Com'è stato il primo derby femminile a San Siro
Divertente in campo, ma un po' carente sul piano dell'organizzazione.
La prima volta a San Siro non si scorda mai. Tantomeno il primo derby. Di certo è stato e sarà così per le ventidue (più subentrate) scese in campo per questa gara, specie per Elisa Bartoli e Nadia Nadim, marcatrici di questo Milan-Inter. Ma l'immagine di questa apertura dell'impianto intitolato a Giuseppe Meazza non è stata delle più suggestive. 2422 ingressi (di cui circa 1300 paganti, il resto omaggi) e una generale sensazione di "andamento a basso regime", per un evento organizzato in emergenza a causa dell'inagibilità temporanea del Centro Sportivo Vismara, casa del Milan femminile e dell'Academy giovanile, per via di ritardi in alcuni interventi di ristrutturazione previsti durante la pausa delle nazionali.
Neanche due giorni di vendita biglietti a partire dal tardo pomeriggio di venerdì (con prezzi in assoluto stracciati per San Siro, ma non così economici per la media della Serie A femminile), e la comunicazione dello spostamento al Meazza formalizzata solo il giorno precedente. Con tempi così stretti, impensabile riuscire a organizzare una promo adeguata dell'evento.
In tutto ciò è stata salvifica la fortunata coincidenza che vedeva San Siro rendersi disponibile la domenica, grazie al fatto che le compagini maschili erano, in questa giornata di campionato, entrambe scese in campo negli anticipi del venerdì. Quantomeno, si è evitata la prospettiva di un derby direttamente a porte chiuse (non il massimo in termini di immagine). Resta però alquanto forzato provare a presentare questa apertura della "Scala del Calcio" come step in avanti tanto per il Milan quanto per la Serie A femminile. Pur con tutta la buona volontà e l'impegno messo dagli addetti al caso, qualsiasi osservatore non può notare come la soluzione abbia quel forte retrogusto di ripiego dell'ultimo minuto. E il colpo d'occhio rimane alquanto deludente.
Anche in termini meramente economici, impossibile una qualche ammortizzazione delle spese di apertura dell'impianto. In pratica, uno spot in negativo sulla sostenibilità del pallone. Da un lato, apprezzabile che il Milan sia stato disposto a ciò per non svilire una partita che si vuol presentare come importante. Dall'altro, sembra quasi un nuovo passo del gambero (quindi all'indietro) della società meneghina nei suoi piani di crescita sul femminile, contesto dove il comparto rossonero da tempo non sembra in grado di tenere il passo della concorrenza. Né tecnico né organizzativo.
Persino il suggestivo e programmato sfoggio dell'elegante kit retrò concepito per il 125° anniversario del Milan, e utilizzato come divisa da gara per il derby, si è un po' perso nel distopico sfondo di un San Siro gran parte vuoto, più propenso a riportare alla mente immagini da calcio in tempi di lockdown, che quel "orgoglio e emozione" dichiarato dalla Head of Women Football del Milan, Elisabet Spina.
Eppure, quei 2400 presenti nel primo arancio a loro modo si sono divertiti. Grazie soprattutto a quanto visto in campo, ma forse anche perché un San Siro così spoglio offriva, persino suo malgrado, uno spettacolo più raccolto e disteso dell'infernale marea umana del Giuseppe Meazza nella sua veste agghindata per la Serie A maschile. Un'occasione quasi unica per godere di uno stadio del genere in questi termini. Come fare una passeggiata nella Roma spopolata, ma non ancora in rovina, del VI secolo.
O più prosaicamente è il fascino delle ambientazioni alla The Last Of Us.
Tralasciando questi parallelismi apocalittici, un fatto nemmeno troppo nascosto è che nonostante l'offerta di calcio femminile sia carente sul piano quantitativo (e talvolta anche organizzativo), esiste una domanda potenziale forte. Una domanda che viene poco esplorata e studiata, pur in una fase storica dove l'industria del pallone tende alla saturazione estrema dei calendari per rimpinzare il pubblico. Laddove la strada dell'attrazione naturale per i "colori storici" è già stata battuta, ora bisognerebbe ragionare anche se non esista un pubblico antropologicamente e culturalmente diverso, finora poco avvezzo di pallone da stadio e per svariati motivi attirato non dai soliti "ventidue scemi che corrono dietro a una palla", ma bensì più interessato a eventuali ventidue sceme.
Un pubblico non ancora fidelizzato, interessato a un contesto diverso, con ritualità e voglia diversa di fruizione del prodotto. Un qualcosa che è ancora in definizione, che c'è ma non se la sente. E che ben poco viene stimolato in tal senso. D'altronde, sul piano commerciale, si parla di un investimento a lunga scadenza, e richiede un modus operandi che va contro le voraci e impazienti necessità dell'attuale industria del pallone.
Alla fine, è sempre la legacy quella che rende gli sport fenomeni di cultura popolare e, volente o nolente, in quanto tali prodotti commercializzabili. In varia misura, i trentatré mila dello Juventus Stadium per la sfida di ottobre contro la Roma, o i quaranta mila dell'Olimpico per la Champions League dello scorso anno, hanno contribuito a costruire questo. I 2422 di San Siro no. O almeno, non abbastanza. Questa prima volta sa più di chance sprecata che di evento storico.
Il derby in campo
Parlando di campo, le mura di San Siro evidentemente hanno fatto bene al Diavolo. Quello visto domenica nel derby infatti è stato forse il miglior Milan di stagione. Di certo, l'ombra degli anelli ha giovato a una figura mitologica - ma anche un po' appannata - come Nadia Nadim, autrice del - meritato - pareggio e finalmente a segno con la maglia rossonera (1° gol in Serie A dal suo arrivo lo scorso gennaio). Ancor di più, il Meazza ha esaltato le giovani leve di Monica Renzotti, classe 2005 presentatasi alla Scala del Calcio con una volée da fuori dopo appena quattro minuti, che Rúnarsdóttir sventa con la complicità della traversa. Al di là dell'episodio, altra prestazione complessiva importante sul piano quantitativo (ma non solo) di questo stantuffo di fascia forgiato in terra bresciana, autrice proprio dell'assist del pari rossonero.
C'era voglia di scuotersi e di fare bene nelle giocatrici del Milan, a secco di vittorie da inizio novembre. Prima della pausa nazionali le rossonere erano riuscite a rimontare contro la Fiorentina una partita messasi già nel primo quarto d'ora tutta a favore delle viola. Suzanne Bakker pur a fatica sta cercando di trovare una quadra, per smuovere soprattutto un reparto avanzato finora colpevolmente sterile (solo 11 gol in 12 gare) ed evitare di chiudere la regular season di nuovo fuori dalla Poule Scudetto. Le risorse per scalzare il Como ci sono, i segnali sono incoraggianti, ma proprio per questo resta dolceamaro il pari contro l'Inter, avversario superiore sulla carta ma domenica per larghi tratti rimasto compassato, e oltretutto ancora vittima di una rimonta.
Nella giornata dove la stella tedesca di Magull ha latitato, e senza nulla togliere a Elisa Bartoli prima calciatrice a segnare in un derby a San Siro, la vera eroina di giornata per l'Inter è stata Cecilia Rúnarsdóttir. Sette non banali parate all'attivo, con le quali ha fatto non solo sfoggio dell'ennesima, ottima prova stagionale tra i pali nerazzurri, ma ha anche tenuto a galla un'Inter apparsa più volte in difficoltà nell'arginare un Milan arrembante e voglioso di segnare.
Eppure le ragazze di Piovani, come erano riuscite a colpire un po' all'improvviso nel finale di primo tempo, stavano per replicare il fattaccio al 93' con Karchouni (salvataggio decisivo di Swaby). Questo, al culmine di un finale di gara dove, dopo lunghe fasi di apnea, erano state le nerazzurre quelle ad apparire più in gamba delle avversarie, chiamando Giuliani a superarsi già al 76' su Detruyer. Sarebbe stato un risultato fin troppo severo per il Milan, ma avrebbe ancor di più evidenziato il peso - e l'importanza - della prestazione di Rúnarsdóttir a difesa della porta.
Mai sbagliare portiere e centravanti, dicevano i saggi. Ma San Siro, nonostante la fine del digiuno di Nadim, alla fine tra un inghippo e l'altro a far sobbalzare i non troppi spettatori sui seggiolini sono state proprio loro, le tanto bistrattate portiere. Nel tempo libero magari organizzano anche lavori di ristrutturazione, chissà.
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