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Mike Tomlin Pittsburgh Steelers
, 21 Dicembre 2024

Mike Tomlin lo ha fatto di nuovo


Da 17 stagioni come coach di Pittsburgh, gli Steelers concluderanno anche questa regular season con un record ≥ 50%.

Nella seconda settimana della stagione 2024, i Pittsburgh Steelers sono volati a Denver, per sfidare i Broncos. Sul campo, gli ospiti hanno vinto 13-6, in una di quelle sonnolenti partite di inizio stagione di NFL, in cui le tante novità all’interno di entrambe le squadre possono ingolfare i motori. La stagione era iniziata per gli Steelers come per i Broncos con un significativo rinnovamento nella posizione più importante dell’attacco: dopo la disastrosa esperienza con Russell Wilson, coach Sean Payton si ritrovava con un rookie, Bo Nix, come passatore per la prima volta nella sua carriera; a Pittsburgh, ceduto Kenny Pickett, idolo delle folle locali ai tempi dell’università con i Pittsburgh Panthers ma incapace di volare alle stesse altezze tra i professionista, la stagione aveva inizio con l’ex Chicago Bears Justin Fields titolare.

Eppure, a fine partita, il coach degli Steelers Mike Tomlin, incaricato di assegnare il pallone della partita a un elemento cruciale nella vittoria della squadra, non si è rivolto al suo quarterback titolare. Tomlin ha consegnato il pallone all’allora quarterback di riserva – sarebbe diventato titolare verso fine ottobre – quello stesso Russell Wilson, ex inviperito dell’incontro dopo un biennio irrecuperabile a Mile High. Pur di liberarsi di DangeRuss, i Broncos avevano accettato di prendersi in carico $85 mln in dead money – la quantità di bonus già pagati a un giocatore ma che, essendo stati ammortizzati lungo tutti gli anni del contratto, continueranno a pesare sul salary cap della squadra - più del doppio della seconda cifra più alta mai presa in carico da una franchigia per svincolare un giocatore.

Interrogato dai media nel post-partita, Mike Tomlin ha chiuso la questione con un laconico Non posso darti tutti gli ingredienti dell’hot-dog. Potrebbero non piacerti”. Questo - i tifosi di Pittsburgh hanno imparato a conoscerlo - è un tomlinismo. Una lingua di fuoco che zittisce qualsiasi discussione prima ancora degli occhi severi – spesso nascosti da un paio di occhiali da sole – del nativo di Hampton, Virginia. Poche parole che sintetizzano oceani, espressioni lapalissiane ma che dovrebbero essere molto più comuni di quanto non siano. Nei suoi 17 anni alla guida degli Steelers, Mike Tomlin ne ha coniati molti – e il mio preferito è probabilmente C’è una sottile linea tra il bere vino e lo schiacciare l’uva.

Nel corso dei suoi quasi 18 anni in quel di Pittsburgh c’è un altro dettaglio che, ancora prima dei neologismi, ha segnato l’era Tomlin come un periodo felice nella storia di una delle franchigie più vincenti della NFL: gli Steelers non hanno mai terminato una stagione con più sconfitte che vittorie. Non ci sono più dita da incrociare (per quanto Mike Tomlin mi sembri l’essere umano più scevro dalla scaramanzia che sia possibile disegnare): la striscia positiva, iniziata con l’era Bill Cowher nel 2004, continuerà anche quest’anno. Con quattro gare ancora da giocare gli Steelers non solo sono 10-4, ma sono anche già automaticamente qualificati ai playoff e guidano dalla testa la lotta per la vittoria della propria Division, la AFC North.

https://twitter.com/NFLFilms/status/1864341420254863441
Lo stile motivazionale di Mike Tomlin nel match divisionale contro Cincinnati: assicurarsi che il ricevitore Pickens non esca con la testa dalla partita dopo un brutto errore, vederlo segnare nel drive successivo

Imperscrutabile, incredibilmente stiloso, una vaga somiglianza con Will.i.am: Mike Tomlin è, da quest’anno, l’head coach che da più tempo occupa la sua panchina in NFL. A 52 anni ha ancora tantissimo da dare allo sport e il suo approccio non solo sembra risuonare con i ragazzi della Gen Z che in sempre più casi si trova ad allenare, ma continua a rinverdire i fasti non solo di una franchigia, ma di un modo di intendere e praticare il football che ha nella City of Bridges la sua Mecca.

L’utilizzo del termine “operaio” per definire uno stile di gioco rude, che magari non si fa notare per scintillanti passaggi offensivi, è uno stereotipo brutto e anche abbastanza classista. Per quello che sappiamo, però, potrebbe aver avuto origine con i Pittsburgh Steelers. Pittsburgh è la città blue collar degli Stati Uniti per eccellenza, città di fabbriche, miniere, metallo e treni – ovviamente treni merci, di quelli per trasportare in giro per il paese ciò che la città estrae – e gli Steelers si portano quella tradizione nel nome e nel logo. Le tre simil-stelle – si dicono “astroidi” – sono le stesse dello steelmark, il logo che rappresenta l’industria del metallo di proprietà dell’American Iron And Steel Institute, e appare sugli elmetti dei giocatori – rigorosamente solo sul lato destro – dal 1962. Nello sport, gli Steelers lo condividono con la squadra di calcio cilena dell’Huachipato, fondata dai lavoratori dell’acciaieria di Talcahuano.

Nel 1969, Chuck Noll venne nominato capo allenatore di una franchigia che fino a quel momento aveva avuto poca gloria. Nel 1972, lo stesso anno in cui è nato Mike Tomlin, gli Steelers si qualificarono ai playoff per la prima volta in vent’anni. Da lì in poi avrebbero mancato la post-season solo in 19 stagioni su 52, vincendo 6 Super Bowl, e avrebbero pagato in tutto tre allenatori: il già citato Noll, in carica dal 1969 al 1991, Bill Cowher, in carica dal 1992 al 2006, e Mike Tomlin. Tutti e tre hanno vinto almeno un Super Bowl; tutti e tre hanno acquisito uno status leggendario con la franchigia, la più competitiva nell’era del Super Bowl; tutti e tre hanno messo al centro della squadra un’identità chiaramente definita, regalando alla città più blue collar del paese la franchigia che più di tutte ha saputo perfezionare quello stile di gioco che viene pigramente descritto come “operaio”.

Siccome il linguaggio è ciò di cui parla - nel senso che rappresenta esattamente, non più e non meno, ciò che ogni parola veicola nella nostra comprensione - allora ridefiniamo cosa voglia dire Steelers Football senza cadere nella banalità. Quello degli Steelers è lo standard, la lezione di eccellenza impartita da Chuck Noll, quella dei 4 Super Bowl nel giro di un decennio. E lo standard è lo standard, per dirla con il tomlinismo più famoso: sta fermo là, non cambia, non si abbassa, non modifica ciò che ritiene debba essere soddisfatto. L'espressione è già così chiara: lo standard è lo standard. Punto.

Le capacità descrittive di Mike Tomlin sono qualcosa che chiunque scriva non può non invidiargli

In difesa, lo standard è, data la storia della franchigia, il più alto possibile: nell’era del Super Bowl, gli Steelers hanno avuto la miglior difesa della NFL in 10 occasioni, quando nessun’altra franchigia arriva a 8. Ancora oggi, questo standard è garantito da giocatori come TJ Watt, perenne candidato al premio di DPOY – lo ha vinto nel 2021 – e sempre un terrore nei dintorni della linea di scrimmage, dove gli capita di divorare le opzioni offensive avversarie. L’outside linebacker - fratello minore di JJ Watt, ex leggendario defensive end e ora co-proprietario del Burnley - è 3° in NFL per sack, 2° per QB hits – quando il quarterback viene buttato a terra, ma a lancio già avvenuto – e 1° per tackle che hanno portato ad una perdita di terreno per gli avversari.

Watt è il tipo di difensore contro cui tutti gli attacchi devono prepararsi: è il singolo giocatore difensivo più raddoppiato dell’intera NFL. Come sottolineato da Olly Connolly, questo accade perché Watt non solo fa la differenza come edge rusher ma è anche “il difensore più distruttivo sulle corse” di tutti. Watt non è neanche tra i primi 3 pass-rusher della difesa Steelers per percentuale di duelli vinti, o tra i primi 4 per pressure rate. Gli attacchi avversari devono strutturarsi intorno a lui per provare a bloccare le sue giocate difensive ad alto impatto, e questo costringe a lasciare spazio al resto della terrificante lineup di Mike Tomlin, ai Cam Heyward, Larry Ogunjobi, Alex Highsmith e Nick Herbig, che devono giostrarsi i possessi in campo quando in gran parte delle altre franchigie sarebbero probabilmente i pezzi pregiati dell’intera difesa.

T.J. Watt is just relentless.Also how did Jalen Hurts hold on to this ball?!

Daniel Valente 🏈 (@statsguydaniel.bsky.social) 2024-12-16T15:43:38.869Z
Un orso tarantolato dall’istante dopo lo snap, TJ Watt divora avversari con la stessa facilità con cui Homer Simpson divora 64 sottilette

La difesa degli Steelers, che Mike Tomlin, ex specialista difensivo, ha affidato a Teryl Austin, ex coach della secondaria, non è una difesa particolarmente sexy. Connolly, con quello che potrebbe essere un tomlinismo, dice che “chiamano quello che chiamano”. Neanche l’ordine con cui i giocatori si schierano in campo viene modificato poi così tanto. Ma c’è talmente tanto talento, talmente tanta dedizione dal lato difensivo del campo – all’ultima trade deadline, Pittsburgh ha aggiunto ad una linea già incredibilmente talentuoso l’ottimo Preston Smith da Green Bay – da rappresentare una garanzia sufficiente di competitività per rimanere a galla in una division come la AFC North che, anche solo per le condizioni climatiche medie delle città che ospita, sembra adattarsi perfettamente a uno stile di gioco più pesante.

Nel 2023, la difesa era stata necessaria per trascinare ai playoff uno dei peggiori attacchi della NFL, quello più letargico dal punto di vista schematico, almeno fino al licenziamento del coordinatore offensivo Matt Canada, diventato il primo tecnico Steelers ad essere cambiato durante la stagione dal 1941. Quest’anno, con l’ex capo allenatore degli Atlanta Falcons Arthur Smith come play-caller, la squadra ha saputo risollevare un minimo la propria posizione, ma allo stesso tempo, vi è riuscita fondamentalmente facendo zag laddove il resto della lega fa zig. Nessuno in NFL spende tanto in difesa quanto gli Steelers, che vi riservano $138 mln del loro cap annuale, mentre solo squadre in totale fase di tanking come Raiders e Titans dedicano meno milioni al proprio reparto offensivo.

Russell Wilson, a cui Mike Tomlin ha promesso di ritrovare quei maledetti Monstars che gli avevano rubato il talento, è il caso più evidente. Gli Steelers hanno firmato l’ex stella dei Seahawks per un contratto al minimo salariale, eppure l’entità del rischio preso appariva ben superiore non solo al suo impatto sul cap, ma anche alle responsabilità che gli venivano caricate sulle spalle, di essere abbastanza competente da non mettere il bastone fra le ruote della difesa. Wilson ha soddisfatto in pieno, almeno in fase di stagione regolare, ciò che ci si aspettava: il suo stile di gioco ad alto rischio e la ricerca continua di explosive plays lo rende tanto discontinuo, ma la magia di questi Pittsburgh Steelers è che quando l’attacco fatica, la difesa può tenere il distacco abbastanza vicino che un paio di fiammate offensive possano bastare per rimettere tutto in carreggiata.

Adjusted EPA Leaderboard: How effective the plays each QB has been involved in have been after accounting for factors such as drops, dropped interceptions, and fumble recovery luck

Ben Baldwin (@rbsdm.com) 2024-12-18T15:27:50.940Z
Il Wilson del 2024 è sopra la media NFL per Expected Points Added per play, rinato dopo un 2023 negativo

Scommettere su Russell Wilson era un grandissimo rischio: i giorni migliori del nativo di Cincinnati sono già passati, e la sua personalità è quella di una persona che tende a separarsi dal resto delle terre emerse. Wilson è stato accusato di adottare una facciata di toxic positivity, una totale incapacità di guardarsi indietro e notare le proprie rovine, e in molti hanno criticato il suo approccio alla leadership, ritenendolo non in grado di avere una buona relazione con i propri compagni. Per quanto queste possano essere solo speculazioni, è certo vero che il quarterback che Mike Tomlin si è trovato ad allenare quest’anno ha avuto una fine relazione difficile e acrimoniosa con entrambe le altre due franchigie della sua carriera.

Per riuscire a costruire una squadra vincente partendo da queste basi, con un attacco inesperto – la cui stella è il receiver George Pickens, al terzo anno – e con unico veterano nelle skill positions un quarterback che ha storicamente avuto problemi di chimica con i propri compagni di squadra, il tema cruciale non è solo quello di giocare sui pregi dei propri giocatori chiave – con un quarterback da heat check e un WR1 che ama giocare sul lungo, questo vuol dire prendersi il rischio di tentare più giocate esplosive – ma è anche e soprattutto quello di incoraggiare, motivare i giocatori in una maniera che se non è nuova sia quantomeno nuova per loro.

In questo senso, Mike Tomlin è probabilmente – è difficile valutare qualcosa a noi così oscuro come le capacità motivazionali di un allenatore – il migliore della pista in NFL. Al Guardian l’ex tight end Heath Miller, che con Tomlin ha vinto un Super Bowl, ha definito così il suo stile: “Coach Tomlin ha la giusta quantità di fiducia in sé stesso, e questa tracima anche a tutti quelli nel roster. […] Onesto, aperto in quello che chiede ai suoi giocatori. Sa sempre trovare modi per motivare i singoli. Ed è diverso ogni anno. È diverso su una base individuale. È molto socievole e quindi impara a conoscere i ragazzi e a capire quali bottoni premere per questo giocatore e quali premere con quell’altro per tenerli motivati”.

Ci sono ancora tantissime domande sul potenziale di questa squadra all’ingresso della post-season. Quando, intervistato da Mina Kimes, il tifoso Steelers Dave Dameshek ha espresso le 3 ragioni per cui Pittsburgh potrebbe vincere il Super Bowl la prima era “perché qualcun altro potrebbe eliminare le squadre più forti”. Non esattamente il più lampante voto di fiducia nei destini di una squadra, anche considerato che il secondo punto (versatilità dell’attacco), è stato riconosciuto come uno dei segni dell’incostanza. Pur non avendo mai totalizzato un record perdente, è dal 2016, quando ancora a guidare l’attacco c’era il vincitore di due Super Bowl Ben Roethlisberger, che gli Steelers non vincono una partita di playoff.

È vero, insomma, che se non ci fossero quei primi 9 anni alle spalle, probabilmente si guarderebbero le ultime 8 stagioni dell’era Mike Tomlin in maniera diversa. La totale incapacità di uscire dal buco delle Wild Card sarebbe visto come un problema, e avrebbe portato da altre parti a un cambio al timone. Mike Tomlin, come tutte le persone di questo mondo, ha dei difetti. Nel primo tempo dell’ultima partita contro gli Eagles, Tomlin ha mostrato l’ennesimo caso di una difficoltà sistemica nel gestire l’orologio nei minuti decisivi di una partita. C’è anche l’impressione, sia in attacco, nell’era Canada, sia in difesa, che l’approccio tattico potrebbe essere più coraggioso, più innovativo, più in linea con i nuovi trend della NFL.

Allo stesso tempo, però, questa stagione ha mostrato degli Steelers competitivi come non lo erano da molto, per di più in una conference combattuta, dovendo giocarsi il titolo contro l’MVP della scorsa stagione, Lamar Jackson, e i suoi Baltimore Ravens – il secondo incontro tra le due è previsto per oggi, sabato 21 dicembre, con una sola vittoria a separare le due franchigie. Di fronte allo sprint cruciale per i destini della stagione, il periodo che sta per arrivare sembra proporci una finestra verso il futuro: c’è qualcosa di più, qualche speranza di più ampio respiro, dietro la striscia di record positivi dell’era Tomlin, o è fine a sé stessa? Il lavoro ottimo dell’ormai veterano delle panchine NFL può ambire a costruire qualcos’altro, un’altra contender, o tiene la franchigia in un limbo di assoluta rispettabilità ma con relativi margini di crescita? Questa è la NFL, una lega incredibilmente competitiva in cui anche solo essere molto bravi sul lungo periodo, alla fine, rischia anche di lasciare un sapore amaro in bocca.

  • Nasce nel 1999 in onore della canzone di Charli XCX e Troye Sivan. Nella sua mente ha scritto un libro su Chris Wondolowski, ma in verità usa quel tempo ascoltando Carly Rae Jepsen e soffrendo dietro a Green Bay Packers e Seattle Mariners

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