Giovanni Raboni e il calcio
"Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita": 25 anni di scritti di Raboni su e intorno al calcio.
A Giambattista, Riccardo e Teodora; esempio di come curar bene una biblioteca
Il rapporto tra calcio e letteratura è complesso. Antico quasi quanto il calcio stesso, pieno di abusi terminologici e retoriche vuote. Individuare libri, articoli o saggi di un certo spessore è sempre più difficile, eppure qualche luce si incontra ancora. "Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita. Scritti sul calcio 1979-2004" (Mimesis) rientra in quest'ultima categoria. È una raccolta di poesie, interviste e saggi scritti da Giovanni Raboni che indaga nel profondo il rapporto dell'autore col calcio, che come tutte le cose nasce a partire da un amore profondo. Per una squadra, prima ancora del gioco.
Raboni, insieme all'amico e collega Vittorio Sereni, era un assiduo frequentatore di San Siro, tifoso dell'Inter. Un tifo sofferto, dove le vittorie sono presenti ma non sono tutto. La passione nasce tramite la paura scampata, con la predilezione infantile e matura al tempo stesso per chi perde. La prima Inter che Raboni incontra è quella dell'immediato dopoguerra: una squadra in grossa difficoltà, dopo i fasti dell'Ambrosiana degli anni Trenta, distantissima dal Grande Torino e al margine della zona retrocessione. Farcita di sudamericani improbabili, ancora lontani Angelillo e Jair. Una passione pura, piena di mistero.
Giovanni Raboni non gioca a calcio, non è Pasolini, e non sa nemmeno se gli piace. Sebbene si definisca tifoso e osservatore di ogni luogo dove scorre una palla, perfino del campetto al parco. Il suo sguardo sul pallone è molto interessante, sorprendente. Lo dimostra un articolo sulla tragedia dell'Heysel, scritto a pochi giorni di distanza, che trova molte connessioni con quanto scriveva Nick Hornby in 'Febbre a 90': quei tifosi del Liverpool non sono mostri, non sono un'anomalia della società o del tifo di quegli anni. È una cultura da stadio che ci appartiene anche se non la pratichiamo. Raboni inserisce anche un altro aspetto che letto oggi fa impressione:
"È inutile perpetuare con ipocrisia l'immagine dello stadio come luogo di sana distrazione, di gioioso svago domenicale. Allo stadio non si va più, ormai, come a una guerra simbolica, ma come a una piccola guerra reale, endemica e strisciante. È bene che lo sappia chi ci va ed è necessario che lo sappia chi deve o dovrebbe provvedere a quel bene ipotetico ma irrinunciabile che è l'ordine pubblico."
Raboni non parla solo di calcio giocato, o di singoli ruoli come la mezzala protagonista di una poesia. Dedica molto spazio al calcio raccontato in TV, ai suoi poeti e prosatori. Se da un lato pone la più banale delle critiche, dentro il corpaccione tarantolato e assordante di San Siro è proprio un'altra cosa; dall'altro studia le trasmissioni e i linguaggi adottati. Andando alla ricerca di un racconto calcistico più vicino alle persone. Secondo lui il racconto calcistico è dominato dagli aspetti tecnico-tattici, lontano dalle dinamiche culturali ed economiche. Così facendo si rende il calcio un simpatico fumettone che significa solo se stesso e i propri elementari meccanismi simbolici, appannaggio di allenatori disoccupati o giocatori in pensione dal lessico spesso arcano e dalla sintassi non di rado sommaria.
Eppure non butta via tutto quel mondo, in particolare lo affascinano i talk calcistici locali al punto tale da ritenerli come un buon modello per costruire un corrispettivo dedicato al mondo dei libri: al posto degli arbitri, a riposo, si potrebbero chiamare dei funzionari editoriali in pensione; al posto degli ex giocatori degli scrittori e dei critici ritiratisi dall'agone per eccesso di probità o di valore. All'epoca erano a metà tra lo spettacolo biscardiano e l'istituzionale Domenica Sportiva, oggi hanno preso direzioni che probabilmente anche Raboni avrebbe disprezzato. Cosa resta? Tante altre cose, compreso un rimpianto: mancano grandi gesti e un'altezza intellettuale in grado di generarli. Difficile dargli torto.
"I campioni di oggi non sono molto interessanti. In generale mi sembrano ragazzetti senza spessore, dicono tutti le stesse cose, in una specie di copione comune. Mi piaceva Seedorf, oggi purtroppo nel Milan. Sa quel che dice, e lo fa con proprietà. Mi sembra uno che pensa, mi incuriosisce."
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