Adrián Bernabé brilla di luce propria
Il talento del Parma illumina il sistema di mister Pecchia.
Se siete tra quelli che ritengono inutile la critica all’arte o pensate che tutte le ragioni del perché preferiamo un’opera piuttosto ad un’altra siano fuffa, non so cosa farci. Non saprei neanche dire se come accarezza la palla Adrián Bernabé sia arte o qualcos'altro. Come la protegge, l’accompagna, come la cede ai suoi compagni, quale brivido orgasmico scatena ogni tocco del regista spagnolo.
Adrián Bernabé è arrivato a Parma nella stagione del ritorno in B, parte di quell’ondata di acquisti che, tra gli altri, hanno portato Man e Mihaila in Italia. Un repulisti generale che pose fine al ciclo dell’ultimo Parma di livello in Serie A, quello di Kulusevski, Gervinho e Kucka.
L’ultima stagione in A (2020/21) fu un disastro: ultimo posto, mai fuori dalla zona retrocessione da gennaio in poi. Man e Mihaila entrano nelle rotazioni durante il secondo ciclo di D’Aversa giusto in tempo per infilare un paio di reti prima che la squadra decada definitivamente.
Dalla Masia, all’under 23 del Manchester City, alla chiamata in prima squadra da parte di Guardiola, come ha fatto un talento così puro come Bernabé a scendere in Serie B? La verità è che non tutti quelli che escono da lì ce la fanno, almeno non subito: è Enzo Maresca a convincere il talento classe 2001 a sposare il progetto tecnico del club crociato.
Bernabé ci mette un po’ per esordire con la maglia del Parma, nonostante il mister del Parma sia lo stesso delle giovanili inglesi. Il motivo è un problema cardiaco. “È stato un momento tremendo, pensavo di smettere”, le parole che ha usato per definire lo stop che lo terrà fermo fino a gennaio 2022. Operatosi al cuore, esordisce dall’inizio contro il Pordenone il 12 febbraio, per poi non uscire più dall’XI titolare. Solo due settimane dopo arriva il primo gol, ad aprile due doppiette di fila. A fine stagione si parla di Milan, Atalanta, Torino, Sassuolo, ma Adrián ribadisce più volte che vuole rimanere a Parma: arrivato dall’Inghilterra per restare, sarà uno dei protagonisti del ritorno dei crociati in A.
Flash forward, settembre 2024: sono passate solo 5 giornate di Serie A e Bernabé è uno dei migliori playmaker del campionato.
La facilità con cui trova l’uomo libero si sposa perfettamente con la rosa che ha a disposizione Pecchia: il Parma, quando può, con la palla cerca lo spazio affidandosi alle capacità in conduzione di Man e agli scatti di Bonny in profondità. Bernabé eccelle in quello che serve ad una squadra per risalire il campo: 3° per passaggi progressivi e 4° per progressive carry distance tra i centrocampisti (via FBref).
Se il campo è l’Everest e l’avversario ti ruba le bombole d’ossigeno con il pressing, quello che ti serve è uno sherpa che ti sappia guidare nella salita. Bernabé non è uno sherpa qualsiasi, è uno di quelli speciali, capace di portarti sulle sue spalle se proprio non ce la fai.
Non eccelle per % di passaggi completati: è uno che, se può, col pallone si prende rischi. Con la palla detta il ritmo, è un facilitatore, ma ha anche soluzioni non banali.
È 3° tra i pariruolo per tocchi a partita in una squadra che non esercita più il dominio che esercitava lo scorso anno in B (al momento 13° in A per possesso palla).
Mi sono perdutamente innamorato di lui recuperando il delirio di Lecce-Parma. Al 60° la situazione è questa: entrambe le squadre in 10; padroni di casa avanti 2-0 grazie al gol su punizione di Krstović, che si gode il momento prima di vivere una serata che faticherà a dimenticare; Lecce che si rintana comodamente nella propria metà campo, pronto, se necessario, a correre in contropiede verso la porta avversaria.
Il faro del Parma, ora più che mai, è Bernabé: accende con le sue giocate un Via del Mare più scuro del solito per problemi tecnici (lo stadio del Lecce ha un ricco storico di problemi di illuminazione). Chiuderà con 120 tocchi, 1° in campo per distacco, e 4 passaggi chiave (via Sofascore). Il ritmo è blando: per smuovere il blocco basso del Lecce servono i colpi, e Bernabé li ha.
Il suo dribbling è sfaccettato: in accelerazione è tecnico, sempre in controllo, ma non ha la progressione né gli strappi per bruciare il diretto marcatore. Da fermo è ancora più elusivo e sfrutta l'impeto dell'avversario che si avvicina per rubargli il pallone. Se l'altro corre scomposto a tutta velocità verso la palla, Bernabé lo lascia avvicinare, pronto a coglierlo impreparato con un tocco o una finta improvvisa.
E poi, la giocata più bella di tutte: ricezione in mezzo al campo, con Rafia che chiude velocemente; Bernabé lo aspetta fino all’ultimo e, con un tocco, lo supera. Pure Gallo si presta all’esibizione del suo talento recitando la parte di un conetto per allenamento - cinesino è troppo politically incorrect? - per la ruleta che porta direttamente al cross di Hainaut.
Cosa manca ancora a Bernabé per esplodere definitivamente? In Serie B aveva segnato tanto, rapportato ai compiti e alle funzioni in campo: in questo inizio di Serie A sta toccando palla nella trequarti avversaria meno rispetto al suo solito, e quasi mai in area; non è mai stato uno da inserimenti lanciati o bravo a raccogliere i tap-in, dando il meglio di sé nelle conclusioni n porta sugli scarichi. Aspettarsi che il Parma possa schiacciare diverse squadre di Serie A è illogico, per il livello superiore e per il proprio stile di gioco; è facile che arrivi alla conclusione meno spesso. Il suo tiro da fuori rimane comunque pericoloso e gol come questo potrebbero non tardare ad arrivare.
Bernabé ha poco di quello che è richiesto dal calcio moderno: non è alto, non è un freak atletico, non copre tanto campo. Se siete tra quelli che non hanno fatto ancora pace con il calcio moderno, il calcio del gegenpressing e dei giocatori grossi, la visione di Bernabé può avere nelle vostre vite un effetto calmante. A ogni suo slalom e tocco di suola, avrete l’occasione per rilassarvi, entrare in uno stato meditativo e rilasciare buone dosi di endorfine.
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