L'infanzia di Maradona: Pelusa
L’infanzia e l’inizio dell’avventura di Maradona nel settore giovanile dell’Argentinos Juniors.
“Nella Villa c’è uno più forte di me”. Goyo ha il fiato corto, le gambe che tremano e il cuore che sembra uscirgli dal petto ma non ha dubbi, “glielo assicuro Don Francis, quello fa delle cose che non ho mai visto fare a nessuno, sembra che abbia quattro gambe”. Don Francisco Cornejo – che di frasi del genere ne ha sentite tante – tentenna cercando di corroborare la veridicità delle affermazioni di Goyo, che nel frattempo sta riprendendo fiato. Quando il ragazzino si è completamente ripreso, Don Francis esordisce con un sardonico “se è così forte digli che venga a fare un provino con noi e porta anche qualcun altro dalla Villa”.
Goyo – che di vero nome farebbe Gregorio e di cognome Carrizo – così come era arrivato torna a spron battuto verso la Villa perché deve avvisare il suo amico. Non appena tornato in Villa si dirige all’angolo fra Amazor e Mario Bravo dove vivono oramai da quasi una quindicina di anni i Maradona. Diego – che con la nascita del suo primo genito maschio diventerà Don Diego – è nato e cresciuto a Esquina, nella provincia di Corrientes, e qui, quando era poco più che un bambino ha iniziato a lavorare come allevatore; con una piccola chiatta trasportava le bestie di Don Guadalupe Galarza sulle isole del Paranà per farle pascolare e quando le acque salivano le riportava sulla terra ferma. Ad Esquina Diego – che tutti chiamavano Chitoro – si trovava davvero bene, aveva il suo lavoro, le sue battute di pesca e il calcio, tutto ciò che un uomo potesse mai desiderare, pensava.
E poi, ad Esquina c’era Dalma. Lei e Diego si conoscevano da sempre e in un’epoca in cui non c’era nulla, nemmeno il tempo per innamorarsi. Erano stati prima amici e poi si erano fidanzati, ancora giovanissimi. La coppia ha due figlie e Dalma, che viene da una famiglia per metà croata e per metà italiana, inizia a pensare che Esquina sarà anche bellissima ma non è il posto ideale per una famiglia numerosa come quella che lei e Chitoro stanno creando. Dalma – che tutti chiamano Tota – decide quindi di partire per Buenos Aires dove una delle sue sorelle si era trasferita e dove ha trovato un impiego come donna delle pulizie; Chitoro l’avrebbe raggiunta qualche mese più tardi, giusto il tempo di avvisare Don Lupe e di vendere la barca. La loro storia non è diversa da quella delle altre centinaia di migliaia di cabecitas negras, ovvero sia degli immigranti che – alla metà degli anni Cinquanta - dall’interior si riversano in massa su Buenos Aires andando a vivere al bordo dell’agglomerato bonaerense, nelle villas. Quando arriva a Buenos Aires Chitoro trova un lavoro in un mulino che si occupa della macinazione delle ossa, la Tritumol, dove lavora dalle quattro alle quindici e insieme alla Tota si sposta nella zona sud della città, a Villa Fiorito. Qui, la coppia riesce a mettere in piedi una baracca ammassando un po’ di lamiera, qualche pezzo di legno, alcuni mattoni e tanta fantasia che agli occhi dei due giovani fa sembrare quella casa sgangherata l’ambiente perfetto per far crescere i propri figli.
Chitoro, tenendo fede al suo soprannome, lavora instancabilmente e la Tota lo aspetta a casa prendendosi cura della famiglia che piano piano cresce: a Sara e Rita, nate a Corrientes, si aggiungono Elsa e Maria che sono due porteñe in piena regola. Chitoro desidererebbe tanto un figlio maschio con cui condividere le sue passioni e viene esaudito il 30 ottobre del 1960 quando all’Ospedale Evita Perón di Lanús emette il primo vagito Diego Armando. Il mondo si deve essere fermato per un attimo in quel pomeriggio estivo, come illuminato da una luce soprannaturale e ultraterrena pronta a spazzare via tutto. Diego – che tutti chiameranno Pelusa – nasce in un momento storico molto complesso per il calcio argentino. Due anni prima, al mondiale di Svezia 1958, la Selección era stata umiliata per sei volte dalla Cecoslovacchia innestando una crisi del calcio albiceleste senza precedenti. Gli argentini, che fino a quel momento si erano auto percepiti come i custodi di un’antica tradizione calcistica – tanto da chiamare il loro modo di giocare la nuestra – vedevano crollare tutte le loro convinzioni ed erano di un isterismo quasi patologico.
Nei successivi anni la nuestra viene accantonata, spesso anche vilipesa, e gli argentini fanno di tutto per allontanarsi da quell’idea del futbol come un’arte per dare una svolta molto più militaresca e pragmatica. Diego nasce per dribblare – sin dalla culla – questa nuova idea che si sta incuneando nella testa degli argentini. Diego incarna tutti i valori che gli argentini sanno di possedere, è lo specchio di un popolo – con le sue brutture e i suoi pregi – ed è per questo che è stato così amato, perché ognuno in lui poteva rivedere sé stesso.
Quando arrivano al Campo Malvinas Argentinas i Maradona – insieme a Goyo – lo trovano allagato, la notta è piovuto tutto il cielo su Buenos Aires. Don Francis, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per veder giocare Diego, allora chiama il suo fidato assistente – Don Yayo – e gli dice di mettere in moto il furgone per portare i bambini a giocare al Parque Saavedra. Goyo e Diego, che erano rivali nella Villa, vengono messi in squadra insieme e dopo che Maradona ha ridicolizzato i suoi avversari, mandando continuamente in porta Goyo, Don Francis ferma la partita. Con il tono interlocutore di chi le ha viste veramente tutte si avvicina a Diego e lascia partire la stilettata “Nene, seguro que vos sos del seseinta?” (“Bimbo, sei sicuro di essere del sessanta?”), “Se lo juro Don Francis, se lo juro” (“Glielo giuro Don Francis, glielo giuro) rispose Diego cercando di essere il più convincente possibile; ma don Francis non ci stette “Mirá, si vos tenés ocho años yo soy Carlos Gardel” (non avete bisogno di traduzioni, ndr).
In quel momento il mondo di Don Francis deve essersi fermato un attimo, come era successo otto anni prima nel reparto maternità dell’ospedale Evita Perón. Ci pensò Chitoro a garantire per il figlio: “Don Francis, le assicuro che è del sessanta. Sono quasi nove anni che lo sopporto”. Il primo pensiero che deve essere venuto alla mente di Don Francis deve essere stato “Finalmente lo ho trovato, il più grande di tutti. Quello che riscatterà il calcio albiceleste e l’Argentina tout court”. Quando oramai sarà avanti con gli anni e i capelli saranno solo un ricordo Goyo ricordò quel pomeriggio al Parco Saavedra: “Ogni volta che mi muovevo ero smarcato e Diego mi faceva dei passaggi perfetti, io dovevo solo farmi trovare pronto per mettere il pallone in porta. Quel giorno ho giocato – forse – la mia miglior partita di sempre”. Diego ovviamente entra in squadra.
Per la verità, prima di entrare a far parte del meraviglioso settore giovanile dell’Argentinos Juniors – che viene chiamato il Semillero del Mundo per quanti talenti ha prodotto – Don Francis fa visita alla casa di Diego e, profeticamente, rivolgendosi a Doña Tota lascia cadere la sua profezia “Questo bambino sarà la salvezza di tutti noi” e Doña Tota presa un po’ alla sprovvista non può che aggiungere un sintetico “Volesse Dio, Don Cornejo, volesse Dio”. Entrambi saranno profetici ma non potranno sapere che l’unico a non riuscire a salvarsi sarà proprio lo stesso Diego.
Gli aneddoti su Maradona e sui suoi anni alle Cebollitas – così veniva chiamata l’annata 1960-1961 dell’Argentinos – si sprecano e spesso sono talmente variopinti e fantasiosi che è difficile crederci. Per esempio, una volta contro il Boca Maradona non appare in distinta; come è possibile? Uno così forte nemmeno convocato? No, Maradona c’è ma viene messo in distinta con il nome di Montanya e viene fatto partire dalla panchina. Il Boca nel primo tempo va avanti per tre reti a zero e allora Don Francis – che voleva divertirsi – chiama Diego. Il bimbo entra, segna due gol e serve l’assist per il pareggio. Don Francis che nel dare indicazioni ai bambini chiama Diego con il suo vero nome si smaschera da solo ma l’allenatore del Boca – fattosi avanti minaccioso – gli dice “vorrei fare denuncia ma mi sono divertito troppo”.
Le Cebollitas, ovviamente, diventano la sua squadra ma Diego inizia ad accusare i primi sintomi di cedimento fisico. Nella Villa non ci si poteva alimentare a dovere, e questo sul corpo di un giovane atleta influiva e non poco. Don Francis allora pensa di mandare il suo giovane fenomeno a curarsi dal Doctor Paladino, medico endocrinologo che aveva curato Monzón dal rachitismo da cui era affetto sin da piccolo. “Cuidamelo, perché questo diventa il più forte di tutte” sono le parole con cui Don Francis consegna Diego al dottore. Paladino comincia a lavorare e Diego migliora a vista d’occhio, riuscendo a sopportare ritmi da professionista già a dieci anni. Le Cebollitas vinceranno 136 partite consecutive: facile quando hai Diego Maradona, no?
Inanellando questi numeri è facile far parlare di sé ed è solo questione di tempo prima che il grande pubblico noti il giovane fenomeno. Ci arriva prima di tutti Pipo Mancera che in quegli anni – siamo nel 1971 – va a scovare Diego a La Paternal e nella breve intervista riesce a fargli confessare quale sia il suo sogno. Il ragazzino, senza pensarci, lascia cadere la prima delle molte frasi maradoniane: “Mi sueño es jugar el Mundial y salir campeon”. Sarà, ancora una volta profetico. Ad essere sinceri Diego era già stato dato in pasto al grande pubblico quando durante un Argentinos Juniors-Independiente di circa un anno prima: Don Francis gli aveva buttato un pallone al centro del campo durante l’intervallo e lui, innocente con un bambino, aveva iniziato a palleggiare - testa, coscia, sinistro, sinistro, petto, sinistro, testa – ammaliando il pubblico che, trascorsi i quindici minuti di intervallo, aveva inziato a cantare “Que se quede! Que se quede!”, per favore fatelo rimanere, è molto più divertente lui della partita. Nonostante questa dimostrazione di classe cristallina l’intervista con Mancera è il primo documento nel quale si sente limpida la voce di Diego quasi a voler umanizzare il crack che sembra venuto da un altro pianeta.
Alla fine di quell’anno le Cebollitas vinceranno il campionato ed in blocco saliranno di categoria; l’anno successivo Maradona porta l’Argentinos ad un vantaggio considerevole in classifica e quindi può salire ulteriormente di categoria, iniziando una scalata lampo fino a che il 19 ottobre del 1976 riceve una notizia inaspettata.
[continua...]
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