Allenare godendosi la vita, intervista a Vanni Sartini
Una lunga chiacchierata con l'allenatore dei Vancouver Whitecaps, unico mister italiano in MLS.
Vanni Sartini ha avuto un percorso tutt’altro che usuale: docente dei corsi per allenatori della FIGC, assistente di Davide Nicola in Serie A, mister in prima persona in Canada, paese di cui si è laureato campione nazionale nel 2022 e nel 2023 alla guida dei Vancouver Whitecaps - una delle tre squadre del paese che gioca nella MLS - della cui tifoseria il tecnico nativo di Firenze è diventato un idolo.
La prima chiamata è su WhatsApp, verso le 19 italiane del 28 agosto: a Vancouver sono le 10 del mattino, i Whitecaps la sera prima hanno conquistato l’accesso alla terza finale consecutiva del Canadian Championship grazie alla vittoria per 1-0 contro il Pacific nella semifinale di ritorno. La chiacchierata - un’ora e mezza piacevole e vissuta in religioso silenzio dal resto dei presenti in entrambe le case, qui in Basilicata e là in Canada -, spazia tra calcio, politica, società e Fiorentina, squadra di cui Sartini è tifosissimo. Una delle prime cose che l’allenatore dei Vancouver Whitecaps chiede è di dargli del tu.
Partiamo dalle origini: che giocatore era il Vanni Sartini portiere?
Un buon dilettante, diciamo così. Ero un giocatore a cui piaceva tantissimo già pensare da allenatore mentre giocavo, mi piaceva partecipare al gioco anche se ero portiere, uscivo tanto fuori dall’area. Ho giocato in Prima e Seconda Categoria: la palestra del dilettantismo in Italia è fondamentale, se non avessi giocato 13-14 anni in quei campionati, dai 18 ai 31-32, non sarei mai diventato l’allenatore che sono.
Le prime esperienze da allenatore furono tra Mezzana e Luco di Mugello, tra i dilettanti in Toscana. Che ricordi hai?
Luco è dove ho finito di giocare e l’anno dopo mi diedero la squadra: mi sono fatto male a metà campionato, davo già una mano all’allenatore. L’anno dopo mi chiesero di restare. Fare l’allenatore con tutti i ragazzi con cui ero nello spogliatoio da giocatore è stato molto difficile: quando fai l’allenatore devi essere sempre onesto e giusto ma non puoi essere sempre l’amico.
Poi sono stato a Mezzana: è stato bello perché sono andato in una società che puntava tantissimo sul settore giovanile, non investivano niente su giocatori affermati a livello dilettantistico. Mi ha formato tanto nel lavorare coi ragazzi, nel migliorare i giocatori, nel non lamentarsi se non hai i giocatori migliori ma nel creare qualcosa di diverso. Magari vincere perché lavori meglio, sei più organizzato. Mi sono divertito tanto perché poi quello era il mio mondo, gente con passione enorme che si allena 3 o 4 volte a settimana dopo aver lavorato, lo ricordo con tanto piacere.
Chi sono i tecnici a cui ti ispiri maggiormente?
Da un punto di vista tattico, mi è sempre piaciuto tantissimo Conte come organizza la squadra in maniera offensiva: mi piace un calcio non troppo di possesso, più verticale e d’attacco, veloce nell'andare nella metà campo avversaria. Mi piace molto a livello difensivo quello che ha sempre fatto Sarri: una difesa di reparto tutto a zona, relativo alla palla e non all’avversario.
Mi piacciono tantissimo altri dal punto di vista comunicativo e di gestione: penso che Ancelotti sia il migliore nella gestione del gruppo, Jürgen Klopp il migliore nella comunicazione coi giornalisti e nell’empatia con i tifosi.
Se devo dire l’allenatore più importante nella mia vita, l'uomo a cui mi ispiro come idea di persona e lavoratore, questo è Renzo Ulivieri: è stato il mio direttore alla scuola allenatori a Coverciano, mi ha fatto capire un miliardo di cose su come fare l’allenatore e non smetterò mai di ringraziarlo. Finché avrò 65 anni mi considererò un suo discepolo.
Insieme all’attività da allenatore di squadre dilettantistiche, inizi a lavorare nel Centro studi e ricerche di Coverciano, grazie al quale hai la possibilità di girare l’Europa. Cosa facevi? Cosa ti sei portato dietro da quell’esperienza?
A 27-28 anni avevo fatto un master dopo la laurea in management dello sport: ho avuto questa possibilità prima come stagista e poi sono stato assunto al Centro studi. Facevamo ricerche e produzione di documenti di ogni tipo, dall’analisi di settori giovanili in tutta Europa al correttore di bozze, dall'aiutante nel creare le tesi per gli allenatori dell'UEFA PRO al seguire qualsiasi progetto della scuola allenatori.
Nel 2008 la UEFA creò l'UEFA Study Group Scheme - oggi UEFA Share -: scambi culturali obbligatori tra federazioni europee, con allenatori italiani che dovevano andare all’estero a vedere cosa succedeva e allenatori esteri dovevano venire in Italia. Siccome ero probabilmente l’unico a Coverciano che sapeva bene l’inglese, lo spagnolo e altre lingue, mi chiesero se potevo coordinare questo programma. Mi ha dato la possibilità di viaggiare per tutta Europa e nel mondo, insegnare ma soprattutto vedere tantissime cose.
Ho visto cose che ancora mi ispirano, cose che Guardiola ha fatto ma che ho visto riprodotte in Islanda in alcuni settori giovanili, ho visto lavorare in Serbia dal punto di vista tattico sulle microsituazioni: una formazione continua, anno dopo anno, che mi ha arricchito enormemente.
Visto che hai lavorato in quell’ambito, secondo te la scuola di Coverciano ha davvero una marcia in più rispetto alle altre scuole di allenatori europee?
Coverciano ha una marcia in più per una semplicissima ragione: molte altre scuole europee promuovono un'“identità di gioco” che si identificano direttamente con la singola Nazionale. La grande forza di Coverciano è che il nostro stile non è avere un gioco definito ma insegnare qualsiasi cosa ai nostri allenatori, avere la più grande varietà tattica del mondo nel nostro calcio. Secondo me è il sale che dà agli allenatori italiani quella marcia in più per poter avere più conoscenze tattiche.
Da un punto di vista medio, è vero che gli allenatori italiani sanno di più di tattica di qualsiasi altro allenatore: l’enorme varietà che si insegnano a Coverciano stimola qualsiasi allenatore a trovare mosse e contromosse, arricchisce enormemente la nostra cultura.
Digressione: come Allegri, Sarri, Spalletti e infiniti altri, sei toscano. Come mai dalla tua regione provengono così tanti allenatori? C’entra la vicinanza con Coverciano o ci sono anche altri fattori?
Secondo me c’entra tantissimo anche Coverciano. Una delle ragioni per cui io ho cominciato a lavorare a Coverciano è perché non costavo niente alla federazione nei primi mesi: essendo di Firenze, potevo andare lì come stagista a costo zero. Avere un’università del calcio accanto a casa secondo me facilita ad avere l'idea di volerti migliorare: ora è molto più semplice con Internet e tutto, ma prima dovevi andare là per consultare le tesi, vedere libri, assistere a qualche allenamento aperto o convegno. Essere toscano o fiorentino come me è di sicuro un vantaggio, Coverciano ce l'ha dato.
Presumo che però adesso, con le nuove tecnologie, in cui tutto si può raggiungere dappertutto, sia molto meno marcato del passato.
Tra le altre cose, hai fatto anche parte del dipartimento di match analysis delle nazionali giovanili italiane. Cosa ci puoi dire sull’influenza di Maurizio Viscidi nei gruppi di lavoro?
Ho lavoricchiato con le giovanili prima dell’arrivo di Viscidi, ma conosco Maurizio molto bene: ha lavorato in maniera fantastica. Il problema di quando ho cominciato io a lavorare a Coverciano nel 2004 (Viscidi è entrato nell'organigramma nel 2010, nda) è che non c’era nessun coordinamento. Non c’era una struttura che potesse supportare gli allenatori delle varie squadre giovanili, strutturazione dello scouting, match analysis e il resto. Maurizio è stato portato da Sacchi, che era il direttore delle nazionali giovanili.
Nei primi dieci anni degli anni Duemila penso che non abbiamo mai fatto una finale giovanile, negli ultimi 7-8 anni invece non c’è paragone coi risultati di Under20, Under19 e le altre. Ad alto livello l’Italia non fa però bella figura, sulla produzione dei giocatori italiani vado un po’ controcorrente: non penso che siamo così in un brutto momento come la gente pensa, l’Europeo è stato brutto dal punto di vista di performance ma non siamo così brutti come Euro2024 ci ha fatto credere.
Come fu, invece, l’esperienza da assistente di Davide Nicola tra Livorno e Bari? Come ti ha aiutato a crescere?
A Bari sono stato poche settimane: la Federazione non mi lasciò, collaborai da esterno. La vera collaborazione sono stati gli anni di Livorno, in cui ho fatto il match analyst all’inizio e poi l’allenatore in seconda. Avevo sempre fatto il mister a livello giovanile, avevo conosciuto Davide attraverso Coverciano e lui cercava una persona che potesse aiutarlo nell’analizzare la propria squadra con occhi diversi ma che ragionasse come un allenatore. Fui onorato e molto sorpreso che lui mi impose, di fatto, alla società, perché gli piaceva il mio lavoro.
La cosa che ho imparato di più da Davide è stata come si gestisce un gruppo di lavoratori, come ci si pone di fronte alla professione dell’allenatore: ho visto un uomo convinto delle sue capacità, però voglioso di imparare cose nuove, uno che accettava consigli da chiunque, valorizzava tutte le persone intorno a sé sempre mantenendo una naturale autorità. Da quando sono diventato allenatore in prima, continuo a ispirarmi a come lui gestiva lo staff, non solo quello tecnico ma anche il medico. Ho imparato tantissimo in quei 18 mesi.
Nel 2016 la Federazione statunitense ti chiama per insegnare nelle scuole per allenatori locali. Come si materializza questa opportunità?
Giravo il mondo per conto di Coverciano, conoscevo tantissima gente e avevo sempre avuto questa idea di lavorare all’estero. Mi ero fatto un nome come formatore di allenatori e allenatore, ho avuto un paio di contatti. La serendipità fu che la federazione statunitense assunse il direttore tecnico della federazione olandese: mi conosceva molto bene perché eravamo stati a fare della roba per la UEFA insieme, dandogli il compito di chiamare gente per poter fare il formatore di allenatori e anche lavorare con le nazionali giovanili.
Ho fatto tutto il processo di interviste: c’erano tantissimi candidati, però per fortuna mi hanno deciso di prendere ed è stata una bella esperienza di 3 anni a Chicago.
Qual è il primo impatto in quel mondo? Almeno inizialmente ti è venuta la tentazione di tornare in Italia o hai sempre pensato che fosse la strada giusta?
No: quando me ne sono andato pensavo di starci solamente per i 3 anni di - 2016, 2017, 2018 -. Stiamo battagliando contro gli sport maggiori - NFL, NBA e MLB -, nella federazione americana c’è una tale voglia di promuovere il gioco a tutti i livelli, con le nazionali per fare i migliori risultati o con la scuola allenatori e l’attività di base. Ho trovato persone con un entusiasmo enorme, questa è la cosa che mi ricordo meglio.
Negli USA ti devi adattare: arrivi in un contesto completamente diverso, ci sono cose che dai per scontato. Il modo di interfacciarti con allenatori e giocatori deve cambiare perché il linguaggio è diverso: noi ne abbiamo uno tattico che ha probabilmente 1000 parole, in inglese di parole ce ne sono 200. Devi poterti esprimere in una certa maniera, capire che ci sono metodologie di insegnamento diverse e che tutto quello che hai fatto fino a questo momento non è perfetto. Puoi arricchirti con tecniche diverse e portare le tue esperienze.
In che modo arrivi a lavorare nei Vancouver Whitecaps? Che ricordo hai degli anni in cui ti alternavi tra un ruolo nello staff tecnico e uno nell'Under-23?
Io ero il responsabile del corso Pro della MLS, eravamo in due. Il corso era insegnare agli allenatori, era il mio lavoro principale, specialmente nel 2017 e nel 2018. Si trattava di andare in giro per diverse squadre di MLS - stavo con loro una settimana, a volte due settimane - e seguivo l’allenatore di quello staff che faceva il corso. Davo feedback, parlavo con loro, si instaurava un rapporto enorme con tantissimi: conosco bene molti allenatori perché il modo in cui la federazione lavorava si basava sul vissuto comune con la squadra dove questi lavoravano. Non solo agivi da istruttore ma ti arricchivi tantissimo con la cultura vedendo come funzionava il calcio di alto livello in Nordamerica.
Quando il contratto stava per finire, alla fine del 2018, dissi alla federazione che non avrei rinnovato per un semplice motivo: mi mancava il campo, avere una squadra, lavorare con un gruppo. Se volevo continuare anche a fare l’istruttore in futuro, dovevo riconfrontarmi col campo. Avevo una certa reputazione di fine mente tattica: diversi allenatori mi contattarono per poter entrare nel loro staff.
Ebbi colloqui con Josh Wolff che stava firmando con Austin per andare là, uno coi Chicago Fire per fare il responsabile del settore giovanile, ma la proposta più decisa fu quella dei Vancouver Whitecaps tramite il loro allenatore, Marc Dos Santos, che mi chiese di fare il secondo come Nicola a Livorno. Voleva un altro paio di occhi per poterlo anche sfidare e avere voce in capitolo: nel 2019 ho fatto il secondo tutto l’anno. Abbiamo lavorato tanto, la squadra era completamente in rifondazione e i risultati non venivano tantissimo. Il secondo anno, il 2020, ci fu il Covid. Un anno pazzo: essendo canadesi che giocavano nella lega americana, col confine chiuso ci siamo dovuti fare una relocation.
Ho vissuto a Portland per 4 mesi in un hotel perché giocavamo lì e non potevamo stare a Vancouver, dovevamo stare isolati. Anche per questa situazione al limite andai dalla società e dissi “Ho un po’ di mercato in USL (Serie B americana, nda), un po’ di squadre mi hanno contattato per fare l’allenatore, vorrei non rimanere”. Vancouver mi disse “Perché non rimani e non fai l’allenatore della seconda squadra e il responsabile del settore giovanile? Formeresti tutti gli allenatori del settore giovanile...”: era una cosa che aveva un certo appeal per me, mi piace insegnare agli allenatori.
Nel 2021 ho cominciato la stagione così: 9 mesi fantastici, abbiamo cambiato tutta la metodologia di lavoro del settore giovanile. Sono molto contento di aver creato un certo tipo di cultura, chi è venuto dopo di me nel settore giovanile sta portando avanti. Prima era un po’ troppo a compartimenti stagni, abbiamo lavorato molto bene.
Poi, alla fine di agosto 2021 in una partita di Coppa del Canada, contro il Pacific, la squadra venne eliminata ed era ultima in classifica in MLS: mister Dos Santos venne esonerato e mi chiesero di fare il traghettatore, per 4-5 partite finché non avessero ingaggiato il nuovo allenatore. Abbiamo cominciato a vincere, un miracolo assoluto: eravamo ultimi e in 14 partite abbiamo fatto 28 punti, siamo andati ai playoff arrivando 6° e la gente ha cominciato ad amarmi. Mi hanno confermato in panchina, e il resto è storia.
Anche considerando che eri uno straniero, come ti sei relazionato ai giocatori nelle prime settimane? Che chiave hai trovato per far ottenere tali risultati a una squadra che, come hai detto, al momento del tuo arrivo era ultima nella Western Conference?
Arrivai e dissi “Non si fa niente di speciale ma bisogna cambiare registro, se le cose non vanno bene bisogna cambiare”. Fondamentalmente mi fidai del mio istinto, mi aiutò tantissimo che allenavo la squadra giovanile lì, conoscevo benissimo tutti i giocatori e avevo da tempo le mie idee su come secondo me la squadra dovesse funzionare. Non è che dovevo creare dal niente.
Fu uno shock: abbiamo cambiato completamente principi tattici e sistema di gioco. Essendo già nella società, e il fatto che fino alla fine del campionato sembrava che io dovessi stare solo per 15 partite, non dette a me la possibilità di sperimentare. Era “O la va o la spacca” e molti di loro, siccome mi conoscevano- devo ringraziare specialmente il capitano Russell Teibert e Andy Rose, ragazzi di esperienza -, mi seguirono immediatamente.
L’altra cosa che sono molto contento di aver fatto è che, al contrario della gestione precedente, cercai di coinvolgere più giocatori possibili. Non mi piace la parola “turnover”, ma credo tantissimo nel dare opportunità ai giocatori: ci sono forse 3 o 4 insostituibili in ogni squadra squadra, per il resto devi avere 16-17-18 titolari, sennò l’atmosfera nell’allenamento diventa invivibile.
Tra il 2022 e il 2023 la squadra ottiene un 9° e un 6° posto nella Western Conference. Come giudichi il processo di crescita della squadra in quei due anni?
Il 2021 non lo considererei perché è un miracolo: dal punto di vista tecnico la squadra, se la si paragona a quella di adesso, è peggiore, ma abbiamo fatto risultati assurdi, tutte le cose si allinearono per noi. Dal 2022 abbiamo cominciato a cercare di lavorare come volevo e abbiamo sempre migliorato: un inizio pessimo, poi abbiamo fatto molto bene e abbiamo perso l’accesso ai playoff all’ultima giornata contro Minnesota. L’anno scorso abbiamo fatto strabene, giocando meglio.
Quello che ho tentato di fare è migliorare gradualmente la squadra: nel 2022 organizzazione difensiva, contropiede e palle inattive, la squadra non aveva grandissime qualità e quindi si giocava sugli altri, per dirla in maniera molto semplicistica. Nel 2023 abbiamo aggiunto un paio di pezzi e abbiamo cominciato a giocare anche un po’ di più. Nel 2024 abbiamo raggiunto il più alto livello da quando sono qua. Il miglioramento non è derivato solo dal fatto che abbiamo qualche giocatore migliore: io sono un allenatore migliore di tre anni fa, ho uno staff migliore di tre anni fa.
Abbiamo vinto una coppa (il Canadian Championship, ndr) sia nel 2022 che nel 2023: per noi è assurdo, negli ultimi 25 anni si era vinto solo un trofeo, se n’è vinti 2 in 2 anni!
Hai definito la serata della vittoria del titolo canadese del 2022, ai rigori contro il Toronto, la più bella della tua carriera. Come è vissuto nell’ambiente questo torneo, che mette in palio la supremazia nazionale?
È molto sentito dai tifosi, c’è un grandissima rivalità con Montreal e Toronto, squadre di MLS, ma anche con le squadre di CPL, che chiaramente spendono meno di noi e sono gli underdog della competizione. Anche ora in semifinale: noi abbiamo vinto 1-0 e 1-0, Toronto aveva perso a Hamilton con Forge e ha vinto al ritorno. La competizione ti qualifica per la Champions League: noi abbiamo fatto per due volte la Champions League negli ultimi anni perché abbiamo vinto la coppa, è stato molto bello.
Quella del 2022 è stata una serata speciale: nessuno pensava che potessimo battere Toronto, lì erano appena arrivati i tre italiani, spendono 20 volte più di noi. Averli battuti ha cambiato la mente del club e dei giocatori, ha dato quella consapevolezza che si poteva di più: gli Whitecaps, che avevano vissuto nella mediocrità negli ultimi 10 anni, potevano vincere trofei, qualificarsi per i playoff in maniera continuativa - se lo facciamo quest’anno, sono 3 volte su 4 negli ultimi anni, non era mai successo. Ha dato anche più visibilità alla squadra, si poteva essere anche un pochino più attraenti per qualche giocatore.
Quest’anno la sua squadra è al momento in piena zona playoff e in finale del Canadian Championship. Qual è il vostro obiettivo?
Cercare di fare il three-peat, vincere un Canadian Championship che sarebbe storico: solo il Toronto stellare di Giovinco, Altidore e Bradley, che ha vinto anche la MLS Cup, ha vinto 2016, 2017 e 2018. Noi lo faremmo 2022-2023-2024, sarebbe grandioso. Altra cosa, il record di punti: gli Whitecaps in regular season non hanno mai fatto più di 53 punti (2013), farne 54 vorrebbe dire quasi sicuramente finire 4°, massimo 5°: non sarebbe il massimo che possiamo fare, ma è un grandissimo risultato.
Per il 2025, vogliamo costruire da quest’anno. Non siamo una squadra che compra Messi, Reus o Giroud, siamo una squadra che investe tantissimo in giocatori mirati, giovani che possono salire. Abbiamo portato in prima squadra 4 giocatori che erano nel settore giovanile negli ultimi 2 anni e che adesso sono stabilmente in prima squadra, Ali Ahmed è anche stabile nella nazionale del Canada. Vogliamo continuare a essere così: l’unica maniera per poter ottenere risultati è lavorare più degli altri, lavorare meglio.
Per fortuna il calcio è il gioco più collettivo che c’è, non è sempre detto che chi paga di più o chi ha i giocatori migliori vince. Ci aiuta tantissimo anche la struttura della MLS col salary cap, che permette di non avere differenze enormi.
La Leagues Cup, che inizia a due terzi della stagione di MLS, è vista come un intralcio o come un’opportunità per fare delle rotazioni e per confrontarsi con un altro campionato?
Mi piace tantissimo giocare un torneo con tutte le squadre di MLS e le messicane, non mi piace il fatto che sia un torneo che dura solo un mese. Potrebbe essere un torneo che dura 6 mesi. La Champions League dura da gennaio a giugno, la Leagues Cup potrebbe durare da luglio a novembre. In questa maniera, spalmandolo su tutta la stagione, non interrompi nulla. Ora ci tocca giocare tantissime partite: mercoledì-sabato, mercoledì-sabato, mercoledì-sabato, visto che devi finire entro la fine di ottobre.
Sarebbe un successo di pubblico maggiore: quest’anno abbiamo battuto Tijuana 3-1, ci siamo qualificati per il turno successivo, abbiamo passato il girone. Fino a due giorni prima della partita non sapevamo contro chi giocavamo, dove giocavamo, se giocavamo a Vancouver o giocavamo fuori casa e così via. Questo comporta un’affluenza di spettatori molto bassa, la gente non può vivere per noi.
Come fai a promuovere un evento se non hai tempo per farlo? La Leagues Cup viene vista un po’ così, per fare la rotazione, un po’ di intralcio. Poi se passi un paio di turni e arrivi agli ottavi o ai quarti di finale allora hai la possibilità di vincere un trofeo e metti tutti i giocatori. Ha un potenziale enorme, che dovrebbe essere sfruttato meglio.
Ci sono giocatori dei Vancouver Whitecaps che ritieni pronti per il salto in Europa?
Secondo me tutti i miei giocatori possono giocare in alcuni campionati europei. Se si parla di Bundesliga, Serie A, Premier League, Ligue 1 e Liga, penso che abbiamo un paio di giocatori che potrebbero essere titolari in questi campionati - Adrián Cubas e Ryan Gauld - e Ali Ahmed, che in futuro può sinceramente giocare in una delle top 5. Abbiamo Sam Adekugbe che lo ha già fatto e Alessandro Schöpf: Adekugbe è canadese che ha giocato in Europa tanti anni, Schöpf è un austriaco che ha giocato in Bundesliga. Brian White, centravanti, probabilmente è in rampa di lancio per poter giocare nelle top 5 ma chiunque può giocare in una medio-alta lega europea.
Solo i cinque campionati migliori sono migliori della MLS. C’è un’ignoranza enorme riguardo la MLS in Europa: si pensa che sia una lega di basso livello, non è così.
Non lo hai ancora affrontato, ma te lo chiedo lo stesso: come si prepara una partita contro Messi?
Si prepara non pensando a Messi. Non ho giocato contro Messi - non venne quando giocammo contro Miami - ma ho giocato contro Ibrahimovic, Bernardeschi, Insigne, Riqui Puig, giocatori di altissimo livello. L’unica maniera per contenere i giocatori di alto livello è non fare arrivare loro la palla o farla arrivare in posizioni non buone. Se pensi di marcare il giocatore di alto livello sei già finito: il giocatore di alto livello batte qualsiasi gabbia che tu possa pensare per lui.
La cosa migliore è cercare di difendere prima che la palla arrivi a loro, essere il più aggressivi possibile. Cercare di essere molto disciplinati nella pressione alta. Essere tatticamente disciplinato comporta avere le distanze giuste, se la palla arriva a questo giocatore bisogna raddoppiare tutte le volte che siamo vicini. Ma non c’è un trattamento speciale per il giocatore, c’è un trattamento speciale per cercare di limitare le fonti di servizio.
Sei diventato un idolo a Vancouver: oltre che per i risultati ottenuti, anche per le esultanze, che qualcuno ha paragonato a quelle di Klopp, e per le dichiarazioni polemiche, come quando ti sei lamentato dell’attenzione riservata alla tua squadra dal media canadese OneSoccer. Ti piace avere questo rapporto con la tifoseria?
Quello che vedi in televisione è quello che sono: sono un estroverso, mi piace prendere energia dalla gente, mi piace avere rapporti. Mi piace parlare con la stampa: penso che io piaccia perché non sono un banale, che ti dà la rispostina e via. Mi piace che la gente sappia quali siano le mie opinioni. Non sono mai stato uno che ha paura di dire quello che pensa: essere vero con te stesso ti dà la chiave per poter fare una performance di alto livello.
Trovo molto interessanti alcune dichiarazioni che hai fatto sul tuo pensiero politico, nelle quali ti sei definito un socialista. Sul tuo profilo Instagram vediamo una serie di storie in evidenza afferenti alla giustizia sociale e una frase di Karl Marx nella bio. Secondo te un allenatore, e in generale un personaggio conosciuto, può e deve esporsi politicamente?
Non ci trovo niente di male, non lo faccio per un tentativo di proselitismo, anche se qualora qualcuno si interessasse alla cultura di sinistra per quello che dico io sarebbe bello. Lo faccio per due ragioni: 1) il privato è politico, i tuoi valori sono quelli che porti in tutto quello che fai e 2) non dipingere un’immagine sbagliata di te. Mi sarebbe molto antipatico se la gente pensasse che fossi di destra, mi darebbe tanta noia. Perché non portare il messaggio che credi sia il più giusto verso le persone? Tutto questo, chiaramente, rimanendo nel rispetto delle idee di tutti, si può avere qualsiasi idea se queste accettano il rispetto degli altri.
Non accetto le idee del razzista perché se sei razzista non accetti le idee di chi non è della tua “razza”. Se te lo chiedono puoi dirlo, ma sei qui per fare l’allenatore di calcio e non per fare il politico.
Non ti ha creato problemi esprimere queste tue idee allenando una squadra di MLS, il campionato di un paese fortemente capitalista?
Non ancora. Ho la fortuna che alleno in Canada, un po’ meglio. Sono stato sempre aperto e per ora sono stato sempre molto fortunato che non ha portato nessun tipo di ritorsione. Probabilmente mi limita molto la possibilità di essere ingaggiato da qualche squadra di città o stati più conservatori, ma non mi ha dato nessun problema.
Come giudichi, dall’interno, la preparazione di Stati Uniti e Canada al Mondiale 2026? È un appuntamento da non sbagliare: le due nazionali hanno deciso di assumere commissari tecnici di spessore come Pochettino e Marsch...
Penso sia un’occasione enorme per lo sviluppo finale: ci sono tantissimi fans, gli stadi sono sempre pieni, il livello è buono. Abbiamo un problema, che non succedeva qualche anno fa: abbiamo il competitor internazionale. Quando ero ragazzino vedevi la Serie A e... la Serie A: adesso che tutti possono vedere tutto, la Premier League è il campionato che tutti vogliono. Comporta che il nostro contratto televisivo è molto basso: c’è bisogno di accendere un ulteriore interesse nella MLS se la si vuole portare a competere con le top 5.
Una delle chiavi potrebbe essere vincere o quasi il Mondiale: spero lo vinca il Canada, ma sarebbe molto importante per la MLS che lo vincano gli Stati Uniti. Questa preparazione sta andando in maniera spedita, sia da un punto di vista tecnico - commissari tecnici di altissimo livello - sia dal punto di vista delle venues. A Vancouver ci saranno 7 partite, la FIFA è venuta 5 o 6 volte per vedere i campi di allenamento. Allo stadio hanno già cominciato a fare dei lavori; c’è tutta una serie di iniziative con sponsor; c’è il Campionato mondiale per Club il prossimo anno che funziona da grandissima anteprima per la Coppa del Mondo. Sono convinto che sarà un grandissimo spettacolo.
A che punto sono, secondo te, USA e Canada? In Qatar hanno fatto un Mondiale discreto - Stati Uniti ottavi di finale, Canada fuori ai gironi però giocando bene...
Gli Stati Uniti hanno più talento del Canada: più giocatori, più possibilità, tantissimi che giocano nei campionati europei. Sono nazionali potenzialmente da quarto di finale, massimo semifinale, se tutto va bene. Il Marocco è arrivato in semifinale anche se c'erano squadre più forti e ha fatto un grandissimo Mondiale. Io non penso ci sia il talento per poter vincere il Mondiale: anche agli Stati Uniti, che hanno grandissimi giocatori, mancano dell'altissimo livello. Tanti giocano in Europa in squadre di medio cabotaggio, ma l’unico che dovrebbe essere titolare di una squadra di alto livello è Pulisic.
La stessa cosa succede per il Canada: l’unico titolare in una squadra di altissimo livello è Alphonso Davies, gli altri giocano in ottime squadre europee ma non giocano nel Barcellona, nel Manchester City, nell’Arsenal, nel Bayern Monaco, nella Juventus o nell’Inter, o se ci sono non sono titolari fissi.
Più in generale, invece, come valuti la crescita della MLS sotto gli aspetti tattici e tecnici? La presenza di allenatori di provenienza internazionale come te, Dean Smith, Sandro Schwoch e Gerardo Martino può aiutare?
La MLS è migliorata: sono arrivato nel 2016, in 8 anni è migliorata enormemente, non so neanche che termine di paragone darti.
Per me ci sono state due chiavi: 1) quando hanno cominciato ad allenare giocatori americani che hanno smesso e che avevano fatto tantissima esperienza in Europa, portando la loro conoscenza dai loro allenatori. Ti faccio dei nomi: Greg Vanney, Gregg Berhalter, Peter Vermes, hanno alzato il livello. 2) Negli ultimi anni sono arrivati allenatori stranieri di ottimo livello: Schwoch, Tata Martino, Wilfried Nancy con Columbus, Steve Cherundolo - è americano però ha giocato tutta la sua carriera in Germania, ha cominciato la sua carriera allenatore in Germania e ha fatto l’allenatore delle nazionali giovanili tedesche.
C'è una varietà che prima non c’era, tutti gli allenatori devono diventare più bravi e conoscere di più: se invece di giocare sempre contro lo stesso modo di giocare gioco una partita contro una squadra che fa possesso e difesa a 4, una partita con una che fa pressing alto e difesa a 3, una che sta uomo contro uomo, una a zona, con le ali o tutto dentro, porta cultura. Gli allenatori è così che diventano più bravi.
Negli ultimi anni alcuni giocatori sudamericani usano la MLS come trampolino di lancio: Thiago Almada, Alvaro Barreal e, nel caso della tua squadra, l’ecuadoregno Pedro Vite sono solo esempi Secondo te perché lo fanno?
La MLS ha fatto un ottimo lavoro nel crearsi questa nicchia di lega che sviluppa i giocatori per i tornei di alto livello. Penso che solo il campionato brasiliano è migliore della MLS in Sudamerica. Il campionato argentino chiaramente ha Boca, River e altre forti, però abbiamo strutture fantastiche, i giocatori vengono seguiti ecc ecc. Tutto questo ha portato il livello del campionato a essere alto, e quando c’è un livello del campionato alto, visto anche da squadre europee, i giocatori ci vengono volentieri.
Poi c’è anche un meccanismo molto semplice: c’è il salary cap, non si possono spendere tantissimi soldi per acquistare giovani dall’Europa. In Sudamerica gli stipendi sono più bassi, possiamo offrirne di un po’ più alti però sono sempre all’interno di una logica del salary cap. Adesso anche agenti di giovani sudamericani indirizzano i loro giocatori nella MLS perché la vedono come un punto di crescita e un ponte per tentare il balzo in Europa.
Insomma, la MLS non è più un campionato per giocatori europei a fine carriera?
Sì. C’è un altro grave equivoco: l’anno scorso, quando tutti questi giocatori forti che sono andati in Arabia Saudita, si diceva “Saudi League o MLS”... Penso che il confronto con la Saudi League non ha alcun senso: la MLS ha cambiato mission negli ultimi 12-13, è diventata una lega di sviluppo di due tipi di giocatori (sudamericani che poi vanno in Europa e i tantissimi giocatori che vengono dalle academies) molto simile a campionati di seconda fascia europei, serbatoio per i campionati di prima fascia. Ti faccio degli esempi: l'Eredivisie, il campionato belga, la Primeira Liga creano giocatori locali e acquistano giocatori stranieri, gemme nascoste che poi si rivendono alle squadre dei top5 campionati.
Spesso i giocatori italiani hanno difficoltà a trasferirsi all’estero, la MLS stessa non pullula di calciatori nostrani. Cosa diresti a un italiano per convincerlo ad andare in Nord America?
Se ha la possibilità di venire, che venga: la qualità del gioco è di altissimo livello, non è la Serie A ma c’è la qualità delle strutture, come i giocatori vengono seguiti dal punto di vista medico, l’organizzazione è di altissimo livello. Tra le città, che saranno 30 il prossimo anno con San Diego, secondo me 25 sono meravigliose da vivere - e non mi far dire le cinque che non mi garbano. Il livello di pressione è certamente più basso e ci si diverte. Ci sono tutti gli ingredienti.
Il problema è che abbiamo il salary cap più i tre DP (Designated Players, giocatori che è possibile ingaggiare al di fuori del salary cap, ndr). Nel salary cap conta anche quanto spendi per pagare un giocatore: penso che €800k netti li guadagna il 60% dei giocatori di Serie A, quindi il 60% di quelli appetibili se viene in MLS è un DP. Se poi ci aggiungi il costo dell’acquisto del giocatore, probabilmente l’80% sarebbe un DP.
Quindi è un cane che si morde la coda, che non lascia spazio a tante possibilità da un punto di vista proprio regolamentare, a meno che non sia un giocatore che diventa un DP, come Insigne e Bernardeschi, o che venga riducendosi lo stipendio perché vuole fare un’esperienza come Chiellini quando era a Los Angeles.
Nei prossimi anni vedi la MLS affiancarsi sempre di più ai campionati europei oppure il gap con i top5 è destinato a rimanere? Più in generale, anche in riferimento alla crescita della Saudi Pro League, nei prossimi tempi vedi il calcio diventare sempre più multipolare?
Il calcio diventerà sempre più internazionale e multipolare. Sono molto contento di questo in realtà, sono un internazionalista oltre che socialista: più c’è possibilità per chiunque di qualsiasi nazione e di qualsiasi posto di poter esprimersi, meglio è. La MLS li raggiungerà? Non lo so, molto dipende da come continueranno lo sviluppo economico e regolamentare della lega.
Adesso è molto difficile competere con le squadre dei top5 perché abbiamo un salary cap molto stretto, di cui io non sono un critico: a me piace perché dà la possibilità a tutti di poter spendere più o meno gli stessi soldi, c’è un senso della mutualità nella lega che non esiste nelle altre leghe europee. Però se il salary cap aumentasse… adesso è fissato a $8 mln, se diventa $40 mln è chiaro che si possono prendere più giocatori forti o si possono mantenere i più forti americani e canadesi. Nella nazionale canadese e americana, l’80% dei giocatori gioca fuori dalla MLS, già poterli tenere sarebbe una possibilità.
A meno che non cambino queste regole, la MLS non diventerà un campionato come i migliori ma può sempre alzare il livello e competere contro i campionati immediatamente sotto e ambire a essere una delle prime 10 leghe nel mondo.
Nei settori giovanili, invece, com’è la situazione? È vero lo stereotipo che l’aspetto tattico sia insegnato in modo molto più superficiale che in Europa?
Vero, ma non così omogeneo come prima: c’è tanta diversità nei settori giovanili e c’è tanta qualità. In alcuni posti è un po’ come dici tu, ma ci sono anche realtà in cui il settore giovanile è molto buono, ci sono tantissimi giocatori che escono dai settori giovanili della MLS verso campionati di altissimo livello. La lega ha investito enormemente negli ultimi 10-12 anni sulla formazione degli allenatori, la federazione pure ha investito enormemente, la creazione di competizioni...
È chiaro che ci sono stili diversi: l'aspetto tattico si cura tantissimo dagli Under-15, in alcuni posti si cura di più l’aspetto tecnico, in altri si lavora in stile Barcellona e Ajax, in altri ancora come il nostro si lascia libertà di fare qualsiasi cosa, ci sono multinazionali come il New York City FC e i New York Red Bulls che lavorano come gli dice il Manchester City o il Lipsia. Ci sono tantissime differenze che portano risultati, quindi non farei della facile critica su questa cosa.
Il sistema dei settori giovanili statunitensi, in generale, funziona? Come viene gestito il rapporto tra questi, i college e l’MLS Next Pro?
I settori giovanili della MLS funzionano, se sei di buon livello e le squadre di MLS riescono a stare dietro a questi ragazzi in maniera buona. C’è il Next Pro, il corrispondende della seconda squadra. A 17-18 anni normalmente viene fatta una scelta: se si pensa che il ragazzo possa essere un professionista rimane nel settore giovanile, se no va nel college; se va al college e ha fatto il settore giovanile, si mantiene la precedenza nel Draft.
Il problema in Canada e negli Stati Uniti è tutto quello che accade al di fuori della MLS, prima che tu arrivi nella MLS, esistendo il cosiddetto pay per play. Negli USA e in Canada è abbastanza costoso giocare a calcio, se non giochi in una squadra professionistica paghi di più. Nel settore giovanile MLS hai più allenatori, fai più partite, fai più viaggi... C’è una parte della popolazione che probabilmente non viene intercettata, purtroppo, e ci dovrebbero essere dei sistemi di "diritto allo sport".
La MLS tenta di farlo, ma l’economia di questo paese dovrebbe cambiare un pochino per poter dare a tutti la possibilità di poter fare sport e trovare un ascensore sociale. È un problema che c’è. Il basket non ha questo problema perché tutti giocano nella scuola superiore, ci sono ottimi allenatori, tutti giocano nei pick-up game: non c’è bisogno di andare in un’accademia, in una squadra o in un club per essere visto se giochi a basket. Per questo il basket è uno sport molto più democratico del calcio negli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il seguito del pubblico e la presenza nelle scuole, invece, come si orienta il soccer in paesi in cui gli sport nazionali sono sempre stati altri?
Sinceramente, si sta facendo di tutto per poter portare il calcio a numeri più alti: per gli under-18 americani il calcio è lo sport più praticato. Se in Italia e in Europa la divisione tra i praticanti è all'incirca 90% uomini e 10% donne, qui è 50% e 50%, a livelli giovanili probabilmente anche 45% e 55%.
Il calcio negli ultimi 30 anni è cambiato: non è più il gioco degli immigrati latini sudamericani e dell’Europa, è il gioco di tutti, anche di una certa borghesia illuminata. Mi viene sempre in mente che i genitori che portano i bambini a calcio qui in Canada e negli Stati Uniti sono quelli che portano i bambini a rugby in Italia, quelle un pochino più cerebrali. Il tipico redneck qui vuole che il ragazzo giochi a football americano, diciamo così...
Quindi il calcio negli Stati Uniti va molto più nelle coste che nell’America profonda?
Sì, però ci sono nicchie, tipo in Texas. Il clima favorisce tantissimo lo sviluppo del gioco dove puoi giocare per 12 mesi l’anno: Florida, Texas, California… Poi ci sono posti come New York dove hai tantissima pratica a prescindere dal meteo. Il fan del calcio direi che è meno americano stereotipico del fan del football americano.
Dicci il tuo pensiero sul sistema senza promozioni né retrocessioni, tipico dello sport statunitense ma un unicum nel mondo del calcio: ti piace o lo cambieresti?
È un bel problema. Ci sono dei pro e contro: il pro, lo dico sinceramente, è il fatto che si può programmare molto meglio in MLS che in qualsiasi altro posto. Se le cose non vanno bene immediatamente ma sei convinto che andranno bene nel futuro puoi continuare a lavorare senza che se perdi 3 partite ti mandano via, non corri il rischio di essere retrocesso.
È chiaro che nello sport americano è diverso: è difficile fargli capire questa cosa delle retrocessioni. Vengo da una cultura in cui ci sono promozioni e retrocessioni, chi fa più punti vince il campionato: questa dovrebbe essere la cosa da fare. Poi i playoff sono una grandissima cosa, mi piacciono tantissimo, però dovrebbero essere usati per altre cose, vedasi in Europa per la qualificazione alla Champions League.
Io farei i playoff anche in Italia, per qualificarsi alla Champions League per esempio: se ci sono 4 posti, ci va direttamente solo chi vince il campionato; 2°, 3°, 4°, 5° 6° e 7° dovrebbero fare un playoff. Il campionato avrebbe più pepe fino alla fine. Però qui succedono le cose sbagliate dalla parte opposta: siccome metà vanno nei playoff e metà non ci vanno, ci sono un terzo delle squadre che nelle ultime 4-5 partite non lottano più per niente ed è una tristezza.
Com’è la differenza, sotto questo punto di vista, tra Stati Uniti e Canada? Il Canada potrà crescere in maniera autonoma oppure a trainare rimarranno sempre le squadre canadesi in MLS?
Finché le squadre canadesi giocano in MLS, il Canada è totalmente legato agli Stati Uniti: le tre migliori squadre del paese siamo noi, Montreal e Toronto. Siamo uno stato enorme, ma è la stessa cosa del Cardiff e dello Swansea che giocano nel campionato inglese. La federazione gallese può avere uno sviluppo autonomo senza la federazione inglese? Non penso.
Credo che le due cose rimangano collegate, a meno che poi gli americani non decidano di buttarci fuori (ride, ndr), però non penso che sia un freno. La MLS è un’opportunità per le squadre del paese, permette a tanti canadesi di partecipare a un campionato di livello più alto della CPL.
Dimmi un aspetto del calcio europeo che porteresti negli Stati Uniti e un aspetto del calcio nordamericano che porteresti in Europa.
Dal calcio europeo direi promozioni e retrocessioni: secondo me sono una cosa che qui manca e che porterei. Una cosa che porterei in Europa è sicuramente il salary cap: il calcio in Europa non è più giusto dal punto di vista della competizione, i ricchi diventano sempre più ricchi attraverso i soldi della Champions League. Per chi non entra lì, dopo 2 o 3 anni il gap è incolmabile. Avere un salary cap in cui tutti i soldi che derivano dalle coppe europee vanno a pioggia a tutti i club porterebbe a un maggiore interesse del calcio.
Chiaramente deve essere fatto a livello europeo: se fatto solamente in un paese, tutti i giocatori vanno a giocare dove prenderebbero più soldi. Il salary cap dovrebbe essere altissimo, tipo €200/€250 milioni, e mantenere la regola dei Designated Players: se vuoi Mbappé e lo vuoi pagare €50 mln lo puoi avere ma alla fine ne hai 3, non ce ne hai 70 come ne ha il Real Madrid.
Che il Bayern Monaco abbia vinto dieci campionati di fila prima di questo, che la Juve abbia vinto 9 campionati di fila, che in Francia vinca sempre il Paris Saint-Germain, è la morte del calcio. Quando ero bambino ha vinto lo Scudetto il Verona, ero ragazzino e ha vinto lo Scudetto la Sampdoria… in Italia è impossibile che questo accada, e purtroppo abbiamo milioni di persone che tifano per queste squadre e che vorrebbero avere la possibilità di poter vincere che non hanno. Questo è una tristezza epica.
Vedi ancora il calcio italiano come troppo chiuso ad allenatori come te o Farioli, che non hanno un nome forte da spendere in certi ambienti?
Francesco è proprio amico mio, amicissimo, l’ho anche aiutato quando ha iniziato ad allenare. Francesco allena l’Ajax, uno dei 30 club più famosi al mondo, penso che se avrà la possibilità e la voglia di tornare a lavorare in Italia ne avrà l'occasione. In Italia c’è tantissima gente che non è stata calciatore di alto livello e diventa allenatore, un Sarri per esempio.
Può capitare anche in Italia, ma lì c’è l’impossibilità per chi ha fatto alcuni ruoli, tipo come me e Francesco - lui è partito come allenatore dei portieri, io da docente di allenatori e poi allenatore in seconda - di essere visto come uno che faccia l’allenatore in prima. In Italia io non mi ricordo uno che ha fatto l’allenatore in seconda e che poi è diventato un primo, l’unico è forse Gotti, che però è partito prima come primo, poi secondo e poi è tornato primo - tra l’altro è un altro mio amico quindi sono contento che ora sia a Lecce.
Ci sono allenatori in seconda di altissimo livello che non hanno mai l’opportunità di fare il primo: Calzona ha fatto l’allenatore del Napoli per 3 mesi dopo 25 anni in cui ha fatto il secondo ad altissimo livello e lo ha fatto in una situazione che era destinata a fallire. Penso che Calzona si meritava di poter avere la possibilità di fare il primo già prima, e questo in Italia è di fatto impossibile.
Una curiosità. Sei grande tifoso della Fiorentina: la segui anche dal Canada?
Sì, la seguo anche dal Canada. Mi sveglio la mattina presto per vedere la Fiorentina e bestemmiare. Io prima di tutto sono un tifoso di calcio: a me piace il calcio, e quando gioca la Viola tutti mi dicono sempre “Il tuo sogno è allenare la Fiorentina”. No: il mio sogno è essere in Curva Fiesole quando si vince lo Scudetto. Perché quello è amore, non è lavoro.
Ultima domanda: il tuo sogno da allenatore?
Il mio sogno da allenatore è continuare a fare questa professione. Non sono un modesto, ho sempre saputo di essere bravo e di avere le possibilità di farlo, ma non pensavo… Quando poi si avvera e dici “Ho cominciato a Luco di Mugello e ora alleno con 55.000 persone sugli spalti”, quasi ti schiaccia. Il sogno è uno che già sto vivendo, continuare a farlo il più ad alto livello possibile godendomi la vita come sto facendo. Sono una persona a cui piace scoprire cose nuove, non è che il mio sogno è andare in Serie A o andare in Champions League, ma fare questo lavoro nella maniera migliore possibile godendomi la vita.
Se ti devo dire una cosa, a me piacerebbe nel futuro prossimo allenare una Nazionale, è una cosa che mi attira. Mi piacerebbe farlo con un ruolo in cui non solo alleno la prima squadra ma aiuto lo sviluppo del calcio in quella nazione.
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