Senna, la Serie - Considerazioni Sparse
Evocare Ayrton Senna significa riaccendere un credo sportivo in equilibrio tra il mistico e liturgico.
Senna, sempre
Un nome che viene spesso richiamato quando un pilota realizza qualcosa di grande: che sia una vittoria miracolosa, un nuovo titolo mondiale o una rivalità eccelsa, a 30 anni dal 1 maggio 1994 il nome di Ayrton Senna vive a weekend alterni nei circuiti di tutto il mondo. Tifosi storici che quel giorno erano attaccati alla televisione, giovani appassionati che hanno assorbito la memoria eterna del più grande (sì), nostalgici della Formula 1 che fu, quando Ayrton viene nominato si muove un colosso fatto di passione soprannaturale di chi ha interiorizzato, ognuno a modo proprio, la fede e la figura di Senna da Silva. Realizzare una serie TV sulla sua vita da pilota è quindi un compito estremamente delicato, che deve sempre tenere in considerazione sia le esigenze narrative di spettacolo, sia l’occhio critico e attento di chi non accetta mezzi termini nel rappresentare il proprio idolo sportivo. A questo si aggiunge l’ambiente altrettanto delicato e complicato della Formula 1, uno sport difficile da recitare e simulare - ne sanno qualcosa Steve McQueen e Brad Pitt - per cui non è possibile scendere a compromessi. Il carrozzone Netflix si mette in moto e ce la mette tutta, scegliendo accuratamente i momenti in cui scendere a compromessi per ragioni finanziarie e i momenti in cui no, realizzando un prodotto sicuramente apprezzabile anche per gli appassionati. È necessario, però, scalare una marcia prima dell’inizio della prima puntata, perché nonostante ci sia un impegno corale nel rispettare il più fedelmente possibile la memoria di Senna, non possiamo aspettarci un prodotto come è stato Senna di Asif Kapadia. È una serie TV, realizzata con impegno, è una fiction. Io personalmente faccio sempre molta fatica a vedere rappresentate in televisione persone di cui ho le sembianze fisiche ben impresse nella memoria: questa volta ho fatto un minuscolo sforzo e sono contento di aver guardato tutte e 6 le puntate in meno di 48 ore.
La consapevolezza della passione
Approfondiamo maggiormente l’aspetto “appassionato” dietro alla produzione della serie. I fanatici di corse e auto lo sapranno bene: simulare in TV una vera corsa automobilistica è estremamente difficile. È estremamente difficile restituire l’adrenalina cronografica dei millisecondi di reazione in pista, è estremamente difficile replicare la complicazione alla guida di certi mezzi, è estremamente difficile aprire le porte di un ambiente così strano - popolato da psicopatici che girano in tondo ai 300 all’ora - a chi non ha mai ascoltato il suono di un motore con la stessa attenzione che si riserva a un concerto classico. Netflix ne è consapevole, ormai anni di Drive to Survive ci fanno capire che hanno inglobato crismi e meccanismi del motorsport, e applica tanta di quella esperienza in questa produzione. C’è materiale evocativo per chi batte i pugni sul tavolo quando vede scalare le marce con la doppietta, c’è pane per chi si emoziona con Kart e serie minori, c’è il drama e la narrazione delle dinamiche fuori dalla pista e dei complotti scorretti. A tutto questo si collega un cast di attori che si impegna tanto, studia, vuole replicare fedelmente le personalità di chi ha dato vita a quel periodo aureo di gas e sterzate. Serve però anche far tornare i conti, e per questo in certi, precisi passaggi, ci sono un paio di compromessi sia a livello narrativo che di resa. Alla produzione riconosciamo l’impegno di aver riservato questo trattamento principalmente alle dinamiche fuori dalla pista, in cui certe situazioni e certe relazioni sono state ottimizzate nella loro rappresentazione. Questo porta a una inevitabile scelta: porre maggior attenzione sul Senna pilota, togliere peso dalla sua vita privata ed extra-pista. Una scelta supportata anche dalla costruzione di due separate unità di regia, una dedicata alla ripresa delle scene automobilistiche, l’altra dedicata a tutto il resto.
Le macchine sono una passione costosa
Un’altra cosa di cui sicuramente sono consapevoli i più appassionati è un triste, mefistofelico, inscalfibile assioma: le macchine sono una passione costosa. Un budget di circa 170 milioni di dollari, per la produzione di 6 episodi, pone la serie nell’alto monte dei big spender dell’entertainment. A questo si aggiungono numeri come 231 persone nel cast, oltre 14 mila comparse, un team di circa tremila persone coinvolte nella produzione, 4 stati diversi di produzione. Qui c’è poco da dire, lo sforzo è magno e la collaborazione con la FIA, i costumi replicati alla cucitura, auto e circuiti attenti in ogni dettaglio appagano e soddisfano chi si sveglia alle 7 della mattina per guardare Suzuka, riuscendo nell’oculato tentativo di assottigliare sempre di più lo strato che separa la finzione dal filmato storico (l’occhio più attento riconoscerà gli inserimenti dei filmati d’archivio qua e là).
Laura
Come ogni superstar che si rispetti, Senna è stato croce e delizia dei media di tutto il mondo. Uno dei grandi escamotage che sceglie la produzione per ottimizzare la storia in funzione della narrazione è la figura di Laura, l’ambiziosa giornalista che segue Senna da quando mette piede in Norfolk fino a Imola ‘94. Questa è una figura puramente inventata, pensata per raccogliere in una persona unica tutte le luci, le ombre, le contraddizioni di una persona sanguigna al cospetto del quarto potere. Gli alti e bassi nel rapporto con la stampa, le stesse conferenze stampa scoppiettanti, la rivalità con Balestre, il rapporto con Prost, la “guerra della Tosa”, le battaglie per la sicurezza ma dipende da chi guida, “il miglior pilota vuole sempre la miglior macchina”. Tutte situazioni che sono state amplificate o ammorbidite dai vari giornalisti dell’epoca, che nella serie vediamo appunto raccolte in Laura, che si fa carico dell’arduo compito di replicare il particolare rapporto mediatico di Senna. Tutto, ovviamente, sempre accompagnato da Galvão, l’iconico cronista carioca che tutto il mondo conosce per “AYRTON SENNA DO BRASIL!!!!!”. Due figure che restituiscono il Senna eroico amato in patria e il pilota forte e rivale del resto del mondo.
“Corro per il Brasile”
Sono solo 6 puntate - Vocazione, Determinazione, Ambizione, Passione, Eroe, Tempo - e ne servirebbero sicuramente di più, ma ci accontentiamo. Come abbiamo detto prima, la serie si concentra sul Senna pilota, meno sulla vita privata e, soprattutto, ottimizza tanto il legame che Senna aveva col suo Brasile. Risparmia sulle dinamiche familiari, non tocca l’impegno sociale verso il proprio paese. Percepiamo qualcosa nella leggendaria Interlagos ‘91 (anche qui, un paio di licenze narrative concesse), ma è comunque un tema su cui si passa in modo abbastanza alto. Nonostante le scelte, difficili, fatte lungo il percorso, Netflix e la produzione brasiliana riescono nel delicatissimo compito di raccontare la storia del Campeāo, metterne in mostra le debolezze e le innate capacità, trasmettere l’adrenalina e le emozioni uniche di uno sport complicato come la Formula 1. E noi siamo contenti, perché la leggenda di Ayrton continua a vivere, in prodotti moderni ma che portano in sé una spina dorsale ferrea che rende giustizia alla memoria del più grande.
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