Paolo Maldini e l'integrità morale nel calcio
Tanto da giocatore quanto da dirigente, Maldini si è distinto per una rettitudine morale rara nel calcio italiano.
San Siro, 24 maggio 2009. Milan e Roma si affrontano alla penultima giornata di campionato. Le due squadre si trovano ormai stabilmente ancorate alle rispettive posizioni in classifica Milan già qualificato in Champions League, Roma al quinto posto dietro la Fiorentina e il sorprendente Genoa di Gasperini, Thiago Motta e Milto. Per i rossoneri, tuttavia, questa è una partita di importanza storica, un momento che segna la fine di un'epoca. Milan-Roma è l'ultima partita in casa di Ancelotti da allenatore del Diavolo dopo otto anni ricchi di soddisfazioni culminate nelle Champions League del 2003 e del 2007, ma soprattutto è l'addio al proprio pubblico di Paolo Maldini.
Una carriera durata 25 anni - di cui 12 da capitano - e 900 partite in maglia rossonera, coronata da successi divampanti (moltissimi) e sconfitte laceranti (poche ma dolorosissime), tutte vissute con la passione di un tifoso e l'ardore di un condottiero. Anche in questa partita di addio, Maldini tradisce l'emozione soltanto con un sorriso più ampio del solito al momento dell'ingresso in campo, e per tutta la partita riconferma ciò che è sempre stato per il Milan e per tutto il mondo del calcio: un uomo, prima che un calciatore; un professionista prima che un atleta; un leader, prima che un capitano.
Nel vasto universo del calcio mondiale, pochi nomi riescono a evocare la stessa maestosa aura di leggenda come quello di Paolo Maldini. Il capitano e numero 3 non è semplicemente un simbolo del Milan, una bandiera. Maldini ha inciso un segno indelebile nella storia del calcio, sia italiano che internazionale, tanto per le sue qualità in campo quanto per quelle umane. Maldini è stato ammirato non solo per il suo immenso talento e la sua dedizione, ma anche per la sua capacità di unire i tifosi e gli appassionati, riuscendo a guadagnarsi il rispetto e l'affetto persino dei sostenitori delle squadre rivali. Una qualità rara che lo ha reso una delle icone più amate e rispettate di sempre.
Quel giorno, nonostante il capitano rossonero stesse per concludere la sua straordinaria carriera davanti al pubblico di San Siro, il suo pubblico, accadde qualcosa di inatteso e spiazzante. Un clima di insolito nervosismo pervase lo stadio partendo dalla Curva Sud, trasformando quello che doveva essere un tributo al suo Capitano in un'occasione di contestazione. Mentre dava il suo commiato al calcio e alla sua gente, Maldini fu sorprendentemente accolto dai fischi, striscioni di aperta polemica - forse per la prima volta nella sua lunghissima carriera - esposti dai gruppi ultras, che inneggiavano a Franco Baresi come unico "vero capitano". Tra questi, uno colpì particolarmente per la sua durezza: "Grazie capitano, sul campo un campione infinito, ma hai mancato di rispetto a chi ti ha arricchito". Un messaggio duro, che lasciava trasparire un vecchio rancore mai sopito senza però chiarirne i motivi, proprio nel giorno in cui tutto il resto dello stadio, di Milano e d'Italia celebrava uno dei suoi più grandi campioni.
Come vedremo, il rapporto tra Paolo Maldini e il tifo organizzato rossonero non è sempre stato armonioso e quel giorno a San Siro fu solo il capitolo finale di una frattura che si era aperta molti anni prima. Uno degli episodi chiave che segnò il rapporto tra Maldini e una parte del tifo organizzato risale a tre anni prima, alla drammatica finale di Istanbul, dove il Milan subì una delle più incredibili rimonte della storia del calcio, perdendo ai rigori contro il Liverpool. Il giorno dopo la terribile sconfitta, Paolo Maldini e i suoi compagni furono accolti all’aeroporto di Malpensa da un gruppo di tifosi infuriati. Questi chiesero ai giocatori - incluso Maldini, per altro autore di un gol al 1' - di chiedere scusa per la disfatta.
Di fronte a questa richiesta, il Capitano reagì da vero capitano. Con grande fermezza, si oppose alla richiesta/minaccia e difese a muso duro, nonostante la sconfitta, la prestazione e la dignità della squadra. Poco dopo quel Milan-Roma, in un'intervista rilasciata a Corriere e Gazzetta dello Sport, raccontò così l'episodio: “All'aeroporto siamo stati contestati con cori tipo 'dovete chiederci scusa'. Io giocavo da una vita e dovevo chiedere scusa ad un ragazzo di 20 anni? E poi scusa di cosa? Di aver perso una perso una partita giocata in modo straordinario? Per inciso, quella sera il Liverpool ci surclassò a livello di tifo. All'aeroporto volarono parole grosse e rischiammo lo scontro”. Questa dichiarazione pubblica sancì una frattura evidente e, a posteriori, insanabile tra Maldini e una parte della tifoseria. La distanza tra lui e gli ultras rossoneri, però, non era solo legata a episodi "di campo": Maldini si era sempre opposto altrettanto a qualsiasi connivenza con i gruppi di tifosi che cercavano di ottenere controllo, favori o influenze all'interno del club.
Il contrasto tra Paolo Maldini e il tifo organizzato del Milan, culminato nella contestazione durante il suo addio, risuona ancor più forte se messo a confronto con i rapporti torbidi emersi dalle indagini degli ultimi anni tra giocatori e società di squadre di vertice come l'Inter e la Juventus (ma anche del Milan, senza il coinvolgimento di Maldini) e alcune frange delle rispettive tifoserie organizzate. Negli ultimi anni, l’Inter si è trovata al centro di una serie di scandali che hanno coinvolto esponenti di spicco della Curva Nord, dirigenti e persino calciatori.
Alcuni gruppi di ultras avrebbero cercato di esercitare una sorta di potere parallelo all'interno del club, avanzando pretese per i biglietti da rivendere con grosso margine di profitto, accessi privilegiati per le partite e addirittura gestione di attività legate al matchday e ai concerti tenuti a San Siro, come la gestione dei parcheggi e dei chioschi di cibo e bevande. Il potere, chiaramente, sarebbe stato esercitato grazie a minacce di gravi ritorsioni in caso di mancato rispetto delle loro richieste. Uno dei casi più eclatanti, sebbene soltanto tangenziale alle vicende societarie, è stato l’omicidio di Vittorio Boiocchi, leader della Curva Nord con un passato segnato da numerosi reati, tra cui traffico di droga e rapine. L'assassinio di Boiocchi ha gettato ulteriore luce sulle lotte di potere interne ai gruppi di tifosi organizzati e sui legami di questi con la criminalità organizzata. Le indagini successive hanno evidenziato come alcuni esponenti degli ultras cercassero di imporre le proprie regole non solo ai tifosi, ma anche alla società stessa, minando la stabilità del club. Anche la Juventus è stata coinvolta in vicende simili legate al tifo organizzato, culminate nel cosiddetto processo "Alto Piemonte".
Questo scandalo, esploso per la prima volta nel 2017, ha rivelato l’esistenza di rapporti illeciti tra alcuni gruppi di ultras della curva bianconera e la criminalità organizzata, in particolare la ‘ndrangheta. L’indagine ha svelato come alcuni esponenti delle frange più estreme del tifo juventino avessero instaurato un sistema di compravendita di biglietti, rivenduti a prezzi maggiorati grazie alla connivenza di alcuni dirigenti della società. Anche in molti club minori, le dinamiche di potere tra società e tifosi organizzati si sono dimostrate complesse, se non pericolose. La crescente influenza di alcuni gruppi ultras ha spesso generato episodi di violenza o intimidazione, sia nei confronti delle dirigenze sia verso i giocatori stessi. Questo fenomeno ha mostrato come, in alcuni casi, le curve non siano costruite sulla passione per la propria squadra (per quanto, alcune volte, espressa in maniere discutibili o persino condannabili) ma rappresentino troppo spesso un terreno fertile per attività illegali che poco hanno a che vedere con il calcio.
Maldini, in un contesto fatto di rapporti oscuri, minacce, favori e occhi chiusi, ha sempre rappresentato un esempio di ferma integrità, essendosi sempre rifiutato in toto di cedere alle pressioni, mantenendo la linea di condotta morale coerente che, sia da calciatore che da dirigente, lo ha distinto nel panorama calcistico italiano. Anche quel 24 maggio 2009, vittima di una contestazione gratuita, crudele e inaspettata, la sua figura di leader e capitano è emersa con forza, lasciando un segno indelebile nella storia del Milan, del calcio e dell’etica sportiva. Un dito medio rivolto alla Curva Sud e la risposta striminzita "Sono orgoglioso di non essere uno di loro" a un giornalista nel post-partita furono i sui unici commenti a ciò che accadde. "Forse ho esagerato, ma ero un uomo ferito" aggiunse in seguito.
Maldini non è mai stato solo un grande atleta, ma un uomo che ha saputo ergersi al di sopra delle logiche del tifo organizzato e della criminalità, rifiutando le pressioni, ingerenze e minacce delle frange più estremiste. La sua integrità, capace di trascendere le convenzioni e i "si è sempre fatto così" in nome di un idealismo morale, lo ha reso non solo un leader sul terreno di gioco, ma anche un esempio di rettitudine raro nel mondo del calcio. In quel giorno di commiato, proprio in quel contrasto tra i fischi dei pochi rumorosi nella Curva e gli applausi di tutto il resto dello stadio, si staglia la grandezza di un capitano che ha vissuto e giocato secondo principi non negoziabili, lasciando un segno indelebile nella storia del calcio e dell’etica sportiva.
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