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Calcio pandemia
, 21 Novembre 2024

Calcio e pandemia: ne siamo usciti migliori?


Come l'introduzione dei cinque cambi dopo pandemia di covid-19 ha cambiato il gioco più amato al mondo.

Sono passati quasi cinque anni dall’inizio della pandemia, la più grande sliding door collettiva delle nostre vite, almeno se siamo nati dagli anni Novanta in poi. In quei giorni – chi legge è libero di scegliere l’aggettivo dispregiativo che preferisce – anch’io, come tutti, avevo molte cose serie a cui pensare. Ricordo bene la noia delle domeniche senza calcio, senza Serie A e la nostalgia per l’atmosfera allo stadio: l’unto del panino con la salamella, le birre fredde che gelano le mani, lo speaker che annuncia le formazioni, i fumogeni, le bandiere. Tutto era fermo, e non c’era verso di dimenticarcene.

Oggi siamo tornati sugli spalti, niente più distanziamento né mascherine; quando l’Inter ha vinto lo scudetto della seconda stella, ho potuto festeggiare senza che nessuno mi facesse la morale. Eppure, il calcio di oggi non è proprio come lo avevamo lasciato.

C’è stato un prima e un dopo. Due gli episodi che non potrò mai dimenticare. Uno è il match di Champions League tra Atalanta e Valencia del 19 febbraio 2020, tristemente noto come l’“evento zero” della diffusione del covid-19 in Lombardia. La Dea stava vivendo una stagione storica e l’entusiasmo dei tifosi bergamaschi per gli ottavi di finale era incontenibile. Lo stadio di Bergamo non rispettava gli standard UEFA, quindi oltre 40.000 nerazzurri si spostarono in massa verso San Siro, in una manifestazione di gioia e appartenenza senza precedenti nel calcio italiano recente. L’Atalanta vinse 4-1, cementando il legame già viscerale tra la squadra e i suoi tifosi.

Nel giro di poche settimane, Bergamo divenne uno degli epicentri dell’epidemia in Italia, e alcuni esperti collegarono proprio a quella partita l’accelerazione nella diffusione del covid-19. In un certo senso, è stato il primo momento in cui la pandemia ha toccato il mondo del calcio.

Poi è arrivato l’8 marzo 2020, il giorno di Juventus-Inter a porte chiuse: per la prima volta, il Derby d’Italia si giocava senza pubblico, in un silenzio surreale. Niente boati, cori, coreografie. Solo il rumore del pallone, i richiami dei giocatori e le istruzioni urlate dagli allenatori, che rimbombavano in uno stadio vuoto, svuotato della sua anima. Era un assaggio amaro del calcio che ci avrebbe accompagnati per mesi: un calcio senza tifo. Finì 2-0 per i bianconeri, ma il risultato contava poco di fronte alla pesantezza di quel silenzio. “Non è tempo per noi,” sembrava dire la curva deserta. Il giorno dopo, il 9 marzo, il campionato di Serie A venne ufficialmente sospeso.

Dopo mesi di incertezza, le partite ripresero il 20 giugno 2020, a porte chiuse e con protocolli di sicurezza rigidi, per concludersi il 2 agosto. Si cominciava a tornare alla normalità, ma gli stadi erano ancora vuoti: si parlava di un “calcio sterilizzato,” privo di quel tifo dal vivo che dà alle partite ritmo e anima. Le società puntavano sul digitale: contenuti esclusivi, dirette social e attività interattive, nel tentativo di portare un po’ di “stadio” nelle case dei tifosi. Guardando le partite in TV, si riuscivano a sentire le conversazioni tra i calciatori e le urla degli allenatori: l’unico aspetto davvero divertente del calcio ai tempi della pandemia. Non era molto, ma era già qualcosa.

Finalmente il calcio era tornato, con tante partite da seguire. Il calendario intasato post-lockdown costringeva a ritmi serrati, così gli infortuni e la stanchezza aumentavano visibilmente in campo. Per rendere la situazione più sostenibile, fu introdotta la regola delle cinque sostituzioni. Prima della pandemia, con soli tre cambi disponibili, ogni sostituzione doveva essere pianificata con cautela e spesso riservata a emergenze dell’ultimo minuto. Con cinque cambi, invece, gli allenatori potevano far rifiatare gli uomini con più frequenza, cambiare modulo e mantenere il gioco più fluido e dinamico nell’arco di tutti i 90'. In effetti, una vera e propria rivoluzione, forse un po' sottovalutata.

I tecnici delle squadre più ricche e con una rosa più profonda vedono nelle due sostituzioni aggiuntive un’opportunità per fare turnover e gestire le energie durante i periodi più intensi dell’anno, specie con le competizioni internazionali in aggiunta ai campionati. Tra gli entusiasti di questa novità, non a caso, spiccano Guardiola, Klopp, Nagelsmann, Mourinho e Conte. Chi ha a disposizione molti giocatori di alto livello anche tra le riserve può sfruttare meglio la panchina e sistemare rapidamente i problemi tattici, inserire calciatori freschi, risparmiare quelli con una tenuta fisica più deficitaria. Inoltre, la possibilità di fare sostituzioni multiple in uno slot permette all’allenatore, nel caso lo ritenga necessario, di stravolgere l'assetto introducendo tre o quattro giocatori in momenti chiave della partita.

Una delle conseguenze più visibili di questo cambiamento, ad esempio, è l’alta frequenza di sostituzione dei calciatori ammoniti, strategia feticcio di Simone Inzaghi. Grazie ai cinque cambi a disposizione, gli allenatori spesso decidono che il rischio di una seconda ammonizione, magari in un ruolo chiave, non vale la pena di essere corso e vale assolutamente la pena sacrificare uno slot per non rischiare di perdere il controllo. Questa flessibilità ha contribuito a ridurre le espulsioni per doppio giallo (46 a stagione in media, nel quadriennio 2016-2020; 35,5 nel quadrienni successivo), mantenendo in campo un gioco più equilibrato e controllato.

Anche il ritmo e l’intensità delle partite ne hanno guadagnato: con più sostituzioni, gli allenatori possono mantenere più freschezza nella seconda metà della gara, introducendo attaccanti riposati, difensori esperti o giovani con meno minuti nelle gambe. Di conseguenza, le partite sono diventate più fisiche e spesso più spettacolari, con finali più imprevedibili e squadre ancora capaci di premere sull’acceleratore nei minuti conclusivi.

Va detto, però, che questa regola ha anche accentuato il gap tra i top club e le squadre minori. Le società più ricche, con panchine lunghe e riserve di alto livello, possono mantenere un ritmo elevato per tutti i novanta minuti, ruotando i giocatori senza compromettere la qualità in campo. Per i club minori, invece, sfruttare appieno i 5 cambi è più complicato, e la sfida di competere allo stesso livello si fa ancora più dura. Oggi, il calcio è uno spettacolo, e tutti vogliono che sia avvincente. Ma intervenire su qualcosa di bello senza rischiare di rovinarlo è sempre difficile. Diciamo che l’effetto è un po’ come quello del cantiere della Fontana di Trevi: per il momento, una questione di fiducia.


  • Nata nel 1988 sotto il segno dell'Acquario, proprio come Andrea Ranocchia (ma con meno senso della posizione). Bionda, interista e con una passione per il caos ben calibrato. Ho fatto tanti lavori, ma ora vorrei solo scrivere, preferibilmente cose che facciano arrabbiare qualcuno.

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