Con Tuchel l'Inghilterra è andata all-in
Thomas Tuchel è l’uomo scelto dalla FA per sostituire Southgate e, finalmente, vincere.
È possibile che in questi giorni Lee Carsley stia pensando di aver avuto tra le mani il biglietto vincente della lotteria e di averlo fatto cadere in un tombino. Proprio come Southgate, infatti, anche lui era stato scelto come commissario tecnico ad interim dell’Inghilterra in seguito all’addio del precedente allenatore (Allardyce per Southgate e lo stesso Southgate per Carsley), ma è ben noto che il sogno di tutti gli allenatori ad interim è quello di ottenere risultati tali da venire confermati in pianta stabile. Se a Southgate, all’epoca, bastarono due vittorie e due pareggi tra ottobre e novembre 2016 per ottenere un quadriennale dalla FA, la sensazione era che a Carsley sarebbe bastato superare senza intoppi il suo girone di Lega B di Nations League per ricevere tra le mani il contratto della vita.
Così non è stato, perché lo scorso 10 ottobre la Grecia ha sorprendentemente espugnato Wembley con una vittoria per 1-2, dopo che a settembre i Tre Leoni avevano cominciato la propria campagna con il piede giusto battendo Irlanda e Finlandia. Carsley si è limitato a dire che “mancano tre partite e poi spero di tornare in Under-21”, in una curiosa riedizione calcistica della favola di Esopo della volpe e dell’uva, ma - probabilmente - non è un caso che a pochi giorni da quella sconfitta sia arrivata la decisione da parte della FA di sciogliere definitivamente le riserve su chi dovesse essere il successore di Southgate: Thomas Tuchel.
Tuchel The German
Tuchel quindi, anzi, il tedesco Thomas Tuchel. Tutt’altro che un dettaglio da poco, perché si tratta solo del terzo commissario tecnico straniero della storia dell’Inghilterra - dopo Sven-Göran Eriksson e Fabio Capello. Prendere un commissario tecnico straniero è in un certo senso una sconfitta per il proprio movimento nazionale (o almeno è spesso percepita tale) e lo è ancora di più per un paese che ha sempre fatto di un nazionalismo esasperato parte integrante, se non fondamentale, del proprio modo di vivere il calcio. È però possibile che, semplicemente, la FA abbia guardato in faccia la realtà: oggi la scuola inglese non offre nomi all'altezza delle ambizioni dei Tre Leoni: attualmente il nome più in è Eddie Howe del Newcastle, altre opzioni sarebbero potute essere i "disoccupati" Graham Potter e Frank Lampard.
Valeva davvero la pena mandare via un allenatore che ha portato per due volte l'Inghilterra a un passo dal vincere un Europeo per sostituirlo con qualcuno che non ha mai dimostrato di poter raggiungere risultati migliori? Insomma, cii si poteva aspettare che la FA avrebbe scelto un allenatore esperto, con una certa esperienza in Premier League e un curriculum importante. I nomi che corrispondevano a questo identikit erano Klopp, Guardiola e Tuchel. Con il primo tornato in Germania e il secondo ben saldo sulla panchina del City, l'unico nome papabile era rimasto quello di Thomas Tuchel.
Oltre alla conoscenza del calcio inglese stricto sensu, un punto a favore di Tuchel è anche l'aver dimostrato - come i due colleghi citati - di saper gestire e se necessario affrontare le temibili campagne della stampa scandalistica britannica, che per l'altro ha accolto il suo arrivo con toni certamente non accomodanti: la prima pagina del Daily Mail del 16 ottobre titolava “un giorno nero per l’Inghilterra”. Didascalia: “i Tre Leoni scommettono su un TEDESCO… ma Tuchel ha solo diciotto mesi per provare cos’ha in mente”. Tradotto: o vinci il Mondiale o te ne puoi pure tornare in Germania. Questo, invece, il pensiero dell’editorialista Jeff Powell:
“quando Sven-Goran Eriksson venne ingaggiato come allenatore dell’Inghilterra scrissi qualcosa sul fatto che il diritto di nascita del paese che ha creato il calcio fosse stato venduto a una nazione di sciatori di fondo che vive la metà della sua vita nell’oscurità. Ci è voluto un po’ per dimostrare che quel pensiero fosse giusto, e durante la sua era di fallimenti ai Mondiali il Lotario svedese si è reso abbastanza caro da ricevere un commosso addio quando è morto in tristi circostanze quest’anno. Possa riposare in pace e la sua famiglia vivere per sempre felice grazie alla ricchezza generazionale scagliata su di lui dalla FA. Imperterriti, hanno preso e hanno rifatto tutto da capo con Fabio Capello, che, grazie mille, si sta godendo la dolce vita a nostre spese pur essendo stato un mercenario ancora più deludente di Sven. Ora, ci credete? Ci risiamo.”
Tralasciando la raggelante mancanza di rispetto nei confronti del compianto Eriksson, insomma, potete capire che le premesse mediatiche per il mandato di Tuchel non sono le migliori. Si potrebbe obiettare che nella rosa dell’Inghilterra nell’ultimo Europeo i soli Pickford, Trippier e Gordon erano allenati da un tecnico inglese nei loro club, oppure che Powell si è dimenticato di scrivere nel suo editoriale che tra Eriksson e Capello ci fu l’inglesissimo Steve McClaren, che venne accompagnato alla porta dopo aver mancato la qualificazione a Euro 2008. O anche che, semplicemente, la situazione è quella di una nazionale con una rosa tra le migliori al mondo ma che non vince niente ormai dal 1966, e che quindi non sarebbe il caso di fare gli schizzinosi di fronte a un allenatore campione d’Europa.
You have one job to do
Per Tuchel, la strategia migliore sarà tenere la televisione spenta, non leggere giornali, non scrollare social network e concentrarsi esclusivamente sulla costruzione di una squadra in grado di vincere. Perché, senza girarci intorno, è stato preso per vincere e se Southgate è arrivato per due volte a novantanove senza arrivare a cento, ora sta al tedesco riuscire a varcare quella linea “che sembra sottile, ma non è sottile” tra quasi vincere e vincere.
Certamente ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per farlo: partito dalle giovanili di Stoccarda, Augusta e Magonza dopo una carriera da calciatore tra le serie minori tedesche, Tuchel ha vissuto una rapida ascesa che lo ha visto passare dalla prima squadra del Magonza al Borussia Dortmund (proprio come Klopp), e che successivamente lo ha portato ad allenare Paris-Saint Germain, Chelsea e Bayern Monaco: la crème de la crème del calcio europeo. Merito sicuramente di scelte giuste (quanti allenatori si sono frenati da soli la carriera per aver sbagliato le squadre in cui andare!) ma anche delle sue innegabili capacità, che lo hanno portato a vincere undici trofei di cui il più importante è ovviamente la Champions League vinta alla guida del Chelsea nel 2021, una delle più sorprendenti degli ultimi anni.
Proprio l’esonero dal Chelsea, maturato all’inizio della sua terza stagione per volontà del nuovo proprietario Todd Boehly, è stato vissuto da Tuchel come un tradimento ingiusto - su Twitter si definì “devastato”. Forse è stata proprio quella sensazione di beffa mai sopita a portare Tuchel, dopo l’addio al Bayern Monaco, a pensare a un ritorno in Inghilterra come prossimo approdo della sua carriera. Era stato anche accostato al Milan - cui aveva dato disponibilità, pare - in quella mezza settimana prima del derby in cui si pensava che Fonseca avesse il futuro segnato, ma la cosa più probabile sembrava che il suo destino fosse quello di sostituire Erik ten Hag al Manchester United. Alla fine Tuchel tra le mani non ha avuto i Red Devils, ma una sfida ancora più affascinante.
Pregi e difetti
Come molti dei suoi connazionali più noti e vincenti - Klopp, Nagelsmann, Flick tra i vari - anche Tuchel è un figlio del gegenpressing di Ralf Rangnick, di quella scuola di allenatori che ha toccato il suo apogeo tra fine anni ‘10 e inizio anni ‘20, quando tre Champions League consecutive finirono in mano a un allenatore tedesco. Tuchel è anche l’allenatore che per primo ha smontato attraverso i fatti il pregiudizio nei confronti della difesa a tre ad altissimi livelli: il suo 5-3-2 in fase di non possesso è stato il fondamento della Champions vinta in finale contro il City. Tuchel è, innanzitutto, un allenatore con immense conoscenze e intuizioni tattiche. Pochi giorni fa Massimo Marianella, su Sky Sport, ricordava che molti giocatori allenati sia da Klopp sia da Tuchel abbiano raccontato come il primo sia un maestro nella gestione del gruppo, ma che il secondo abbia un attenzione e una preparazione agli aspetti tattici impareggiabili.
Le sue squadre, quando hanno girato al meglio, hanno sempre dimostrato come dote migliore la capacità di adattarsi e di saper interpretare diversi spartiti durante la partita e durante la stagione: difesa posizionale o pressing alto, difesa a zona o uomo su uomo, possesso palla prolungato o verticalizzazioni rapide in base alle necessità richieste dalle circostanze. Un altro suo pregio è quello della preparazione della partita singola: lo sanno bene Guardiola, il cui Manchester City venne totalmente imbrigliato nella finale di Champions del 2021, e Ancelotti, che andò a un passo dall’essere eliminato dal tedesco per due volte - prima contro il suo Chelsea e poi contro il suo Bayern Monaco - prima che la trivela di Modric per Rodrygo e l'errore di Neuer riportassero il Real sulla retta via.
Probabilmente il fatto che Tuchel avesse già allenato alcuni giocatori nel giro della nazionale - Reece James, Ben Chilwell, Mason Mount e soprattutto Harry Kane - ha avuto un ruolo nella scelta della FA. Gli equilibri di spogliatoio saranno fondamentali in una rosa così ricca di personalità ingombranti e carismi straripanti e, se bisogna trovare un difetto a Tuchel, il primo che viene in mente è quello della gestione del gruppo. Sia al PSG, sia al Chelsea, sia al Bayern Monaco pare abbia avuto problemi in questo senso e trovare la quadra senza scontentare nessuno sarà un'impresa complessa.
La decisione della FA è stata quella di rinunciare all’autarchia calcistica nel tentativo disperato di non dover ripensare a una delle generazioni d’oro più floride della storia del calcio inglese come a una generazione bella ma perdente. Il primo messaggio di Thomas Tuchel, registrato a Wembley, ha visto anche una dichiarazione molto chiara: “proveremo a mettere una seconda stella sulla nostra maglietta”. Magari gli è stato già detto che in ventidue edizioni dei Mondiali non è mai successo che vincesse una nazionale allenata da un allenatore non autoctono: chissà, potrebbe essere una motivazione in più per provare a fare la storia.
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