Liberato III canta Napoli, dal barocco al futuro
Il terzo album di Liberato riesce a tenere insieme le mille sfaccettature di Napoli senza cadere nello stereotipo
Napoli è una città troppo complessa per ridurla a una serie di fenomeni macchiettistici, anche positivi: maschere, vicoli, linguaggi, attori, poeti e cantanti, uno spago da cui si può srotolare un intero cuore, tutte immagini trite che descrivono solo qualche lato delle sue infinite sfaccettature. Lì, c'è tutto ciò che l'umano possa immaginare, dall'atto più brutale alla sublime bellezza, come in un grande palcoscenico in cui viene messa in scena la realtà. Quartieri dove la storia ti sfiora, decadente, nella sua struttura, aggiustata alla bell'e meglio per farne abitazione del popolo, perché è a esso che appartiene ed è esso che l'amministra, luogo dove l'oppressione del potere ha generato un contro-potere opprimente, ma anche metropoli moderna e capitale turistica, nido di contro-culture e di nuove tendenze, sempre in tensione tra reazione e mutamento, dinamismo e staticità, tradizione e innovazione.
Proprio questa anima moderna e di tendenza, che piaccia o meno, è ciò che tiene ancorato Liberato alla tradizione napoletana profonda, rivelata negli innumerevoli riferimenti alla cultura locale che l'o stesso l'artista incappucciato ha sempre inserito nei suoi brani. In Liberato III, il nuovo disco uscito il 31 dicembre dopo due anni e mezzo di attesa, i rimandi alla tradizione napoletana caratterizzano soprattutto due di pezzi, forse i più significativi dell'intero album: "Turnà" e "A Fotografia". In questi brani le sfaccettature richiamano la Napoli reale, la Napoli Milionaria, la Napoli neomelodica, la Napoli cantautorale e raccolgono in un abbraccio le tantissime angolazioni da cui possiamo vedere una città mutata enormemente nel corso degli ultimi anni, volgarizzata dal turismo, esaltata negli occhi dei tantissimi corpi che l'attraversano, molto spesso senza la necessaria consapevolezza di ciò che essa nasconda sotto le sue fondamenta.
Teresa De Sio è una delle figure di spicco del cantautorato napoletano. Nel 1982, all'interno del suo secondo album, realizza il brano più noto della propria discografia, poi diventato un manifesto della sua città insieme a "Napul'è" di Pino Daniele: "Voglia e turnà". Liberato campiona il ritornello immortale di questa canzone e, sapientemente, lo ricicla come introduzione al brano di apertura dell'album e primo singolo estratto. Turnà è un richiamo per chiunque sia dovuto emigrare, tema intergenerazionale ed endemico a Napoli e in tutto il sud Italia. Per descrivere l'amore e la nostalgia avvolgente per le due anime della città, sceglie di affiancare due figure lontanissime una dall'altra - Salvator Rosa, pittore e poeta napoletano del Seicento - e Ciro Rigione - cantante neomelodico contemporaneo di enorme successo popolare - come emblema del rapporto di Napoli (e della sua popolazione) con l'arte.
A Fotografia è invece l'omaggio a uno dei più grandi drammaturghi, poeti, e sceneggiatori napoletani, italiani e mondiali: Eduardo De Filippo. Superfluo elencare le opere di questo gigante dal corpo minuto e dal viso scavato ma, in questo caso, è necessario citarne una in particolare, Napoli milionaria. Questa commedia, la cui battuta "Ha dda passà 'a nuttata" è entrata ormai nella parlata nazionale, viene descritta così dallo stesso Eduardo "Poche settimane dopo la liberazione mi affacciai al balcone della mia casa di Parco Grifeo, e detti uno sguardo al panorama di questa città martoriata: allora mi venne in mente in embrione la commedia e la scrissi tutta d'un fiato, come un lungo articolo sulla guerra e le sue deleterie conseguenze". Da Napoli milionaria Liberato estrae il mantra collettivo di chi viveva sotto le bombe, la preghiera salmodiata dal popolo vittima della guerra: "Diasillo Diasillo signore pigliatillo per la tua somma potenza dacci un segno di clemenza". Altro brano da segnalare, in breve, è Essa, unico featuring, proficua collaborazione con l'attrice e cantante Maria Nazionale.
Liberato spacca il purismo del cantautorato napoletano e della sua tradizione musicale centenaria: fenomeno costruito e utile solo a racimolare royalties e saccheggiatore irrispettoso della tradizione oppure artista generazionale e avanguardia di una nuova stagione della canzone partenopea? Quel che è certo è che, dopo l'ascolto, rimangono i molti spunti su cui ragionare offerti dai suoi testi - lo spaccato umano raccontato con disincanto, guardando la città senza darne una connotazione - insieme a ritmi e melodie che è difficile levarsi dalla testa. Il giudizio estetico rimane delegato all'orecchio di ogni ascoltatore, ma è sicuro che sottolineare il legame tra l'arte della Napoli contemporanea e quella della tradizione secolare - Salvator Rosa, Eduardo De Filippo, Teresa De Sio - è un'operazione più utile di quello che si possa pensare, anche in opposizione al racconto macchiettistico che sta trasformando molte zone della città in un'enorme friggitoria a cielo aperto ad uso e consumo dei croceristi.
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