APOEL Nicosia-Fiorentina 2-1, Considerazioni Sparse
L'APOEL interrompe la striscia di vittorie di una Fiorentina distratta e superficiale.
Senza tifosi al seguito e con l'impianto di Nicosia, il Neo GSP, magari non gremito ma caldo e colorato come tradizione ultras greca comanda, la Fiorentina interrompe la sua striscia di vittorie e sbatte in maniera superficiale contro un APOEL decisamente più voglioso di vincere. Il 2-1 finale, che vale la prima vittoria in Conference League per i ciprioti, riflette soprattutto la differenza di determinazione tra le due squadre nel ben figurare: una situazione, quella di avversari disposti a giocarsi tutto contro di loro, a cui i viola oggi stravolti dal turnover ancora faticano ad abituarsi.
Ben diverso il trend di avvicinamento alla partita per le due squadre. L'APOEL, dopo la vittoria della Supercoppa cipriota contro il Pafos (attuale capolista nel campionato locale, nonché prossimo avversario dei Viola in Conference), era nel pieno di una fase di appannamento: solo due vittorie nelle sette gare seguenti a quel titolo conquistato, che comprendevano anche le due scialbe prestazioni europee contro gli irlandesi dello Shamrock Rovers (1-1 subìto nel recupero e in superiorità numerica) e i croati del Banja Luka (sconfitta in casa per 0-1 nonostante un dominio schiacciante). Di contro, la Fiorentina le sue sette gare da inizio ottobre le aveva vinte tutte - cinque in Serie A e due in Conference - nonostante le pesanti turnazioni dei giovedì di coppa avessero già messo a nudo, con incertezze più o meno gravi, il gap che divide prime e seconde scelte di casa gigliata. Gap ribadito anche stasera, una differenza soprattutto di concentrazione e intensità di gioco, prima ancora che di natura tecnica.
Il doppio vantaggio con cui l'APOEL chiude il primo tempo (segnano l'ex primavera della Juventus Dōnīs e Abagna) racconta di una partita che la Fiorentina non azzanna con la dovuta intensità, finendo per innervosirsi e distrarsi di fronte a un avversario via via più convinto di poter tentare il colpo grosso. E se il gol di Dōnīs merita anche apprezzamenti per la serie di giocate corali che portano alla realizzazione, quello del 2-0, arrivato sullo scadere di tempo, è una brutta immagine di lassismo, con metà squadra rimasta immobile su una palla persa in zona avanzata dal duo Ikoné-Adli (male il franco-algerino, sostituito all'intervallo), e un contropiede poi regalato ad arte tra l'uscita sbagliata dell'argentino Moreno (ancora, non a caso, a zero minuti in Serie A), il contrasto molle di un Quarta sempre in chiaroscuro e la carambola tra Kayode e Biraghi.
La Fiorentina la riapre secondo una di quelle giocate che Palladino sta ormai codificando per i suoi: palla diretta sul centravanti, giocata di prima e taglio dentro dell'ala sulla profondità. Una delle poche combinazioni pulite trovate dal duo Kouame-Ikoné (terzo gol europeo per il francese), che rende il finale gara ansiogeno ma non per questo entusiasmante. I ciprioti - giustamente - faranno ricorso nella ripresa a tutte le tecniche possibili per favorire lo scorrere dell'orologio, con una partita che si frammenta in una serie di fischi arbitrali e una Fiorentina che, nonostante il progressivo ingresso di quasi tutti i titolari disponibili, non riesce mai a riprendere del tutto il filo del gioco.
Il cambio con cui, al settimo del secondo tempo, Palladino richiama Biraghi in panchina sa un po' di chiusura di un ciclo per il capitano viola. Se la perdita della titolarità in campionato (nonostante il ritorno alla difesa a quattro) di fatto è coincisa con la striscia di vittorie dopo un avvio di stagione stentato, la sostituzione dopo l'ennesimo primo tempo sbagliato dalla Fiorentina in Conference (preliminari compresi) con lui in campo dal primo minuto racconta, almeno in parte, quanto l'asse portante della squadra dell'ultimo triennio non sia più al centro del progetto tecnico gigliato. Senza voler additare al singolo particolari responsabilità, resta l'evidenza della difficoltà mentale della squadra in queste uscite europee, un elemento che non può esimere di responsabilità il capitano del gruppo. Oggi, il livello e le stesse caratteristiche tecniche di Biraghi non sono quello che serve a Palladino, specie con un certo Gosens - pur adattato - a disposizione. Forse, l'ultima riprova, o quantomeno l'emblema, di come quella squadra, pur protagonista di quelle cavalcate di Conference, non fosse davvero in grado di far meglio di quanto fatto.
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