L'Italia ha una nuova dinastia di difensori
Ed è tra le migliori del mondo.
"Per me è la foto più bella di sempre". Con questa frase, durante una diretta Instagram risalente al periodo del lockdown, il fuoriclasse brasiliano Ronaldo riassumeva il celeberrimo scatto che lo ritrae in progressione mentre viene contrastato da Fabio Cannavaro e Paolo Maldini. Una fotografia che è diventata leggendaria, nel suo riassumere tre simboli di un'intera epoca calcistica, ma allo stesso tempo si è rivelata un'arma potentissima nelle mani dei nostalgici del calcio degli anni '90/2000.
"Giocatori così non ne fanno più", è il luogo comune che riassume ogni paragone con il presente, con riferimento particolare alla nuova scuola italiana di difensori. Ritiratisi gli ultimi baluardi della vecchia guardia, Chiellini e Barzagli su tutti, ogni comparazione tra i grandi marcatori del passato recente e i centrali contemporanei sfocia nel denigratorio, nel migliore dei casi nel parodistico. I centrali moderni che non sanno marcare e devono fronteggiare avversari incredibilmente meno forti rispetto ai loro predecessori (possiamo davvero, nel caso, fargliene una colpa?) vengono subissati, dalla stampa nostrana e da molti ex calciatori tramutatisi prontamente in opinionisti, di critiche molto più feroci rispetto a calciatori che occupano altre posizioni.
Eppure, nello scetticismo generale, l'Italia è tornata a produrre, pure con una certa prolificità, difensori centrali di livello alto, a volte altissimo, che non hanno nulla da invidiare ai loro omologhi proveniente da ogni parte del mondo. Anzi, se consideriamo il panorama dei centrali italiani nel suo insieme, e se ci concentriamo su quanti difensori nostrani siano al livello dei top mondiali e sul posto di ognuno di essi in un'ipotetica graduatoria trasversale dei club europei, non è follia affermare che l'Italia sia ritornata la miglior bottega del globo nel crescere, lanciare e portare ai massimi livelli i propri difensori.
Scrolliamoci subito di dosso ogni paragone col passato; se è vero che ogni calciatore è figlio del proprio tempo, nondimeno i paragoni tra epoche calcistiche attigue sono pane quotidiano per chi segue questo sport. Nessuno qui afferma che Bastoni sia un marcatore migliore di Cannavaro o che Gatti ripercorrerà sicuramente le orme di Nesta, ma non è detto che essi non possano in futuro essere considerati influenti, nella loro epoca, tanto quanto i giganti che li hanno preceduti.
Un esempio? Giorgio Chiellini, negli anni ritenuto troppo ruvido, troppo avventato, non abbastanza raffinato per essere paragonato ai suoi immediati predecessori. Oggi, a suon di prestazioni e vittorie con club e nazionale, ma anche grazie al dovuto distacco conferitogli dal tempo, Chiellini è tranquillamente considerabile come uno dei migliori difensori della storia azzurra, senza particolare timore di smentita.
A chi pensiamo oggi, quando vogliamo dipingere un quadro quanto più verosimile del gotha dei centrali d'Italia? Sicuramente a Riccardo Calafiori, l'uomo più chiacchierato della scorsa stagione, nonché Most Improved Player azzurro dell'ultima generazione. Thiago Motta ha accolto a Bologna un giocatore che, dopo un bruttissimo infortunio e le panchine di Roma e Genova, era andato a cercare continuità in Svizzera; in un battito di ciglia, l'attuale tecnico della Juve ha regalato al calcio italiano un centrale di livello europeo, tra i difensori più completi in circolazione, per potenza, rapidità, tecnica e letture.
L'eccellente stagione di Calafiori in maglia rossoblù è stata premiata con il trasferimento all'Arsenal; Mikel Arteta non ha esitato a farlo debuttare da titolare nel delicatissimo big match contro il Manchester City, venendo premiato con un gol e una prestazione vicina alla perfezione. Ora Calafiori è diventato titolare sull'out di sinistra dei gunners, impiegato da falso terzino, superata la concorrenza di White, Kiwior e Zinchenko. In nazionale è stato da centrale sia a 4 che a 3, offrendo sempre una personalissima interpretazione del ruolo che ha pochi eguali in Europa; Calafiori fornisce un ventaglio di soluzioni quasi illimitato alle sue squadre, ragion per cui i €50 milioni sborsati dall'Arsenal non sembrano affatto una cifra eccessiva.
Se Calafiori mette d'accordo quasi tutti gli appassionati del pallone italico, tranne forse i puristi che non digeriscono quei difensori che avanzano fino alla trequarti o sfoggiano giocate troppo sfarzose, ben più delicata è la posizione di Alessandro Bastoni. Soprattutto in occasione delle uscite in maglia azzurra, il centrale dell'Inter è stato criticato per essere un calciatore troppo "specifico", utile soltanto in costruzione e a suo agio solamente da braccetto di sinistra di una retroguardia a tre, quindi inadatto ad altri schemi e troppo condizionante per i compagni, per tacere degli ovvi bias che lo vorrebbero incapace di marcare e di affrontare gli avversari in 1 contro 1.
In realtà parliamo di un ragazzo classe '99 che gioca titolare in una squadra di livello europeo da quando aveva 21 anni, quindi ben lontano dal picco che solitamente tocca chi occupa il suo ruolo, un calciatore che ha vinto da protagonista due scudetti, ha raggiunto una finale di Champions e nello stesso anno è stato inserito dalla Uefa nella top XI assoluta della stagione, idealmente schierato al fianco di Ruben Dias. Non bastassero i risultati, ci sono le parole di Giorgio Chiellini a garantire per il ragazzo: "Bastoni è il mio erede, è fortissimo con lui l'Italia può dormire sonni tranquilli, il suo nome sarà ricordato a lungo".
Vale lo stesso discorso fatto per Calafiori: attualmente, nel panorama europeo, è difficile trovare difensori più completi di Bastoni. La sua abilità palla al piede cresce di anno in anno, la combinazione con Dimarco è tra le migliori del mondo, altezza e tempismo di stacco lo rendono un saltatore di altissimo livello, ma è in marcatura che l'interista sta mostrando i progressi più grandi. Le sbavature del primo anno con Conte sono un lontano ricordo, Bastoni diventa sempre più difficile da saltare e le sue letture sono in costante miglioramento; davvero pochi centrali, alla sua età, possedevano un bagaglio così ampio e comunque ancora ampliabile.
L'altra metà della luna ha il volto di Federico Gatti, un giocatore che stiamo imparando a scoprire sotto una veste totalmente inedita. Come sottolineato nel nostro approfondimento sulla Juventus di Motta, Gatti si sta scrollando di dosso molti dei pregiudizi dovuti alla precedente gestione tecnica e a quell'aura di "difensore operaio" che la sua storia gli aveva cucito attorno, rendendolo da una parte un facile idolo dei tifosi ma dall'altra portandolo ad essere identificato come un calciatore con dei limiti invalicabili, troppo old school per sfondare nel calcio contemporaneo, problema diametralmente opposto a quello di Bastoni.
In un sistema di gioco agli antipodi rispetto a quello che gli aveva garantito la titolarità in bianconero, Gatti se possibile è diventato ancora più leader, come testimoniato dalla fascia di capitano assegnatagli da Thiago Motta fin dalla prima giornata. All'immutata abilità nello scontro fisico e nei duelli aerei, il centrale ex Frosinone ha aggiunto una sensibilità sempre maggiore nel posizionamento in uscita dal pressing e nelle giocate medie e lunghe per i compagni, sfoderando gesti tecnici che sembravano non appartenergli, come aperture d'esterno sulla fascia o progressioni in zona centrale a rompere le linee avversarie.
Ad aver mostrato capacità di adattamento impressionanti è anche Alessandro Buongiorno, protagonista di una crescita vertiginosa negli ultimi tre anni, in cui è passato dal giocarsi la titolarità con Ricardo Rodriguez a baluardo principe della retroguardia del Napoli di Conte. Partito Bremer in direzione Juve, il centrale classe '99 cresciuto in granata è diventato presenza fissa nel'11 di Juric e la sua leadership si è accentuata con l'infortunio di Schuurs, evento che l'ha portato a prendere lui stesso le redini del reparto.
Al fisico da granatiere, 194cm distribuiti su 86 kg, Buongiorno abbina un sinistro non comune, una rapidità solitamente sconosciuta ai difensori della sua stazza e una grande abilità nel contrastare anche in zone avanzate di campo, requisito imprescindibile per affermarsi nella difesa a uomo di Juric. Come Bastoni, Buongiorno poteva correre il rischio di passare per un centrale ultraspecifico, ma il modo in cui sta assorbendo la transizione da Juric a Conte e dalla retroguardia a 3 a quella a 4 (comunque da verificare sul lungo periodo), è un buon indice del fatto che stiamo parlando di un calciatore di alto livello, a prescindere dal contesto.
Quante nazioni possono contare su un quartetto di difensori come Calafiori-Bastoni-Gatti-Buongiorno, considerando anche l'età che spazia dai 22 ai 26 anni e che quindi lascia ampio spazio a ulteriori margini di miglioramento?
Se osserviamo i migliori centrali delle prime nazionali dei ranking FIFA, scopriamo come l'erba del vicino non sia effettivamente sempre più verde, tutt'altro. Partendo con l'Argentina, Romero e Lisandro Martinez comporrebbero sulla carta una delle migliori coppie centrali del mondo, ma il difensore dello United sta faticando a riemergere da quel buco nero che è diventata la metà rossa di Manchester, tanto che spesso gli viene preferito Otamendi. Dietro di loro ci sono Medina, Senesi e Balerdi, sicuramente validi ma ancora tutti da verificare in un contesto di alto livello.
La Francia appare globalmente in condizioni migliori, dato che può contare su William Saliba, forse il miglior centrale d'Europa al momento al netto di qualche scivolone, e su un prospetto dal potenziale enorme come Leny Yoro. Di fianco a Saliba, Upamecano e Konate sono capaci di grandi prestazioni ma anche di grandi distrazioni; con un Varane o (soprattutto) un Kimpembe meno falcidiati dagli infortuni, forse staremmo parlando della difesa più solida del globo.
In un tier decisamente elevato va inserito anche il Portogallo, forte della crescita esponenziale di Ruben Dias e dell'ascesa di due dei migliori prospetti del mondo, Gonçalo Inacio e Antonio Silva, quasi pronti a raccogliere la scomoda eredità lasciata da Pepe. Non va nemmeno dimenticato Renato Veiga, che nel Chelsea gioca terzino sinistro ma che Martinez ha sperimentato con successo come difensore centrale nella partita contro la Polonia. In potenza i lusitani hanno tutto per diventare la miglior scuola di centrali d'Europa, manca ovviamente la prova del fuoco per i propri calciatori meno scafati in campo internazionale.
La Spagna campione d'Europa si è dimostrata molto solida ma, in attesa di capire la dimensione di Cubarsì, resta difficile considerare Le Normand, Laporte e Nacho (peraltro non proprio appartenenti alla new wave dei difensori) tra i migliori centrali in attività, mentre l'Inghilterra, aspettando l'esplosione definitiva di Branthwaite e Colwill, ha il solo Stones, nel prime della sua carriera, come vero e proprio pilastro.
Tra le altre, il Belgio sta metabolizzando la fine della sua golden generation; Domenico Tedesco punta forte su Faes, Debast e su Arthur Theate, forse quello più vicino a diventare un calciatore di caratura europea. L'Olanda ha in Virgil van Dijk quello che è forse il miglior difensore dell'ultimo decennio, ma i vari ct oranje gli hanno continuamente cambiato partner, senza fidarsi mai fino in fondo di de Ligt (anche lui un top europeo prima di finir risucchiato dal vortice dello United) e di van de Ven ma allo stesso tempo senza ottenere prestazioni esaltanti da de Vrij, mentre Aké è stato spesso dirottato sulla fascia. Potenziale enorme, rendimento rivedibile.
Stesso discorso vale per il Brasile: Marquinhos, Gabriel Magalhaes e Bremer sono probabilmente il miglior trio del mondo, ma lo juventino fuori dai confini nazionali, complici i problemi della sua squadra, ha dimostrato davvero poco, mentre l'ex romanista non ha mai convinto unanimemente. Dietro di loro ci sono Beraldo del Psg e Murillo del Nottingham Forest, giovani che potrebbero rinverdire la grande tradizione dei centrali brasiliani, mentre Éder Militão prova a tornare ai suoi livelli ora che ha smaltito le scorie da rottura del legamento crociato.
Analizzate in maniera incredibilmente breve alcune delle scuole calcistiche principali, proviamo a porci la seguente domanda: c'è qualche gruppo di difensori che cambiereste in blocco con quelli dell'Italia, avendo la CERTEZZA di ottenere un parco centrali globalmente di livello più alto. La difficoltà nel rispondere con sicurezza a questa domanda certifica già da sola il grande lavoro svolto dai settori giovanili italiani sui propri difensori, ma da sola non basta, così come non basta analizzare i quattro migliori centrali per avere la certezza della bontà di un movimento.
Nel Milan, dopo una temporanea bocciatura con prestito al Villarreal, sta provando a ritrovarsi Matteo Gabbia (1999), prodotto dalle giovanili rossonere, decisivo nell'ultimo Derby della Madonnina; in casa Roma, Mancini (1996) resta un inamovibile nonostante gli acquisti di Hermoso e Hummels, sempre in lotta con la scomoda etichetta di calciatore troppo irruento, ma sempre più credibile anche contro avversari di alto livello.
Allargando l'orizzonte, se possibile, il panorama è ancora più confortante, dato che anche in realtà di medio-basso cabotaggio emergono difensori di assoluto valore. Un esempio? Sebastiano Luperto (1996), ai limiti del commovente nelle sue ultime stagioni, colonna imprescindibile dell'Empoli (assieme a un altro centrale poco incensato ma preziosissimo, l'albanese Ismajli), protagonista di prestazioni eroiche in serie che hanno convinto in estate il Cagliari a puntare su di lui.
I rossoblu avevano assolutamente bisogno di un leader difensivo affidabile, vista la partenza in direzione Como di Alberto Dossena (1998), che in Serie A ha immediatamente confermato quanto di buono mostrato nelle categorie inferiori ed è stato appositamente scelto da Fabregas come titolare al fianco prima di Varane e poi di Kempf. Due anni più grande è il capitano del Lecce Federico Baschirotto, che ai tempi dell'Ascoli in Serie B giocava addirittura da quinto di centrocampo e ora è alla terza stagione consecutiva al centro della difesa giallorossa.
Il fatto che anche le squadre che lottano per la salvezza possono contare su difensori del genere, e non parliamo dei classici vecchi lupi di mare che eravamo soliti trovare nelle compagini di bassa classifica, ma di centrali under 30 che hanno ancora margini di miglioramento, conferma l'ottimo stato di salute del nostro movimento. L'Italia sta tornando ad essere un paese di difensori, ma in un modo nuovo e differente dal passato, dato che la stragrande maggioranza dei centrali italiani attualmente in circolazione è assolutamente in grado di calarsi senza problemi in sistemi di gioco proattivi e che coinvolgano anche gli uomini arretrati nella costruzione e nella rifinitura.
Ad ulteriore riprova vi sono i tanti giovani e giovanissimi che spingono forte, pronti a guadagnarsi un posto nelle selezioni nazionali e nelle grandi squadre europee. Il capofila di tale partito è sicuramente Giorgio Scalvini, reduce da un'annata altalenante con l'Atalanta, chiusasi con la vittoria dell'Europa League ma anche caratterizzata da diversi momenti complicati. La rottura del crociato ha rimandato il suo riscatto al 2024, ma parliamo comunque di un classe 2003 con presenze nelle coppe europee in nazionale, che sfiora le 100 gare in una squadra di alto livello come l'Atalanta, a un'età in cui molti dei suoi pari ruolo dovevano ancora emergere tra i professionisti.
Coetaneo del centrale nerazzurro, Diego Coppola lo scorso anno ha giovano della partenza di Hien nel mercato invernale per diventare titolare fisso nel Verona; Marco Baroni gli ha dato fiducia e lui l'ha ripagato con prestazioni di alto livello, contribuendo in maniera significativa ad una salvezza che sembrava impossibile. Zanetti lo ha confermato nel suo XI tipo, anche se nelle ultime due gare al suo posto ha schierato un altro classe 2003, Daniele Ghilardi, visto lo scorso anno in Serie B con la Sampdoria di Pirlo, tra i poci a non naufragare nella débâcle col Monza.
Chi si sta ritrovando dopo due annate buie è Mattia Viti (2002), rigenerato dal ritorno a Empoli dopo le difficoltà incontrate con Nizza (squadra che ne detiene ancora il cartellino) e Sassuolo, mentre Okoli (2001), dopo un'annata con più ombre che luci a Frosinone, sta faticando a prendere le misure in Premier League con la maglia del Leicester City, che in estate l'ha acquistato per 15 milioni di euro. In Inghilterra credono comunque molto in lui, così come crede in lui Luciano Spalletti, che in due occasioni l'ha convocato in nazionale, pur senza farlo esordire.
Scendendo ancora con l'età, troviamo i giovanissimi Fabio Chiarodia e Pietro Comuzzo, entrambi classe 2005. Il primo, cresciuto in Germania, ha esordito in Bundesliga a 16 anni con il Werder Brema e ora cerca spazio nel Borussia Mönchengladbach, dopo una stagione trascorsa perlopiù nella squadra riserve dei Fohlen. Il secondo è una scommessa di Raffaele Palladino, che l'ha lanciato da titolare alla sua prima panchina ufficiale con la Fiorentina e sta continuando a dargli spazio, sia da centrale a 4 che da braccetto di destra della difesa a 3.
Sarebbero tanti altri i nomi da menzionare, soprattutto tra i giovanissimi in rampa di lancio, ma quelli già esaminati sono più che sufficienti per constatare che il binomio Italia - Difensori è tornato ad essere vincente e prolifico. I paragoni col passato, quelli tossici e poco costruttivi, lasciamoli agli altri, e proviamo a goderci una generazione di centrali con pochi eguali nel panorama calcistico contemporaneo.
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