La sindrome del fischietto
Perché in Italia non smettiamo di parlare di arbitri?
Succede ogni maledetta domenica. La partita finisce al triplice fischio, ma lo spettacolo è appena cominciato: seguono ore di talk show, post-partita infuocati e infinite discussioni. Non sul gioco, ma sugli arbitri e sulle loro decisioni.
Le polemiche ormai accompagnano ogni singolo match. A fomentarle non sono tanto allenatori o calciatori, quanto giornalisti e opinionisti: matita blu in mano, sottolineano gli errori delle terne e puntano il dito contro il VAR, aizzando proteste bipartisan e spingendo i tifosi sul piede di guerra. Alcuni magazine sportivi hanno persino creato delle rubriche dedicate agli episodi controversi di ogni partita, con tanto di classifiche rivedute e corrette.
Tutta questa attenzione non fa bene a nessuno. Ormai i tifosi controllano prima degli incontri chi sarà il direttore di gara, e gli arbitri sembrano sbagliare sempre di più, per paura di finire impallinati da giornali e TV oppure, se vogliamo pensar male, per attirare l'attenzione su di sé. I numeri, poi, non mentono: dall’inizio della stagione, i promossi sono davvero pochi.
Gli arbitri in Serie A: promossi e bocciati
Il migliore resta Guida, impeccabile in Inter-Juventus, anche se il rigore assegnato durante Lille-Atlético Madrid in Champions, fischiato contro i colchoneros, continua a far discutere. Bene anche Doveri, che in Napoli-Atalanta non è stato perfetto ma ha saputo contenere i danni. Fabbri, Sacchi e Mariani rimangono in scia. Per gli altri, insufficienza piena.
Sul web è un delirio. Tutti contro tutti, dai tifosi del Venezia a quelli dell’Inter, per non parlare di bergamaschi e napoletani, rispettivamente primi e secondi in classifica. A proposito di Inter-Venezia, Maria Sole Ferrieri Caputi è stata aspramente criticata, non solo per la gestione, ma anche per un presunto “gap fisico e atletico” rispetto ai colleghi uomini. “La parità di genere a certi livelli è fisicamente impossibile,” si legge in uno dei tanti commenti. Di nuovo, dopo Bologna-Monza, su X e BlueSky è riecheggiato il solito ritornello: “Non ho nulla contro gli arbitri donna, ma…”
La Serie A, per le donne, resta un campo minato. Ferrieri Caputi non era certo sola in Inter-Venezia: accanto a lei, gli assistenti Prenna e Cavallina, Tremolada come IV uomo, Marini al VAR e Chiffi all’AVAR. Il risultato: tre ammoniti (Pavard, Frattesi e Zampano), sette minuti di recupero e due episodi che hanno alimentato il dibattito per giorni – un rigore negato e un gol annullato. E pensare che il VAR era stato introdotto proprio per mettere fine alle polemiche...
L'arbitro, il VAR, l'errore umano
Ma il VAR, di fatto, è lontano dall’essere una garanzia di oggettività. La decisione finale spetta sempre all’arbitro, ma il controllo può essere richiesto dal VAR o direttamente dal direttore di gara. Nel primo caso, è il responsabile della moviola a segnalare l’errore tramite microfono; nel secondo, l’arbitro può scegliere di visionare il replay o affidarsi al VAR per rivedere l’episodio e comunicare la decisione.
Come ha ammesso lo stesso designatore arbitrale Gianluca Rocchi negli studi di Sky: "Il ruolo del VAR è ridurre l’errore clamoroso, intervenendo su episodi importanti. Ma ricordiamoci che è tutto soggettivo… perché al tavolo ci sono sempre persone. Il VAR non ha sempre la risposta giusta: l’obiettivo è trovare una linea il più uniforme possibile.” Sembrerebbe, invece, che con il VAR le polemiche siano addirittura aumentate.
Lo scorso gennaio, un presunto arbitro di Serie A è apparso in anonimato a Le Iene, denunciando quelle che ha definito “gravi anomalie del sistema arbitrale in Italia”. Intervistato da Filippo Roma, il misterioso direttore di gara ha puntato il dito contro una serie di errori, a suo dire inspiegabili, commessi sia in campo che al VAR durante il campionato in corso.
Tra gli episodi citati: il rigore negato al Bologna in Juventus-Bologna del 27 agosto 2023, il fallo di mano di Pulisic prima del suo gol in Genoa-Milan del 7 ottobre 2023 e il contatto tra Bastoni e Duda in Inter-Verona il 6 gennaio 2024, avvenuto poco prima del contestatissimo gol nerazzurro. In tutti questi casi, sosteneva l’anonimo, non erano stati solo gli arbitri in campo a sbagliare: anche il VAR, nonostante immagini chiare, avrebbe “perseverato nell’errore”.
La puntata aveva richiamato l’attenzione di tutta l’Italia calcistica, con tifosi e addetti ai lavori intenti a cercare di identificare questa “gola profonda”. L’Associazione Italiana Arbitri, però, non ha tardato a rispondere, difendendo l'operato di Rocchi e pubblicando un comunicato ufficiale: “Le accuse lanciate sono inaccettabili, illazioni prive di fondamento. Chi ritiene di avere elementi concreti si faccia avanti seguendo i canali ufficiali e porti le prove.”
Alla fine, rileggendo il regolamento e rivedendo gli episodi incriminati, il caso si è sgonfiato come una bolla di sapone. Non prima, però, di aver attirato ascolti record e generato un’ondata di hype tra TV, stampa e social network.
Arbitri e TV: le relazioni pericolose
La liason tra arbitri e TV è una storia piuttosto recente, cominciata nel febbraio 2021, quando Daniele Orsato è intervenuto come ospite nello storico programma Rai 90° Minuto, a ventiquattro ore da una direzione in campo nella stagione di Serie A in corso. Un evento che, per il mondo arbitrale, fu una vera e propria rivoluzione: mai prima di allora un direttore di gara ancora in attività aveva messo piede in uno studio televisivo. L’operazione, fortemente voluta dall’AIA e dal neo-presidente Alfredo Trentalange, puntava a fare sentire finalmente la voce degli arbitri e a rendere il loro mondo un po’ più trasparente.
Ma, in fondo, si sa: per gli italiani, la polemica è un guilty pleasure, ed è andata a finire com'era prevedibile. Oggi ci sono programmi TV in cui gli arbitri intervengono da protagonisti o come ospiti fissi per commentare episodi di gara e decisioni arbitrali. Un esempio è Open VAR, trasmesso da DAZN ogni domenica sera, dove si analizzano i casi più discussi del weekend calcistico con il contributo di ex arbitri e moviolisti, per chiarire decisioni controverse e avvicinare tifosi e istituzioni arbitrali.
In realtà, però, il format si trasforma spesso in un tribunale televisivo, dove si passano ore a vivisezionare episodi arbitrali alla ricerca di alibi per giustificare sconfitte o prestazioni scadenti. Il tutto, naturalmente, a scapito di analisi tattiche o tecniche ben più interessanti, sacrificate in nome dell’audience.
C'è vita oltre la polemica?
In definitiva, il VAR, da strumento nato per placare le polemiche, è diventato l’ennesimo pretesto per alimentarle. Tra un uso spesso incoerente e la tendenza a interpretare le regole più che applicarle, il vero problema non è solo tecnologico: è culturale. Continuare a vedere gli arbitri come burattinai in grado di decidere le sorti delle squadre – e a volte lasciarglielo credere – non fa bene a nessuno, né al gioco né a chi lo vive.
Forse è il momento di fare un passo avanti, accettando che l’errore umano farà sempre parte del calcio ma, al tempo stesso, investendo in formazione, dialogo e vera trasparenza. Per esempio, perché non accompagnare le scelte del VAR con spiegazioni chiare da parte di commentatori preparati o con interventi post-gara in contesti meno tossici e conflittuali?
Personalmente, non sono entusiasta del calcio moderno. Tuttavia, visto che i cambiamenti sono fisiologici e inevitabili, non sarebbe male se fossero in meglio.
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