Juventus-Roma, non una partita qualunque
Cronache e testimonianze orali di una sfida mai banale.
«Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte?». Una delle spiegazioni del concetto di eterno ritorno dell’uguale si protende tra le pagine di Friedrich Nietzsche: l’intellettuale deputato a spiegare come, in uno spazio finito con un tempo infinito, qualsiasi tipo di combinazione è destinata a ripetersi eternamente.
Per quanto il tempo possa definirsi un cerchio piatto, il materialismo impone di trovare un punto fondante: un punto che abbia dato inizio in un certo istante alla caratterizzazione di questo spazio in cui la ripetizione è, a detta di molti, la regola su cui si fonda l’esistenza e gli eventi che la contraddistinguono.
Juventus-Roma è una di quelle partite dove la sfida non è mai fine a sé stessa, o almeno non più: c’è stato un punto in cui questa gara ha cessato di essere un «qualcosa da vedere alla domenica», come a Gianni Agnelli piaceva definire il rapporto tra la Juve e i suoi tifosi, ed è diventata molto di più.
Da quel momento, il vento è cambiato: è spirato così forte che le distanze che separano Torino da Roma sembrano essersi ridotte, nonostante le bacheche raccontino una storia diversa. Qual è stato il punto che ha dato vita alla spirale della ripetizione della rivalità e degli eventi che hanno acceso gli animi, in campo e fuori, di Juve e Roma?
Nei sogni più umidi, si avrebbe la speranza di vedere lo stesso fervore domenica sera all’ex Delle Alpi ora Allianz Stadium, quando la Juventus affronterà la Roma per la 3° di Serie A 2024/25.
Gli inizi
Chi può davvero definire cos’è il vero spettacolo? Male o bene, purché se ne parli: è parte di una scenografia moderna, di un concetto immortale che è anche il filo conduttore di questa sfida che è bello riassumere così, con parole e dichiarazioni, in un contesto che puntualmente torna a ripetersi con regolarità.
Luigi Petroselli subentra in carica come sindaco di Roma nel 1979 a Giulio Carlo Argan: è regolarmente tesserato con il PCI e rimarrà a guidare la capitale fino al 17 settembre 1981. In mezzo a questi eventi e all’alba degli anni di piombo, accade qualcosa: viene ufficialmente invitato in trasferta a seguire una partita di calcio che è, senza mezzi termini, la sfida che vale uno scudetto.
Petroselli accetta, malgrado i mal di pancia e il vociare dell’opposizione: «Ho ricevuto un invito per assistere ad un bell’evento di sport, non sarebbe stato cortese rifiutare»: la stessa mattina del 10 maggio 1981, partono una quarantina di autobus da Roma verso Torino.
Si stima che i romanisti ad arrivare nel capoluogo piemontese fossero 20.000: Juventus e Roma si affrontano a due giornate dal termine del campionato separate da un solo punto in classifica, 40 per i bianconeri e 39 per i giallorossi.
La partita è brutta, agonica. La Juve è orfana di Bettega e schiera Virdis, rimane in 10 a mezz'ora dal termine per l’espulsione di Furino e prova a chiudersi per salvare un punto importantissimo. La Roma invece mostra già tra gli 11 titolari l’ossatura che gli consentirà di vincere il tricolore due anni dopo: Pruzzo, Falcao, Conti.
Non succede nulla. Sembra l’ennesimo copione di una scenografia in cui il catenaccio esperienziale del Trap porta ai titoli di coda di un film già visto. Al 78’, però, Bruno Conti sventaglia una palla al centro dell’area juventina: Pruzzo anticipa Prandelli - non un grande saltatore - e rimette la palla sulla testa di Maurizio Turone. Il difensore della Roma impatta molto bene, nonostante fosse leggermente coperto da Falcao: Zoff resta immobile, il pallone va nell’angolo e l’arbitro Bergamo indica il cerchio di centrocampo.
La Roma ha scavalcato in classifica la Juve per poco meno di 5 secondi, il tempo necessario per accorgersi che il guardalinee Giuliano Sancini ha alzato la bandierina. La partita finirà 0-0, nessuno si accorgerà di nulla finché qualcuno non sgancerà la bomba: il gol di Turone era buono.
L'11 maggio, il salotto del lunedì di Aldo Biscardi diventerà caldo come le sponde del Guadalquivir ad agosto, nel punto in cui l’Europa è più vicina all’Africa che al resto del continente. Eccolo, il punto d’origine: l’enigma che nessun indovino, nessun marabout, è stato mai capace di risolvere. Un evento di una portata talmente violenta da essere ancora oggi presente nella cultura pop.
«Le volevo fare una domanda: cosa è successo il 10 maggio 1981?» Augusto Biascica, personaggio interpretato da Paolo Calabresi in Boris, rivolgendosi a Sergio Brio.
«All'epoca non si era mai parlato di chi fosse il fuorigioco. Poi ho saputo che era di Turone: impossibile […] Per noi questa partita è stata vinta» Paulo Roberto Falcao, centrocampista della Roma.
«Io guardo verso il guardalinee e lo vedo con la bandierina alzata e dico: ma che è matto?» Fabrizio Grassetti, Presidente dell'Unione Tifosi Romanisti.
«In quel momento per me l'immagine era piatta. Ho visto la rete, ho fischiato perché la palla è andata dentro: quando mi sono girato, che ero in buona posizione, ho visto Sancini con la bandiera alta e ho annullato» Paolo Bergamo, arbitro di Juventus-Roma.
«Se non avesse alzato la bandierina avremmo vinto lo scudetto» Dino Viola, Presidente della Roma, al guardalinee Sancini.
«Direi che la Juventus ha attaccato tutto il tempo: se si è giocato da una parte sola, allora quella parte non era pericolosa» Avv. Gianni Agnelli.
«Mr. President, do you think Turone's goal was good?» Utente X sotto il profilo di Donald Trump.
«Tanti dicono che era buono tanti dicono che non era buono. È una bilancia» Salvatore Giglio, fotografo ufficiale Juventus 1981.
«Non può essere fuorigioco, ti puoi mettere come ti pare» Roberto Pruzzo, attaccante della Roma.
«Non mi piace essere ricordato per una cosa così. Tante volte mi dà anche fastidio» Maurizio Turone, difensore della Roma e autore del gol.
«Da queste immagini non si riesce a capire se è fuorigioco» Giuliano Sancini, guardalinee di Juventus-Roma.
«L'ho rivisto tante volte: è veramente impossibile capire se è fuorigioco […] Magari fra 40 anni saranno ancora a raccontare questo gol e con una tecnologia nuova decideranno finalmente se era o non era fuorigioco» Cesare Prandelli, difensore della Juve.
Bohemian Rhapsody
Estate 1998: il tifoso italiano medio ha portato con sé nella borsa da mare tutto l’occorrente. Crema solare, Gazzetta dello Sport, sigarette, maschera e boccaglio. C'è comunque ancora spazio per quella che è stata una delle polemiche più grandi della storia del calcio italiano: il contatto Ronaldo-Iuliano.
Neanche il tempo di gustarsi questa polemica, che è già venuto il momento di portarne con sé un’altra: Zdenek Zeman è l’allenatore della Roma da una stagione appena, dopo tre anni di Lazio e campionati travolgenti a Foggia. Se Costantino nel 330 ha fondato la città che prenderà il suo nome sulle coste dell'attuale Turchia, Zeman a Foggia è stato capace di dar vita a Zemanlandia e ovunque sia andato ha portato con sé i dogmi e le tavole della legge della sua idea di calcio.
La polemica dell’estate 1998 nasce da un’intervista che il tecnico della Roma rilascia a L’Espresso poco prima di Ferragosto, a due settimane dall’inizio del campionato.
Secondo Zeman il calcio è diventato come il Tour de France, uno sport in cui si abusa di farmaci che favoriscono l’aumento di massa muscolare dei calciatori andando a influenzarne le prestazioni.
Per alcune sue dichiarazioni c’è poco spazio ai dubbi: l’accusa è generale ma i fari vengono puntati sulla Juventus. Si crea un clima teso oltremisura, da parte juventina più verso l’uomo-Zeman che verso la Roma e – nemmeno a dirlo – verso tutto il mondo Juventus dal lato romanista.
«È uno sbalordimento che comincia con Gianluca Vialli e arriva fino ad Alessandro Del Piero. Io che ho praticato diversi sport pensavo che certi risultati si potessero ottenere solo con il culturismo» Zdenek Zeman a L’Espresso, 6 agosto 1998
«Coglionate di un terrorista» Gianluca Vialli, ex calciatore della Juve
«Sono d’accordo sul principio, è il resto che mi indigna, l'attacco alla Juventus e l'aver tirato in ballo la mia persona. Uno una mattina non si può svegliare e raccontare quello che gli è passato per la mente, accusare le persone senza conoscerle, solo per sentito dire» Alessandro Del Piero, capitano della Juventus
«In farmacia ci vada lui a darsi una calmata» Ciro Ferrara, difensore della Juventus
«Ogni tanto viene fuori con queste sparate» Vladimir Jugovic, ex calciatore della Juve
«Zeman ha fatto delle cose con una tale leggerezza da non capire che può travolgere un sistema» Luciano Moggi, DG Juventus
«Per me Zeman veramente è nipote di Vycpálek, Vycpálek noi l’abbiamo salvato dalla Cecoslovacchia comunista e l’abbiamo portato in Italia, quindi anche il nipote ci deve della gratitudine» Avv. Gianni Agnelli
«Mi ha chiesto un po' di buon senso [Franco Sensi, ndr]. Non deve chiederlo a me - gli ho risposto - ma ad un altro.» Marcello Lippi, allenatore della Juve dopo Roma-Juventus del 15 novembre ‘98
«Zeman signore, Lippi spacciatore.» Striscione esposto dalla Curva Sud in occasione di Roma-Juventus
«Sta derubandomi dei trionfi con la Juventus.» Marcello Lippi
«Gli scudetti della Juve? Al massimo io ne conterei 22 o 23.» Zdenek Zeman nel 2012, allenatore del Pescara
«Zeman è essenzialmente un filosofo.» Guido Liguori, scrittore.
Un campionato a parte
Due boati, rumorosi, frastornanti. Il primo è dell'11 maggio 2014: l’ex Pablo Daniel Osvaldo mette a segno all’Olimpico il gol che sancisce il 100° punto in campionato della Juventus, arrivata a Roma già campione d’Italia. Il secondo è del 14 luglio dello stesso anno: davanti alla telecamera appare l’allenatore bianconero, Antonio Conte, abbronzato e con espressione turbata. Alle spalle della cinepresa la voce fuori campo chiede al tecnico il motivo per cui, in una giornata di piena estate dove è la canicola a far da padrona, ci si trovi lì.
Conte evita ogni sguardo all’obbiettivo e si rivolge al cameraman: «C'è da comunicare la rescissione consensuale del contratto tra me e la Juventus, che ci legava ancora per quest'anno.»
Antonio Conte, simbolo e condottiero di una squadra “antipatica perché vince”, arrivato due anni e mezzo prima nello scetticismo generale e andato via come profeta insostituibile. Chi sarà mai in grado di raccogliere un’eredità così bella e pesante allo stesso tempo?
I dirigenti della Juve, nel giro di pochissime ore, rispondono al quesito mettendo sotto contratto forse l’unico allenatore disponibile e appetibile: Massimiliano Allegri arriva come Antonio Conte, nello scetticismo generale di un tecnico libero per effetto di un esonero dalla panchina del modesto Milan di quegli anni.
Nessuno crede molto nella Juve di Allegri, forse perché nessuno ha davvero compreso l’entità tecnica di alcuni giocatori presenti in rosa: oltre all'espertissima linea difensiva composta da Buffon, Bonucci, Barzagli e Chiellini, sul pamphlet della squadra bianconera si leggono nomi come Evra, Pirlo, Vidal, Pogba, Marchisio, Tevez, Morata.
Grandissimi calciatori a cui serve solo capire il modo e il metodo in cui stare insieme, essere compatti: malgrado le critiche che Allegri ha continuato a ricevere in tutti questi anni, pochi sono stati gli allenatori capaci di gestire grandi gruppi come il tecnico livornese.
E infatti la Juve non solo vincerà lo scudetto, ma porterà a casa anche una Coppa Italia e arriverà, quasi contro ogni pronostico, a giocarsi la finale di Champions League.
Il campionato parte con la Juventus che, pur convincendo a sprazzi, tiene la testa della classifica inseguita da una Roma che pare sempre più in crescita: il 5 ottobre arriva il big match di Torino, dopo un’estate in cui dalle parti della capitale si tendeva a schernire i rivali bianconeri per lo “sgarbo” di mercato intitolato Juan Manuel Iturbe.
Quelle che precedono la sfida sembrano premesse serene. Poi si va in campo ed è come se gli astri si allineassero e disallineassero in modo convulso, si mescolassero tra loro per far sì che il corso degli eventi prenda una piega talmente instabile da assurgere al caos.
La Juventus vince 3-2 con gol partita di Bonucci all'87', un destro al volo meraviglioso viziato con ogni probabilità da una posizione irregolare e influente di Arturo Vidal.
Nel mezzo vi è un pandemonio insensato di episodi. Rigore concesso alla Juve per braccio di Maicon, posizionato in barriera sulla punizione di Pirlo, con Rudi Garcia che suona la carica dell’agonismo mimando il celebre gesto del violino; pareggio di Totti su rigore e vantaggio della Roma proprio con Iturbe, quasi a canzonare i bianconeri dopo le vicende estive di mercato; allo scadere del primo tempo, Pogba viene atterrato sul vertice sinistro dell’area della Roma: sembra una normale punizione, invece l’arbitro Rocchi indica il dischetto perché il contatto è avvenuto all’interno dell’area di rigore.
Inizia la torcida delle proteste, prima di raggiungere il suo acme con il gol finale di Bonucci e proseguire nel post partita e poi ancora nei giorni che la succederanno.
«Secondo me la Juventus dovrebbe giocare un campionato a parte [..] perché con le buone o con le cattive vincono sempre. [..] Sul minimo dubbio, non ci sono dubbi: se fosse stato il contrario ci sarebbe stato il minimo dubbio? Allora sarebbe rimasto dubbio.» Francesco Totti, capitano della Roma.
«Mi auguro che Totti vada a giocare nel suo campionato» Emma Winter, moglie di Andrea Agnelli.
«Anche gli arbitri migliori possono soffrire della pressione di una gara così e in questa gara c’è stata pressione.. […] Ma questa gara mi ha fatto capire che quest’anno vinceremo lo scudetto» Rudi Garcia, allenatore della Roma.
«Sciacquatevi la bocca. #ancoragodo» Profilo Instagram di Leonardo Bonucci, difensore della Juventus, dopo la partita.
«Io che sono direttore tecnico della mia squadra dico che due calci di rigore non ci sono e il terzo gol è da annullare perché c’è una posizione di fuorigioco di Vidal» Walter Sabatini, direttore tecnico della Roma.
«Urge un rapido e urgente ripensamento sulle designazioni arbitrali per le partite di cartello con squadre quotate in borsa» Gianluca Buonanno, eurodeputato Lega dopo aver presentato un’interrogazione parlamentare sui fatti alla Commissione Europea.
«Presenterò un'interrogazione parlamentare al ministro dell'Economia ed un esposto alla Consob dopo i fatti che si sono registrati ieri sera durante la partita Juventus-Roma» Marco Miccoli, deputato della Repubblica Italiana.
«Campionato falsato» Corriere dello Sport, 6 ottobre 2014.
«Da tifoso della Juve sono contento. Ma il secondo rigore contro la Roma non c'era» Bruno Vespa, giornalista e scrittore.
Se il tempo è davvero un cerchio piatto, dove non esiste alcun punto in cui la sua forma circolare si possa interrompere, spezzare questo incantesimo di polemiche e rivalità non sarà mai possibile.
E forse, anche per Juventus-Roma, va bene così.
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