'occasione per scappare a gambe levate e con le tasche piene da un pubblico che di caloroso al calcio italiano ha riservato solo il trattamento economico.
Ma dove fuggi? In Italia? Il ritorno della Supercoppa in patria rappresenterebbe probabilmente la soluzione migliore per rilanciare l'attenzione e provare a (ri)accendere l'interesse del pubblico italiano per la competizione. L'idea che una finale come quella tra Milan e Inter non si sia giocata in un San Siro gremito e inferocito ma piuttosto nella cornice che abbiamo appena descritto è emersa, da più parti, come un elemento penalizzante della capacità attrattiva della partita e della competizione, del resto anche a buon titolo. Ma è difficile immaginare che la Lega rinunci ad un suo vecchio pallino, ovvero quello di appaltare le partite italiane ad altri paesi e possibilmente in altri continenti, idea che De Siervo ha rilanciato anche di recente.
E allora, se fare le valigie è l'unico modo per rendere profittevole la Supercoppa, tutto sta nello scegliere il posto migliore, la location in grado di esaltare dal punto di vista visivo, ambientale e agonistico ciò che la competizione ha da offrire.
Armatevi di fantasia e immaginate un Derby d'Italia giocato alla Bombonera di Buenos Aires, ad esempio, oppure quello capitolino disputato in Marocco nel nuovo stadio più grande del mondo o in qualche altra località forse meno suggestiva ma comunque ben più accogliente e vogliosa di calcio e nello specifico di calcio italiano, vuoi per la forte presenza di discendenti italiani o vuoi semplicemente perché ci sia un pubblico che ha davvero voglia e fame di eventi sportivi di alto livello.
Cambiare aria non sarebbe la panacea di tutti mali, ma sicuramente rappresenterebbe un primo passo in grado di restituire dignità e attrattiva a quella che, in questo momento, può essere considerata poco più di una prestigiosissima amichevole.
Vento d'estate, voi che fate?
Il cambio di contesto sarebbe un primo passo molto importante nella giusta direzione, ma solo il primo. L'altra scelta necessaria per provare a salvare la Supercoppa Italiana è quella di riportarla nella cornice temporale che ha avuto per molto tempo prima della deriva saudita. Bisogna tornare a giocare la Supercoppa d'estate, ad inizio stagione, bisogna che la competizione torni ad essere il necessario prologo dell'annata calcistica, l'antipasto della Serie A in procinto di essere servita.
Perché anche la collocazione temporale della coppa ha avuto un ruolo importante nella dissociazione del pubblico dalla competizione. La sua versione invernale, immediato precipitato della sua organizzazione saudita, non solo ammorbidisce il significato simbolico di una competizione che nasce ed è pensata come sintesi di una stagione che, a questo punto, si è già chiusa da sei mesi ma nei fatti altera quella che è la percezione della Supercoppa stessa, che diventa sempre di più un impiccio del calendario per tifosi satolli di calcio giocato e di un campionato che nel frattempo procede senza soluzione di continuità, inevitabilmente influenzando l'interesse del pubblico in senso negativo.
Bisogna invece riportare la Supercoppa alla sua collocazione, più o meno, originaria cioè ad inizio stagione, quando le premesse mediatiche sono decisamente più favorevoli e propizie. Innanzitutto la versione agostana, come detto, permetterebbe alla competizione di riacquisire quel carattere di trait d'union tra la vecchia e la nuova stagione, di prologo e riepilogo allo stesso tempo dello sviluppo narrativo del calcio italiano. Può sembrare poco, ma quanto meno ci permetterebbe di superare quell'idea di una Supercoppa fuori dal tempo e dallo spazio, completamente avulsa dal contesto, di ridurre quella sensazione di essere davanti ad un torneo amichevole ad inviti disputato da squadre lì un po' per caso e un po' per blasone.
In secondo luogo, e in maniera ancora più incisiva, la Supercoppa agostana si collocherebbe nel momento in cui la fame di calcio del pubblico italiano conosce il suo apice, fino a raggiungere il parossisimo di amichevoli più seguite di partite o competizioni ufficiali.
Il fascino delle edizioni della Supercoppa del primo decennio del nuovo millennio era soprattutto legato al fatto che questa fosse la prima occasione (quantomeno ufficiale) per vedere all'opera la propria squadra e di valutare le rivali, osservare i nuovi acquisti e prendere confidenza con le idee dei nuovi allenatori, capire cosa potesse servire dal mercato e cominciare a farsi una prima idea su quali speranze e su quanta disillusione sarebbe stato lecito coltivare per la nuova stagione in procinto d'iniziare.
Bisogna dunque provare ad intercettare la domanda d'intrattenimento calcistico nel momento in cui è più forte piuttosto che dare in pasto la Supercoppa ad un pubblico che è sazio di calcio come di panettone e cotechino. Anche perché, e basti pensare al fatto che il Derby di Milano si rigiocherà già il 2 febbraio, in sé per sé la competizione non offre nulla di particolarmente nuovo o diverso rispetto a ciò che propone il campionato. Rendere quelle stesse partite, invece, il trailer della nuova stagione, darebbe loro un senso di esistere più ragionevole e immediatamente percepibile, qualcosa che in Inghilterra, ma soprattutto in Germania, hanno capito da molto tempo.
Aggiungi un posto a tavola
Quella vinta dal Milan è stata la seconda Supercoppa disputata con una formula allargata e anche su questo punto il pubblico italiano sembra essere stato a tratti molto critico a proposito di una struttura che, in fin dei conti, è stata pensata appositamente per vendere un pacchetto più grande di partite agli organizzatori e alle televisioni. Ma al di là delle motivazioni e del fatto che ciò abbia effettivamente allontanato la Supercoppa dalla sua struttura e finalità originaria, quella di mettere di fronte le due migliori squadre della stagione precedente, la formula a quattro squadre non è completamente da demonizzare, soprattutto in un'ottica di rilancio del prestigio e dell'interesse della competizione.
Il futuro della Supercoppa potrebbe essere quello di strutturarsi sempre di più come un torneo vero e proprio, organizzato sempre come una competizione ad eliminazione diretta e con un numero di partecipanti sempre limitato ma comunque ampliato. A maggior ragione se si decidesse di ripristinare la collocazione estiva, questa soluzione aggiungerebbe varietà al calendario calcistico un po' come accaduto all'NBA con l'introduzione dell'In Season Tournament, che ha riscosso un discreto successo proprio perché ha saputo coniugare un nuovo interesse nel pubblico con un maggiore dose di competitività e agonismo.
Stiamo qui entrando nel campo delle idee e delle possibilità, e ne siamo consapevoli. Però, considerando come difficilmente la Supercoppa tornerà mai ad essere la semplice sfida tra vincitrici dei titoli nazionali che è stata fino a due anni fa, tanto vale provare ad immaginare scenari futuri da gestire e organizzare piuttosto che mutamenti da cui essere travolti.
Una terza, vera e propria competizione nazionale, una sorta di coppa di lega che manterrebbe comunque le sue radici nella stagione appena conclusa, dunque. Il modello da prendere in considerazione potrebbe essere la vecchia DFB-Ligapokal tedesca, quel torneo che, a cavallo tra fine anni '90 e inizi anni '00, poneva di fronte ad inizio stagione, le vincitrici della Bundesliga, della Coppa di Germania, della Zweiteliga e le migliori classificate del campionato tedesco.
Una formula che potrebbe essere ripresa e rivisitata nel caso italiano e allargata alla partecipazione di otto squadre: le prime quattro della Serie A, le finaliste della Coppa Italia e le prime due della Serie B appena conclusa. Si tratta ovviamente di una proposta ardita, ma che andrebbe a rafforzare quella prospettiva della Supercoppa come prologo della nuova stagione. Pensiamo quindi ad un torneo autonomo ma non slegato dalle premesse contestuali che possa avere una dignità ed un prestigio decisamente diversi da quello che è la Supercoppa estemporanea attuale.
Si potrebbe immaginare a quel punto di mettere in palio anche un posto in Europa o Conference League, cosa che aumenterebbe ulteriormente l'interesse e l'intensità di un torneo che potrebbe significare un'ancora di salvezza per le big in difficoltà come l'opportunità per un exploit inatteso per le altre partecipanti. Ma la formula allargata porterebbe con sé anche altri vantaggi, a partire dalla possibilità di creare ulteriori intrecci tra squadre rivali e di livello, offrire nuove partite da seguire con attenzione pur rimanendo nel solco di una tradizione calcistica ben precisa. Verrebbe anche incontro alle già citate esigenze economiche e commerciali della Lega, che si ritroverebbe per le mani un prodotto unico a livello europeo.
Si tratta di una soluzione fantasiosa e di difficile realizzazione, che potrebbe incontrare delle resistenze su più livelli. Ma del resto, la Supercoppa continua ad essere intrinsecamente un blocco d'argilla, qualcosa da plasmare e immaginare anche con audacia e novità, più di quanto si possa fare con le altre due competizioni nazionali, così difficili da riformare nonostante le buone intenzioni e le esigenze. Indietro non si torna, per ciò non resta che prepararci ad andare avanti e sperare che il tempo, e le giuste decisioni, siano gentili con una competizione come la Supercoppa, così bistrattata eppure così ricca di potenzialità e opportunità.
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