Hellas Verona-Roma 3-2, Considerazioni Sparse
L'Hellas si rialza, la Roma affonda: per Juric Verona potrebbe essere davvero fatale.
Al Bentegodi si affrontano due squadre speculari nella loro crisi, e alla fine l’entusiasmo del Verona, sostenuto dalla tifoseria nonostante le tre sconfitte consecutive, prevale sull’inspiegabile autolesionismo di una Roma volenterosa eppure in totale confusione. Zanetti, privo di due elementi importanti come Tcatchoua e Belahyane, si affida a Daniliuc per dare una conformazione più difensiva alla fascia destra e a Serdar in mezzo al campo, coadiuvato da Duda e Kastanos qualche metro più avanti. Proprio la posizione del cipriota sarà una delle chiavi della gara, con Le Fée in difficoltà nel seguirlo fino al limite dell’area e la difesa romanista invece tardiva nelle uscite. Davanti spazio a Tengstedt, che sarà autore di una grandissima prova. Nella Roma confermata la squadra vittoriosa contro il Torino per 8/11, ma con una totale rivisitazione dell’attacco. Torna Pellegrini per dare più qualità nello stretto rispetto a Pisilli, Dovbyk riprende il suo posto da numero nove e Soulè sostituisce un Dybala affaticato dalle due partite in quattro giorni.
L’Hellas decide di lasciare il pallino del gioco alla Roma e, come spesso fanno le avversarie dei giallorossi, decide di setacciare la trequarti a discapito di maggiore libertà per i centrali e i laterali di fascia. La squadra di Juric accoglie di buon piglio la sfida, finché un regalo colossale di Zalewski non concede la chance dell’1-0 a un Tengstedt mortifero. Un copione che si ripeterà tragicomicamente per l’intera partita. Soulè ha prima una grande occasione per pareggiare ma spara alto, poi sugli sviluppi di una splendida azione corale insacca di tacco un buon cross di Zalewski. Da qui l’inerzia sembra cambiare nuovamente in favore della Roma, ma al 35’ una nuova disattenzione difensiva lancia ancora Tengstedt: l’ex-Benfica viene fermato in calcio d’angolo, e sugli sviluppi dello stesso la zuccata di Magnani è vincente. La Roma recrimina per un paio di falli (su Svilar e Ndicka), ma al di là delle colpe arbitrali appare incredibile la capacità del club capitolino di distruggere puntualmente e senza sollecitazioni ciò che ha costruito.
Nel secondo tempo, quando un ottimo contropiede lanciato da Konè e chiuso da Dovbyk si trasforma nel 2-2, sono allora i cambi di Juric a rimettere ghiaia negli ingranaggi della squadra. L’uscita di Le Fée, che stava creando grossi problemi al Verona sul centrosinistra aiutato dagli ottimi movimenti della catena Angelino-Zalewski-Pellegrini, toglie fluidità a una manovra che non può poggiare sulle geometrie di Cristante. Senza dubbio la scelta è anche dettata da motivi fisici, ma forse si poteva osare maggiormente abbassando lo stesso Pellegrini sulla linea di Konè. Persino Zalewski, come detto colpevolissimo sul primo gol ma nel complesso intraprendente, è parso molto più in palla di uno spento El Shaarawy. Così come Dybala non ha alzato i giri rispetto a un Soulè tutto sommato positivo. Dall’altro lato, quando Zanetti si affida ad Harroui, Mosquera e poi Livramento ottiene grande vivacità.
La pietra tombale sulla partita romanista è probabilmente la sostituzione di Dovbyk, non al top fisicamente, e la decisione di affidarsi al falso nove in una partita molto diversa da quella contro il Torino. Certo, Shomurodov ha dimostrato a più riprese di non essere all’altezza, ma la squadra aveva bisogno di poggiarsi su un perno per distendersi al meglio contro una difesa aggressiva come quella scaligera. Alla fine, gli unici sussulti giallorossi arrivano da un paio di tiri da fuori area di Dybala e dalle incursioni dietro la linea di Pellegrini. Il capitano giallorosso però, per quanto generoso, continua a combattere contro se stesso e i suoi fantasmi quasi quanto contro le difese avversarie. Si accende solo a intermittenza, fatica a trovare la giocata risolutiva ma soprattutto la fiducia e il ritmo dentro la partita, ed è ormai entrato in un loop problematico per lui e per la Roma, che avrebbe bisogno di ritrovare il leader tecnico visto, che a qualcuno piaccia o no, nelle stagioni precedenti.
Nel finale, su una ripartenza lanciata da uno sciagurato passaggio di El Shaarawy e una lettura distratta di Ndicka, l’ennesima nell’uno contro uno, il Verona trova addirittura il gol che vale 3 punti su una grande combinazione tra Harroui e Rocha Livramento. Nel post-partita Juric si dice soddisfatto della prestazione dei suoi, e per quanto si siano visti alcuni buoni sviluppi soprattutto nelle trame offensive, lo scollamento del tecnico croato dalla realtà romanista sa di teatro dell’assurdo. Se tutti sembrano faticare immensamente per inanellare prestazioni da sufficienza e si commettono errori grossolani, forse più che sui complotti di consoli e senatori ci si dovrebbe interrogare sulla serenità che l’allenatore e il suo sistema di gioco, così come l’ormai rinomata assenza dirigenziale, trasmettono ai calciatori. A nessuno però sembra importare particolarmente.
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