Jannik Sinner è nato per questo
Il numero 1 al mondo vince gli US Open nel momento più difficile della sua carriera.
La voce di Johnson Righeira cantava L’estate sta finendo: mai il tramonto della stagione è stato così felice per il tennis italiano. Ma il successo di Jannik Sinner nel singolare degli US Open 2024, il secondo dell’anno dopo quello di Melbourne, è il culmine di tante difficoltà passate nell’ombra. Inimmaginabili se si pensa alla portata del traguardo raggiunto. Eppure molto pesanti, anche struggenti.
La nostra storia parte dall’inizio dell’estate, un paio di mesi fa: mai come in questa occasione il contesto fa la differenza e aggiunge valore al titolo vinto.
Difficoltà e polemiche: un’estate complicatissima
L’amarezza dell’eliminazione a Wimbledon, ai quarti di finale, dopo aver combattuto per 5 set contro Daniil Medvedev: sembra ormai El Clásico, il match contro il russo che in terra inglese lo vede trionfare ma che si riproporrà anche in avanti. Nulla di male nel masticare amaro per un risultato sportivo, appesantito ulteriormente dal secondo slam stagionale vinto da Carlitos Alcaraz, deciso a rimettere in discussione il primo posto del ranking ATP comunque ancora saldamente in mano a Sinner.
Pochi giorni dopo una tonsillite lo mette k.o. in vista delle Olimpiadi di Parigi, evento da lui attesissimo e accolto con entusiasmo nelle interviste. E invece niente: Sinner è costretto a dare forfait, manifestando tutta la delusione. Un tennista già al centro della scena per le ammirevoli qualità, discusso sul duello di cittadinanza Italia-Austria, chiacchierato sulle speculazioni in tema tasse a Montecarlo. Ha già tutto per essere odiato.
La mancata partecipazione ai Giochi è terreno fertile per ulteriori polemiche e insinuazioni, con quel carico di morale e populismo che tanto piace a chi tende a spettacolarizzare. Soprattutto dopo la partecipazione al Masters 1000 di Montreal, sovrapposto alle Olimpiadi, dove intanto l’Italia del tennis scrive la storia con protagonisti diversi: bronzo nel singolare maschile per Musetti, oro nel doppio femminile per Errani-Paolini. Due medaglie, 100 anni dopo l’ultima volta.
Cinque mesi in un abbraccio
In un climax pronto a raggiungere il culmine, il vertice della parabola si chiama Clostebol. Il caso doping da una parte consegna Sinner alla gogna mediatica, dall’altra scoperchia il vaso di Pandora su mesi di silenzio e sofferenze ignote al mondo, per lui e per il suo team.
Riassunto più breve possibile, per la cronaca. Il 20 agosto, appena dopo la vittoria del Masters 1000 di Cincinnati, esce il comunicato che racconta tutto: ad aprile Sinner è stato informato di essere risultato positivo a un controllo antidoping, nello specifico per un miliardesimo di grammo di Clostebol. Inizia subito la collaborazione con l’ITIA e si scopre la causa: un prodotto usato dal fisioterapista Naldi per curare un dito ferito, reperibile senza ricetta e contenente minime quantità della sostanza, entrata involontariamente a contatto con Sinner durante un trattamento senza guanti: contaminazione involontaria. Il comunicato stesso contiene la decisione, che ritiene Jannik Sinner innocente.
La WADA (World Anti-Doping Agency) non ha presentato alcun ricorso al Tar dopo tale sentenza; ha ancora 21 giorni per farlo, a partire dal 10 settembre: le motivazioni in gioco sono solide e credibili.
Da aprile ad agosto: un silenzio di tomba sui mesi passati da Sinner, Vagnozzi, Darren Cahill e dal team, scoperchiato dalla notizia arrivata a giochi fatti. Il tempo concede la possibilità di ritrattare gli eventi e di valutarli sotto una lente diversa. Tutte le vicissitudini di Sinner fin qui raccontate, già tutt’altro che facili, hanno visto questa mano invisibile pendere sul suo conto.
E qui subentra la vittoria del Masters 1000 di Cincinnati, in finale contro Tiafoe, poche ore prima che il mondo conoscesse il caso doping. Oltre a un tanto raro quanto umano e toccante grido liberatorio, una volta vinto il torneo, è stato un abbraccio, quello tra Vagnozzi e Cahill, ad assumere adesso tutto un altro sapore.
Falsa partenza a Flushing Meadows, poi la strada spianata
Così Sinner si presenta alle due settimane di US Open, con fiducia generale per il ritorno sull’hard court, il cui feeling è stato confermato in Ohio. Stavolta l’arrivo a New York è insolito, ancora avvolto dalla nube di mostri che non c’entrano nulla con il campo e che hanno cercato per mesi di risucchiare energia e forza mentale a Sinner per portarle altrove. C’è curiosità su come il n°1 reagirà a una quantità di pressioni, silenzi, tante tante chiacchiere (anche da parte di chi non si aspettava) generatesi in un brevissimo lasso di tempo.
Il primo avversario è il padrone di casa Mackenzie McDonald, tutt’altro che insormontabile. I precedenti parlando di un paio di turni al Roland Garros in scioltezza e una finale a Washington sofferta, ma comunque l’italiano li ha vinti tutti. Sinner entra in campo in ritardo. O meglio, nel primo set sembra esserci una controfigura. L’apprensione cresce col passare dei minuti: il 2-6 lascia sgomenti.
Il preoccupante dubbio è che questa falsissima partenza possa essere dettata da un peso (stavolta sì) imbattibile - se è vero, come è vero, che questo è il momento più difficile della carriera. Una sensazione palpabile fra tutti, tranne però per Sinner, che appena conquistato il primo break mette le cose a posto e concede appena 5 game a McDonald fino al termine dell’incontro: una rimonta senza appello.
Fa più rumore lo spavento iniziale rispetto a qualche segnale incoraggiante nei 3 set successivi; l'#1 ATP, nella prima settimana di uno dei grandi slam, è chiamato alle attese più alte. Sinner si riprende tutto nei due turni successivi, convince anche i più scettici. Finalmente frammenti della schiacciante qualità che mancavano da tempo. Contro Alex Michelsen - 6-4 6-0 6-2 - l’altoatesino migliora tutte le percentuali statistiche rispetto al primo incontro. Si conferma battendo anche l’australiano Christopher O’Connell al terzo turno - 6-1 6-4 6-2.
Più lo si vede giocare, meno sembra spaventato dalla “scomoda” pressione. Sembra nato per questo, è inscalfibile. Il top è il suo habitat naturale: i primi tre incontri saranno solo un preludio a una settimana da vincente fuori categoria. Non tanto per la brillantezza del suo tennis, molto più evidente in altri successi, quanto per la migliore caratteristica del miglior tennista del momento sul pianeta: la testa.
La mente e il corpo: la seconda settimana
L’affaccio alla seconda settimana è incoraggiante, Sinner arriva agli ottavi di finale con l’acquolina in bocca. Van de Zandschulp e Popyrin hanno appena architettato due colpacci in piena regola: fuori Carlos Alcaraz al secondo turno e Novak Djokovic al terzo. Quello che alla vigilia sembrava un tabellone infernale si trasforma in una grossa opportunità, che vede come unico vero ostacolo prima della finale il quarto contro Daniil Medvedev.
Prima però c’è Tommy Paul, il primo che possiamo definire avversario per un Sinner comunque superiore in ogni fondamentale. Una partita in cui il problema delle basse percentuali al servizio trova la sua massima espressione (49%), eppure Sinner vince in tre set, concedendo solamente 4 palle break al suo avversario. La percentuale di conversione della prima resta ottima, a differenza di quella di Paul, anche grazie all’efficacia in risposta, ma soprattutto Jannik dimostra sempre più controllo negli snodi cruciali della partita.
Sinner vince altri 2 tiebreak, portando il suo score a 14 successi negli ultimi 15 giocati e invertendo la rotta rispetto al trend del 2023. Un numero 1 che fa cose da numero 1.
Dall’altra parte del tabellone Zverev cede ai quarti contro Taylor Fritz per il secondo Slam consecutivo, urlando al mondo le sue fragilità: la sfida tra Sinner e Medvedev assume ancora di più i contorni dello scontro decisivo. Sinner, con l’onore ma anche l’onere del primo posto nel ranking, parte favorito, ma Medvedev gode di un piccolo vantaggio psicologico, avendo vinto l’ultima sfida sempre ai quarti sull’erba di Wimbledon: Medvedev aveva tirato fuori un tennis quasi perfetto e Sinner sembrava limitato sia fisicamente sia, con il senno di poi, mentalmente.
A New York, però, non c’è quasi mai partita. Sinner non cade nella tela di Medvedev, riesce ad accorciare gli scambi e a rispondere bene alle prime di servizio del russo. Il secondo set vinto da Medvedev è figlio di un parziale giocato alla perfezione, che lo ha costretto ad abbassare i ritmi e a subire, in particolare nel terzo set, tutta la pesantezza dei colpi di Sinner. Il muro issato a Wimbledon è tornato a rompersi, come nei precedenti 5 incontri tra i due giocati proprio sul cemento, nei quali Sinner aveva avuto la meglio.
Sinner molto lucido mentalmente e tatticamente, che sfruttava la rapidità del campo per venire a rete sul proprio servizio e provava a mescolare le carte quando possibile, come confermato al termine della partita.
Se contro Paul e Medvedev abbiamo potuto apprezzare il consolidamento della forza mentale, nella semifinale contro Draper a fare da protagonista è la crescita fisica. L’inglese ha giocato un ottimo torneo e una buona semifinale, cercando per i primi due set di rimanere a contatto e di sostenere il ritmo di Sinner, con condizioni climatiche al limite e un’umidità quasi insostenibile.
Draper suda, vomita e nel terzo set sembra sull’orlo dello svenimento. Dall’altra parte Sinner non fa una piega. Comanda da fondocampo, il suo ritmo diventa per il suo avversario sempre più asfissiante, consumandolo. La paura per il problema al polso passa velocemente così come il terzo set, nonostante l’enorme spessore mostrato da Draper, che resiste stoicamente alle richieste di pietà del proprio corpo e termina la partita con la standing ovation dell’Arthur Ashe.
Leggerezza
Non c’è stata partita in cui Sinner non sia partito favorito: la finale contro Fritz non fa eccezione. Alla vigilia e poco prima dell’incontro, non ci sono motivazioni razionali per credere in un successo dello statunitense, che deve sperare in una giornata no di Sinner e in un rendimento isneriano nei propri turni di servizio. Sin dal primo game emergono chiaramente i valori in campo, con Sinner che domina gli scambi e impone un ritmo troppo sostenuto perché Fritz possa stargli dietro.
È una partita a tratti noiosa: nonostante il tifo per Sinner ci scaldiamo solo quando nel terzo set Fritz inizia a tirare tutto quello che ha gli capita sulla racchetta, che lo porta in vantaggio di un break. In quel frangente è in simbiosi perfetta con il pubblico.
E Sinner lo accetta. Non si scompone ma lo accetta.
Da quel momento in poi, vedere come in una manciata di punti l’inerzia sia tornata interamente tra le mani di Sinner è impressionante. Nulla ha potuto scalfirlo: né la qualità del tennis di Fritz, nemmeno il frastuono di una folla immensa, tutta a stelle e strisce. Fritz meriterebbe di portare la partita al 4° set, ma alla fine, in qualche modo, la perde subito.
Sembrerà strano, ma vincere quando si deve vincere è una qualità che hanno in pochi. A Flushing Meadows non l’ha avuta Alcaraz, sconfitto da un mix tra Van de Zandschulp e se stesso. Non l’ha avuta Djokovic, che sulla radicalizzazione di questo concetto ci ha costruito una carriera, arrivando spesso a vincere anche quando non avrebbe dovuto. Non l’ha avuta nemmeno Zverev, crollato ancora una volta sotto il peso delle sue insicurezze.
Non abbiamo visto la miglior versione di Sinner. Quella spettacolare e devastante vista a fine 2023 e che lo ha portato alla vittoria dell’Australian Open. A New York c’era un Sinner più consapevole, maturo; più numero 1, che a Melbourne ancora non era e che nei due slam centrali non è riuscito a godersi a pieno.
Quando il caso Clostebol è venuto a galla, probabilmente si aspettava una reazione diversa sia dai media che dai suoi colleghi. Per lui l’importante era togliersi la spada di Damocle, ma dopo la sentenza si è ritrovato comunque al centro dell’attenzione. A rendere questa vittoria ancora più speciale è anche il momento stesso in cui è arrivata. Sinner sopra tutto e sopra tutti, intoccabile.
A Melbourne, al termine di una partita estenuante, Sinner si era lasciato cadere, come sgonfiato da tutta la tensione emotiva dell’incontro e delle aspettative su di sé dopo lo splendido finale di stagione. Una liberazione interiore.
A New York invece, dopo una partita mai in discussione, Sinner è sembrato spiccare il volo, con il volto luminoso verso l’alto e le braccia a toccare il cielo, libero da un peso che voleva schiacciarlo sotto terra. Una forza estranea, venuta da fuori, scacciata con la maturità del migliore al mondo.
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