Guida ai Maestri delle ATP Finals 2024
Come arrivano Sinner e gli altri 7 finalisti all'appuntamento di Torino?
Era il 2001, un anno impresso nella memoria collettiva per i moti del G8 di Genova e per l’11 settembre. Sotto le montagne geopolitiche del nuovo millennio, anche gli echi tennistici appaiono lontani e suggestivi. Le ATP Finals (allora chiamate Tennis Master Cup) erano di stanza a Sidney, e questi erano i nomi dei contendenti: Lleyton Hewitt (vincitore) e Sebastian Grosjean (finalista), poi Guga Kuerten, Agassi, Ferrero, Kefel’nikov, Rafter e Ivanišević.
Quello è stato l’ultimo anno senza almeno uno tra Federer, Nadal e Djokovic. Poi è arrivato Roger (6 titoli e 18 partecipazioni), seguito a ruota da Rafa (17 partecipazioni) e Novak (7 titoli e 16 partecipazioni): un triumvirato che ha fatto epoca, l’epoca che oggi sta per finire. Lo svizzero si è ritirato nel 2022, il maiorchino giocherà a Malaga le sue ultime partite, mentre il serbo, qualificato e detentore degli ultimi due titoli, ha annunciato il forfait per infortunio.
Quindi eccoci, per la prima volta senza di loro, alla gran cerimonia di chiusura della stagione ATP. Torino, sempre più a suo agio nelle vesti di anfitrione, apre le porte della città al tennis dei maestri. Il capolinea del circuito fa sempre un po’ impressione e mette voglia di tirare le fila, tracciare grafici e stilare bilanci. Inevitabile, quindi, il paragone con la stagione scorsa, che si specchia nel ventennio precedente.
Djokovic, che aveva mancato di un soffio il grande Slam, ha fatto suo il torneo nonostante la sconfitta con Sinner nel round robin, e fa un po’ impressione pensare che quello sia stato il suo ultimo titolo ATP. Ciò che si delineava sul tramonto del 2023, ha preso una forma decisa: i nuovi signori del tennis hanno messo le mani sui Major e adesso sono qua per apporre il proprio sigillo dorato sul 2024.
Sinner e Alcaraz guidano la spedizione, con Zverev – che è in forma e ha vinto due volte le Finals - pronto a piazzare la zampata e Medvedev – l’altro che ha già sollevato il trofeo - in seconda fila, dopo mesi di fatiche in cui ha lottato strenuamente per aggiornarsi e stare al passo con i due fenomeni, riuscendoci solo a tratti e senza vincere nemmeno un titolo.
Gli altri, Rublev, Ruud, Fritz e De Minaur, sembrano destinati a un ruolo da comparse. In questo caso non possiamo proporre il solito manipolo di tennisti di nicchia che ci gasano oggi ma domani chissà, quindi ecco un breve ritratto di ciascuno dei magnifici 8.
Gruppo Nastase
Jannik Sinner
Tocca starci, come sotto la pioggia senza l’ombrello della scaramanzia: Jannik Sinner oggi è il favorito d’obbligo anche al torneo di canasta, alla Parigi Dakar e persino alla tradizionale gara di uncinetto della nonna Marisa. È qui per vincere oltre ogni ragionevole dubbio, e se i colleghi gli lasciano volentieri questo fardello di aspettative, gli addetti ai lavori, gli aficionados e i semplici curiosi sguazzano felici nell’onda travolgente del sinnerismo, che reca tutti gli oneri e onori tipici delle mode.
Il volume intorno a Jannik è altissimo, la folla si accalca e l’aria forse si fa un po’ viziata ma lui è mentalmente tosto, resiste, tiene botta e ha un suo mondo in cui isolarsi e dei bei paraocchi da indossare. Questa è stata la chiave della sua stagione doppiamente straordinaria: sì, perché – è arcinoto ma vale la pena ribadirlo – oltre a collezionare risultati degni dei big 3, Sinner ha dovuto e deve sopportare il peso della vicenda di doping che gli ha tolto il sonno e la serenità.
Il ricorso ha prolungato questo viaggio tortuoso nel quale ha trovato qualche amico e molti nemici, ma – a prescindere da come andrà a finire – una cosa è certa: Jannik ha dimostrato che al momento di scendere in campo riesce a concentrarsi sul gioco escludendo tutto il resto. E questo non vale solo per le partite ma anche per allenamenti, preparazione e stile di vita.
A molti basta qualche vittoria per smarrire il focus, altri si perdono di fronte alle difficoltà fisiche o emotive: Jannik ha affrontato le due cose insieme, un turbine bifronte fatto di successo, soldi, attenzioni invadenti e al contempo della paura di perdere tutto, dell’invidia serpeggiante, delle critiche sferzanti di chi forse non aspettava altro che un suo passo falso; ed è rimasto sempre calmo, forse addirittura più umano e aperto di prima; a volte gli è mancato il sorriso, ma non è mancata la passione, la dedizione totale a questo sport.
È trascorso un anno dalla prima vittoria su Djokovic, ridimensionata dalla sconfitta in finale – nell’unico torneo in cui è possibile affrontare due volte lo stesso avversario. Ed è stato un anno decisamente sinneriano: sette titoli ATP, due Slam, tre master 1000, il primo posto preso al giugno e mai più mollato, sei sconfitte nell’intera stagione… è quasi un elenco, ma per nulla noioso. Insomma Jannik è qui per mettere la proverbiale ciliegina sulla torta. Se lo merita ampiamente e le condizioni sono buone per sollevare un trofeo che prima o poi fatalmente agguanterà, visto che il cemento indoor è un po’ il suo regno. La rinuncia precauzionale a Bercy è stata una chiara dichiarazione d’intenti.
Taylor Fritz
Taylor Fritz arriva alle Finals dopo aver disputato probabilmente la miglior stagione della carriera, con la finale allo US Open fiore all'occhiello di un'annata in cui è riuscito a stare in campo regolarmente, senza più noie fisiche.
Un traguardo insperato e sicuramente significativo quello della finale Slam, arrivato per altro nel major di casa e davanti al proprio pubblico, sconfiggendo avversari sulla carta favoriti come Alexander Zverev, battuto anche agli ottavi di finale di Wimbledon in uno dei match più belli dell'anno. Lo statunitense ha anche ottenuto due titoli 250 e una finale 500, oltre al bronzo olimpico in coppia con il connazionale Tommy Paul.
La distanza con i migliori in assoluto sembra essersi assottigliata, e con le giuste condizioni Fritz può persino pensare di potersela giocare ad armi pari con tutti, forte di un servizio da top del circuito e di un'acquisita regolarità da fondocampo con il dritto ma anche e soprattutto con un rovescio molto migliorato.
Il girone con Sinner, Medvedev e un De Minaur in forma è sicuramente complicato (d'altronde siamo alle Finals), ma non proibitivo, con l'americano che ai nastri di partenza si giocherà il passaggio in semifinale alle ATP Finals contro Daniil Medvedev, con cui ha un solo precedente in carriera, la sconfitta a Cincinnati, risalente al lontano 2022.
L'unico dubbio che sorge riguarda la lucidità, fisica e mentale, dopo una stagione giocata costantemente a buoni livelli. Nell'ultima uscita a Parigi-Bercy è arrivata un sconfitta al primo turno contro Jack Draper, ma non escludiamo che la testa fosse altrove, magari all'Inalpi Arena di Torino.
Daniil Medvedev
La finale a Melbourne di inizio anno persa contro un epico Jannik Sinner ci aveva dato un segnale ben preciso: pur partendo sempre lontano dai riflettori, Daniil Medvedev c'è sempre, regolare come un orologio svizzero.
E per certi versi, il suo quarto posto nella race Atp in una stagione tutto sommato deludente non fa che ribadire questo concetto. Medvedev si trova esattamente nel limbo tra i magnifici due (anche se Alcaraz arriva da terzo), e tutti gli altri, con Zverev nella sua stessa condizione.
Dopo gli Australian Open, il russo si conferma un degno avversario nella campagna americana tra Miami e Indian Wells, fermandosi sempre contro uno tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, come se non potesse perdere contro nessun altro. La stagione sulla terra battuta torna ad essere poco luminosa dopo la vittoria a Roma dello scorso anno, con sconfitte premature per mano di Lehecka (infortunio), Khachanov e Tommy Paul. A Wimbledon va oltre ogni più rosea aspettativa e sconfigge Jannik Sinner ai quarti di finale, ma nel turno successivo si deve arrendere (di nuovo) a un Carlos Alcaraz nettamente superiore.
In Canada e a Cincinnati perde ai sedicesimi, mentre allo US Open, a Pechino e a Shangai si scontra nuovamente contro il proprio incubo: Jannik Sinner (due volte) e Carlos Alcaraz. Negli ultimi dodici incontri di fronte a loro due il russo ha vinto soltanto una volta, dando l'impressione di aver perso il passo, di essere rimasto indietro.
A Torino è l'unico insieme a Zverev ad aver già vinto le ATP Finals, e in fondo lo sappiamo: quando i riflettori puntano altrove, Daniil Medvedev c'è sempre.
Alex de Minaur
Se esistesse un premio al Most Improved Player of the Year, Alex de Minaur sarebbe uno dei candidati più quotati alla vittoria.
L'australiano ha cambiato marcia rispetto alle scorse stagioni, trovando continuità di rendimento e soprattutto ottimi risultati negli appuntamenti che contano. Agli ottavi degli Australian Open si è arreso a Rublev e soprattutto ai crampi dopo cinque set, mentre in tutti gli altri tornei del Grande Slam ha raggiunto i quarti di finale, arrivando quindi ad eguagliare o superare i propri risultati a livello Major.
A Wimbledon i quarti contro Djokovic gli sono stati negati solamente da un infortunio subìto nell'incontro precedente (comunque vinto) con Fils, che lo ha costretto a ritirarsi dal torneo e a uno stop di quasi un mese. Nel frattempo, ha confermato il titolo 500 ad Acapulco e ha vinto il 250 erbivoro di 's- Hertogenbosch, registrando il suo personale best ranking al 6° posto.
Le ATP Finals sono il giusto premio per una stagione da protagonista, in cui de Minaur ha sconfitto prima di tutto i propri limiti psicologici, compiendo il definitivo salto di qualità per diventare un top player.
Arrivato a Torino come sesta teste di serie, il girone è, come prevedibile, molto complicato, ma non è escluso che l'australiano possa giocare il ruolo di mina vagante del torneo, visto anche il recente buon momento confermato anche dai quarti a Parigi-Bercy.
Se infatti Jannik Sinner sembra ingiocabile per chiunque non si chiami Carlos Alcaraz, Medvedev e Fritz partono più avanti solo sulla carta, con de Minaur che non ha nulla da perdere ed è pronto a stupire tutti. Il calendario gli ha regalato Jannik Sinner all'esordio, forse l'avversario migliore per imparare a gestire l'emozione del debutto. Da lì in poi è guerra aperta contro tutti, e Alex, lo sappiamo, è un combattente.
Gruppo Newcombe
Carlos Alcaraz
Come giudicare la stagione di Carlos Alcaraz? Su quattro titoli vinti, due sono di quelli da gloria eterna – RG e Wimbledon – a cui si aggiungono Indian Wells, Pechino e l’argento olimpico. Insomma, l’uomo di Murcia ha 21 anni ed è già una leggenda. Ma, come ha affermato lui stesso, ha anche perso troppe partite da favorito; confrontandosi con Sinner, ha messo l’accento sulla maggior regolarità dell’italiano, capace di sbagliare davvero poco, portando a casa i risultati anche nei momenti in cui non era al top.
Al contrario, Alcaraz soffre ancora di alti e bassi, vive momenti magici come quello a cavallo tra maggio, giugno e luglio in cui avrebbe battuto chiunque, in cui le difficoltà sembravano soltanto esaltarlo, in cui avrebbe giocato volentieri partite al meglio dei sette o dei nove set – impressionante soprattutto a Parigi la sua capacità di reagire sia nella semifinale con Sinner, sia nella finale con Zverev, ai momenti di superiorità dell’avversario e per la sensazione di giungere al quinto set fresco come una rosa, pronto per cominciare un’altra partita; poi attraversa fasi buie.
Più o meno come l’anno scorso, nella seconda metà della stagione si è visto un Alcaraz più fragile e ondivago. Sì, ha messo al collo la medaglia olimpica e ha battuto Jannik nella tirata finale di Pechino, mica poco, però per quello che ci si aspetta da lui è andato calando. Dopo la sconfitta parigina con Novak, ha perso da Monfils (Cincinnati), Van de Zandschulp (US Open), Machac (Shangai) e Humbert (Bercy), raggiungendo le undici sconfitte totali, molte delle quali contro avversari ampiamente sotto il suo livello. Una sensazione già provata: se non è in forma, Carlos fa fatica e rischia con chiunque.
La cattiva notizia per tutti gli altri è che questo suo difetto rappresenta un ulteriore margine di miglioramento. Nel frattempo si gode queste Finals quasi in sordina, sperando di approfittare dell’inedita mancanza di pressione. Le aspettative di casa, come ovvio che sia, sono tutte su Sinner, il che trasforma le ATP Finals in un’ottima opportunità per lui.
Andrey Rublev
Brandon Nakashima, Alexandre Muller, Marcos Giron, Francisco Comesana, Thiago Augustin Tirante, Yunchaokete Bu, un trentanovenne Stan Wawrinka. Che cos'hanno in comunque questi tennisti, oltre a non essere esattamente i giocatori a cui probabilmente fareste giocare la partita da cui dipende la vostra vita? Sono solo alcuni degli avversari che, nell'arco del 2024, sono riusciti a battere Andrej Rublev che, non è un mistero, non ha vissuto proprio una stagione semplicissima e, pur senza uscire dalla top 10, arriva alle Finals da numero 9, una posizione inferiore a quella con cui aveva chiuso tutte le sue ultime 4 stagioni.
È infatti Novak Djokovic l'uomo che il russo deve ringraziare se potrà essere alle ATP Finals di Torino, il cui ritiro ha permesso a Rublev di non mancare una qualificazione che ottiene ininterrottamente dal 2020 e che quest'anno sarebbe sfumata senza una defezione dell'ultima ora.
Deve ringraziare anche i punti raggranellati ad inizio stagione, il trionfo nel 250 di Hong Kong (contro avversari non proprio proibitivi) e i quarti in Australia, prima di entrare in un tunnel che ha lo ha visto toccare persino livelli di autolesionismo inquietanti (andate a recuperarvi le foto del suo ginocchio aperto a racchettate), immersi in psicodrammi quasi inspiegabili per un giocatore del suo livello.
La vittoria su Alcaraz a Madrid (che gli ha permesso comunque di portare a casa un 1000) e quella su Sinner a Montreal sono sicuramente i punti più alti di una stagione che, al netto di exploit un po' sporadici, ha visto Rublev faticare notevolmente a trovare continuità di risultati. Siamo sinceri: è difficile aspettarsi molto dalle sue ATP Finals. Speriamo solo che non si faccia male.
Casper Ruud
Come faceva Johnatan Zebina ad essere titolare nella Juve stellare di Fabio Capello? Come faceva il Chievo a fare sempre i 40 punti per salvarsi? Come ha fatto la Grecia a vincere un Europeo, o Steven Bradbury a vincere quell'oro olimpico? Ma soprattutto, come ha fatto Casper Ruud a qualificarsi ancora per le ATP Finals? A tutte queste domande c'è una risposta, ma alcune sembrano nasconderla molto bene.
Prima di proseguire, provate voi a rispondere a una domanda: quanti titoli ha vinto Ruud in questa stagione? Presumibilmente, se qualcuno è arrivato a leggere fin qui è perché questo sport lo segue con piacere, eppure è molto probabile che nessuno o quasi si ricordi del suo trionfo nel 250 di Ginevra, ma facilmente nemmeno del 500 di Barcellona.
Ovviamente, è la stagione sul rosso la zona franca del norvegese, quello spicchio di stagione (che lui farebbe durare 10 mesi) durante la quale Casper, come uno di quegli animali che vanno in letargo, mette via le provviste di punti in vista delle rigide stagioni sul veloce (peggio ancora se indoor). Sembrano distanti una vita i tempi della finale a Flushing Meadows: la versione 2024 di Casper Ruud su erba e cemento è roba da minimo sindacale: benino in America in primavera, un disastro dall'estate in poi.
In una stagione che porta con sé il rimpianto di non aver portato a casa nemmeno una medaglia olimpica sulla sua superficie prediletta, la partecipazione alle ATP Finals sembra poco più che un atto dovuto, ma di certo non può essere accompagnata da particolari ambizioni. Con 2 sole vittorie nelle 10 partite giocate dopo lo US Open, potete biasimare gli altri 7 se hanno sperato di essere sorteggiati nel suo girone?
Alexander Zverev
Scrivere di Sascha Zverev è quasi sempre un affare piuttosto complicato, perché è uno di quei giocatori di cui sappiamo quasi tutto, ma del quale alla fine non riusciamo a spiegarci quasi niente. Zverev è un mistero, un rompicapo per risolutori esperti, ma allo stesso tempo è ad oggi anche uno dei tennisti più affascinanti del circuito.
Il fatto stesso di essere rientrato anche solo ad un buon livello dall'infortunio subito al Roland Garros 2022 non era affatto banale (è pieno di esempi di giocatori decisamente ridimensionati, se non completamente annichiliti da infortuni del genere), ancora meno lo era stata la qualificazione alle Finals dello scorso anno, acciuffata da numero 7 del ranking. Ma il 2024 di Zverev è pazzesco: primo giocatore nel circuito per partite vinte a livello ATP (66, una in più di Sinner), il tedesco, durante questa stagione, ha raggiunto un livello di gioco che forse non aveva mai toccato, nemmeno prima del lungo stop di due anni fa.
Guardandolo giocare l’impressione è che, a livello di colpi, il suo tennis non sia inferiore a quello di nessuno: grande fisico, servizio devastante, dritto e rovescio ineccepibili. Ma allora perché non è Zverev il numero uno? Perché tutte queste partite vinte gli hanno fruttato solo due tornei in tutto l’anno? Il mistero di Zverev è proprio questo: pur mostrando un livello di tennis sempre più alto, nei momenti decisivi della sua stagione gli è sempre mancato qualcosa per poter davvero vincere quello che lui sembra poter vincere.
La rimonta subita da Medvedev da due set avanti in semifinale a Melbourne, la doppia sconfitta contro Fritz con il lato di tabellone aperto a Wimbledon e agli US Open, ma anche la finale Slam persa a Parigi da situazione di vantaggio o una medaglia Olimpica sfumata ai quarti contro Musetti. Una stagione da grandi numeri, ma senza grandi successi: può rifarsi nell’ultimo grande show dell’anno. Sascha Zverev è sicuramente uno dei favoriti per queste ATP Finals.
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