La Spal alle prese con il suo futuro
Le difficoltà sportive e societarie degli ultimi anni della SPAL non sembrano avere fine.
Se Gwyneth Paltrow nella sua iconica interpretazione in Sliding Doors ci ha insegnato qualcosa, è che ogni singolo evento, anche il più imprevedibile, può cambiare la vita di una persona. Figuriamoci di una squadra. Tra le tante squadre che nell'ultimo decennio hanno vissuto montagne russe, in balia di eventi sportivi e societari, la Spal merita un posto d'onore. L'ultimo tra questi rollercoaster emotivi è un rumor molto chiacchierato a Ferrara in questi ultimi giorni, per cui - con la squadra incagliata nelle ultimissime posizioni del girone B di Serie C - diverse testate parlano di presunto interessamento dell’ex presidentissimo nerazzurro Massimo Moratti per l’acquisizione del club.
La storica società ferrarese - il cui nome misterioso e latineggiante fa riaffiorare i ricordi della genuina curiosità di tutti noi ai primi approcci con il calcio dei “grandi”, fatto figurine da collezionare e almanacchi consultati come sacri testi - dopo il fallimento societario dell’estate 2012 (che ha portato i biancoazzurri ha disputare la stagione successiva il primo e unico, sinora, campionato dilettantistico della loro storia con il nome apocrifo di SSD Real Spal) ha vissuto un’inedita altalena di emozioni, che ha regalato alla progenie del Paolo Mazza promozioni su promozioni fino a stabilizzarsi per tre stagioni consecutive in Serie A, per poi inabissarsi mestamente nei bassi fondi della Serie B e, al momento, della Serie C, con il timore concreto di un ritorno tra i dilettanti.
Dalla stagione 2012/2013, la prima sotto la proprietà di Colombarini e la presidenza di Walter Mattioli, la Spal ha avuto bisogno di sole quattro stagioni per tornare in Serie B (stagione 2015/2016), per poi concludere la scalata già la stagione successiva (dopo ben 49 anni di attesa) centrando l'obiettivo più grande - il primo posto - e mettendosi alle spalle le ben più quotate Verona e Frosinone, nel suo anno da neopromossa. Dopo due ottime stagioni in A, chiuse con un 17° e un 13° posto, i binari tornano in ripida discesa discesa. La squadra che aveva poco a poco iniziato a fiorire ha rapidamente perso tutti i petali, divenendo uno stelo ingrigito e fiaccato dalle intemperie. La discesa agli inferi è rapida quasi quanto la salita in paradiso del quinquennio precedente: 9° posto nel 2020/2021 - quando sarebbe stata favorita per un ritorno immediato in A -, 15° la stagione successiva e 19° nel 2022/2023, quindi direttamente in Serie C. Un comeback frenetico, dalla C alla A e viceversa in meno di dieci anni, da cui la Spal sembra non riuscire a riprendersi.
Nel frattempo il duopolio Colombarini/Mattioli ha ceduto nell’estate 2021 alla pacchiana gestione di Joe Tacopina (già vicepresidente della Roma, presidente del Bologna e del Venezia). La solida guida di Leonardo Semplici, allenatore della risalita dalla C alla A, rimane un lontano ricordo: Tacopina inaugura un periodo di susseguirsi isterico di allenatori e dirigenti, che anziché creare nuovi stimoli offre soltanto senso di precarietà e improvvisazione. Raccontando questa caduta libera che sa di imprevisto fiabesco a cui solo un eroe senza macchia potrebbe porre rimedio, proviamo a individuare i punti di svolta - anzi, le sliding doors - che hanno portato all’attuale situazione dei biancoazzurri.
Le campagne acquisti – porte girevoli nel mercato biancoazzurro
Dopo l’ultimo posto raccolto nella stagione 2019/2020 (iniziata senza la stellina Manuel Lazzari, ceduto per una dozzina di milioni di euro alla Lazio più il cartellino del non indimenticabile Murgia, forse un presagio delle sventure in arrivo?), la Spal l’annata successiva si ritrova ad affrontare il campionato cadetto con l’effige di nobile decaduta, considerato che nella finestra estiva di mercato viene confermata la permanenza sotto l’ombra del Castello Estense dei vari Kevin Bonifazi, Etrit Berisha, Lucas Castro e Marco D’Alessandro. Un vero e proprio lusso per la categoria, anche dal punto di vista finanziario: gli stipendi pesano per più di 23 milioni lordi annui sul bilancio spallino. Agli stipendi va aggiunto poi il costo dei cartellini, ammontante complessivamente a 20M, solo in parte compensate dalle cessioni per circa 15 milioni (racimolati perlopiù dalle cessioni di Fares e di Kurtic).
Tuttavia, i massicci investimenti sul mercato non portano i frutti sperati né sul campo né tantomeno tra i conti del club di via Copparo, a maggior ragione a fronte delle minusvalenze registrate nelle stagioni seguenti. Soltanto Bonifazi riuscirà, la stagione seguente, a garantire alle casse del club un’entrata di poco più di 5 milioni di euro, fondamentali per restare a galla. Quasi tutti gli altri, invece, se ne andranno per pochi spicci e ancor meno cerimoniali con l’unico obiettivo di alleggerire il monte ingaggi (effettivamente più che dimezzato a 11M nel 21/22) insostenibile per la nuova dimensione del club e inaccettabile per ciò che si stava vedendo sul rettangolo verde.
Nel caos seguito alla retrocessione e alla fretta di riordinare i conti, però, la Spal ha perso di vista alcuni talenti sui quali avrebbe potuto costruire un futuro o un tesoretto per ripartire, in primis il redivivo Gabriel Strefezza che, lasciata Ferrara per poco più di mezzo milione, ha fatto le fortune del Lecce prima e del Como poi. Un piccolo biglietto vincente della lotteria, gettato con le altre cartacce per disattenzione.
Tuttavia, se la Spal da un lato sembrava voler seriamente rinsaldare la propria situazione economica per alleggerirsi e tornare a volare, dall'altro una serie di acquisti da Serie A vintage ha nuovamente zavorrato le ultime due stagioni di Serie B senza però offrire nulla che non fossero facili entusiasmi momentanei. In distinta, infatti, sono arrivati gli altisonanti nomi di Giuseppe Rossi (alcun rimprovero per chi ha sempre cercato di gettare il cuore oltre al destino beffardo), Radja Nainngolan (ampiamente in formato pensione) e Giannis Fetfatzidis, quasi infastidito dall’essere destato dalla nicchia mediorientale in cui si era assestato. Giocatori che avevano già dato tanto, probabilmente tutto, nel calcio che conta e con poca propensione a sporcarsi le mani per salvezze insperate, che infatti non arrivano.
Questa politica basata sui grandi nomi in età pensionabile, poi, è proseguita anche dopo la retrocessione in Serie C nonostante (o a causa) del continuo viavai di dirigenti. I costi a bilancio, chiaramente, si sono abbassati, ma l'amore per giocatori di una certa età e adatti a contesti ben meno probanti dei campi della terza serie, non è venuto meno: nell'ultima estate, per puntellare una rosa che avrebbe voluto puntare alla promozione, sono arrivati a Ferrara Marcel Büchel e, soprattutto, il trentaquattrenne ex jolly del Napoli Omar El Kaddouri, che dopo quattro presenze non proprio indimenticabili ha preso domicilio presso l’infermeria del club.
Tutte operazioni che stridono con la tradizione spallina dell’ultimo decennio, che ha sempre puntato su giovani e coadiuvati da esperti ancora motivati e inseriti con oculatezza tattica, come i vari Floccari, Schiattarella o Antenucci - ancora leader in C nonostante i quarant'anni di età. Smania di accelerare le tappe per tornare grandi? Volontà di nomi di appeal per attrarre attenzione mediatica e magari capitali? Semplicemente scarsa programmazione, confusione tattica e tanta - troppa - improvvisazione? Al lettore e, soprattutto, al tifoso l’ardua sentenza. Intanto, a qualche chilometro di distanza dallo stadio Paolo Mazza, l'U19 biancoceleste continua a raggiungere buoni risultati e a produrre giocatori che possono (vedasi il poliedrico Steven Nador) dare un contributo importante alla prima squadra. A volte la risposta ai problemi è sotto il nostro naso e proprio per questo non la si nota.
Le tante guide tecniche
Se il personale di sala è in confusione, significa che il maître non c’è o non sa fare il proprio mestiere. Oppure - come nel caso della Spal - i maîtres sono stati troppi e cambiate con troppa frenesia, senza mai avere il tempo di provare realmente a calmare le acque, stabilire le necessarie gerarchie, proporre e imporre la propria visione, divenendo meri capri espiatori di una confusione generale che sta sperperando tutto quanto è stato lasciato in eredità una delle gestioni dirigenziali più oculate e vivaci dell’ultimo decennio.
In seguito all’esonero di Leonardo Semplici nei primi mesi del 2020, alla guida della Spal si sono avvicendati ben dieci allenatori in poco più di quattro anni (senza contare il ritorno nostalgico di Di Carlo dopo poche settimane dall’addio). Tutti allenatori con caratteristiche molto differenti, a cui non è mai stato dato il tempo di lasciare assorbire la propria visione né la continuità necessaria a lasciare legati tecnici e tattici da poter tramandare e coltivare, con la conseguenza che ogni nuovo allenatore si è trovato dinnanzi una vuota e a una rosa priva di idee di gioco consolidate. Di Biagio, Marino, Rastelli, Clotet, Venturato, De Rossi, Oddo, Di Carlo, Colucci e Dossena. Tecnici diversi per approccio tattico e filosofia di gioco, ma accomunati da un minimo comune denominatore: la sensazione di essere capitati nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Tralasciando l’agonico traghettamento di Di Biagio verso la serie cadetta, la Spal sotto la guida di Marino (stagione 2020/2021) sembrava aver ritrovato quella compattezza che sapeva tanto di amarcord del periodo di Semplici: difesa a tre, esterni pronti ad creare superiorità sulle fasce e qualità sulla trequarti con la presenza di Valoti (miglior finalizzatore con 11 gol). Le buone intenzioni e i risultati non disastrosi, tuttavia, non sono servite per preservare il posto al tecnico siciliano, che ad otto giornate dalla fine ha ceduto il posto a Rastelli, che ha condotto la squadra a un mesto nono posto in B, di fatto l’ultimo piazzamento degno di nota per la Spal.
All’inizio della stagione 2021/2022 inizia l’era Clotet, che con coraggio accantona la coperta di Linus della difesa a tre passando ad un assetto decisamente più offensivo, che illude gli appassionati con un roboante 5-0 alla seconda giornata contro il Pordenone, che però si appiattisce rapidamente con l'arrivo dell'autunno, fino all’addio a ridosso della fine del girone d’andata. I tifosi si sono trovati di fronte all’ennesima seduzione fulminea, incantati e poi lasciati soli tra l’ opprimente nebbia ferrarese. La scelta di Roberto Venturato, però, sembrava comunque poter dare uno spiraglio di luce. Un ragioniere della panchina, che ha riempito il suo curriculum con sei anni ricchi di soddisfazioni a Cittadella, capace di plasmare il materiale umano a disposizione raggiungendo obiettivi insperati. L'allenatore italo-australiano riesce a riprendere in mano la situazione, salva la Spal ma non riesce a migliorarne la classifica: arriva con la squadra al 15° posto, al 15° posto chiude il campionato.
Quattro tecnici in due stagioni, avvicendati nel frenetico valzer di Tacopina, che non sono mai riusciti a migliorare i risultati dei propri predecessori. Vittime sacrificali: i giocatori, costretti ricoprire i ruoli più disparati cambiando canovaccio tattico ogni pochi mesi, con ovvie ricadute sulle prestazioni. Tra i caduti più illustri di questo periodo in Serie B va menzionato Fabio Maistro, centrocampista attualmente in forza alla Juve Stabia, che in due stagioni e sessanta partite ha ricoperto quasi tutti i ruoli del centrocampo e della difesa, che lontano da Ferrara è tornato a giocare nel suo ruolo naturale con ottimi risultati.
Un avvio di 2022/2023 nemmeno troppo negativo - considerato che le sconfitte fatali arrivano con Genoa e Frosinone promesse spose alla serie A - costa la panchina anche al metodico Venturato, predicatore nel deserto in una società mai disposta ad attenderlo, esonerato alla nona giornata del campionato. Con il senno di poi, il primo passo verso la retrocessione in Serie C. All'ex Cittadella seguono una fugace presenza di De Rossi, durata giusto il tempo per una degustazione di cappellacci ferraresi e una rapida scorribanda di Massimo Oddo giusto per registrare la retrocessione in C. Le considerazioni tecniche su quest’ultima parte di stagione sono superflue, ma il passaggio dal sistema di Venturato (difesa a 4 con regista e trequartista a creare profondità per le due punte) alla difesa a tre De Rossi e poi a Oddo, in un continuo cambio di modulo, funzioni e interpretazioni, con giocatori come Dickmann penalizzati dal dover alternare partite con incarichi di “tuttocampista” a match con il compito di classico terzino metodico inserito nella difesa a quattro.
La stagione 2023/2024 è un valzer in tre tempi: Di Carlo/Colucci/Di Carlo, con quest’ultimo che sembrava avesse guadagnato i gradi per una conferma anche per questa stagione, vista la fortunosa salvezza raggiunta all'ultimo momento, ma che invece ha dovuto passare il testimone ad Andrea Dossena, la cui gestione ad esser gentili claudicante sembra affidarsi più all’amuleto Antenucci che ad un approccio tattico ben delineato. La girandola di nomi può fare ben immaginare al lettore il patimento del tifoso spallino in questo quinquennio, con la speranza di trovarsi di fronte ad un nuovo Oronzo Canà che fortunosamente possa salvare la baracca, ma se il legno della barca non è di qualità, la navigazione non è mai serena.
La società che non c’è
Per tenere a bada una tifoseria che aveva iniziato a farsi il palato con i palcoscenici più ambiti del calcio italiano non servono solo belle intenzioni e dichiarazioni eclatanti. Questo, nonostante quasi quindici anni nel calcio italiano, Joe Tacopina sembra non averlo ancora imparato. Nonostante la rottura ormai insanabile con il tifo spallino più acceso (vedi il dito medio offerto dal presidentissimo alla Curva Ovest durante le contestazioni post retrocessione in C), l'avvocato newyorkese insiste nel tentare di arringare la folla come in uno spettacolo ad effetto, ma con l’unico effetto di risultare un piccolo Giamburrasca in cerca di attenzione.
Non solo i punti di penalizzazione che rischiano di compromettere una stagione già in salita (ben tre punti di penalizzazione per ritardi nei pagamenti delle ritenute IRPEF di inizio anno), ma anche un’anarchia societaria che rende difficile programmare le stagioni. Già solo i frenetici avvicendamenti nell’area sportiva plasmano l’idea di una società che annaspa per rubare qualche boccata di ossigeno, che potrebbe non bastare per garantire a questa società, ai tifosi e all’intera città di Ferrara il futuro che merita.
I tempi di Davide Vagnati (artefice della squadra che è arrivata e si è consolidata in A) sono un lontano ricordo, considerato che dall’avvicendamento con Giorgio Zamuner (registrato nell’aprile 2020 e durato sino alla fine della stagione 2021/2022), si sono avvicendati il Direttore Tecnico Fabio Lupo (sino al 1 marzo 2023), Filippo Fuso (stagione 2023/2024) fino alla tarantella di direttori sportivi dell’estate 2024, quando nel giro di nemmeno un mese si sono susseguiti Paolo Danzè e Alex Casella (con ufficialità a fine giugno 2024, a mercato già ben che iniziato). Questo susseguirsi di professionisti, seppur uniti dal sacro e inviolabile ordine di salvaguardare il bilancio (ormai vero ed unico mantra di ogni società professionistica) non ha fatto altro che creare ulteriore confusione nei tifosi e negli undici che scendono in campo, che si trovano smarriti senza la sicurezza di una società che, si auspica, possa quanto prima ripercorre i recenti fasti sportivi.
Resta il classico dilemma del football italiano: può lo statunitense Joe Tacopina essere un vero presidente old style? Può colmare la presenza e l’emotività trasmessa negli anni dalla famiglia Colombarini e dal presidente Mattioli? L’eccentrica entrata in scena del tuttofare statunitense, con passeggiate in centro città con tenuta da tifoso provetto e sorrisi a 32 denti ai supporters aveva ben fatto sperare, ma la dura realtà di una società in difficoltà e in piena crisi di identità ha tolto le (deboli) fondamenta di tutti i progetti del neo-presidente, ormai percepito dagli aficionados della Curva Ovest come un problema da curare il prima possibile.
Forse quello che serve veramente alla Spal è una presenza paterna a bordo campo, che possa accompagnare l’intera società a camminare da sola con fiducia nei propri mezzi, sensazione che sembra essere un lontano ricordo da raccontare in qualche anonima serata al bar sport. Di fronte a tutte queste capitolazioni, chissà che un punto fermo non lo possa mettere una vecchia conoscenza del calcio italiano, con la carta d’identità un po’ ingiallita ma con la capacità di non deludere mai i propri tifosi, sperando che per la Spal questa possa essere veramente la fermata giusta.
F.B.A.
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