Da quando Baggio non gioca più...
A Bologna Non è più domenica, cantava Cesare Cremonini in Marmellata #25. O meglio, non era.
La città è ancora incredula, incantata, affascinata e innamorata, come lo è sempre stata, della propria squadra. Anche negli anni più bui, Bologna ha sempre sentito un fortissimo legame con i suoi colori e con il Dall'Ara.
Si pensi a Pasolini e la sua "fuga" da scuola per andare a incontrare la squadra la rientro da Parigi dopo la vittoria dell'antesignano "Trofeo delle Esposizioni" - prodromo della Coppa Campioni; si pensi che nel 1945, una delle primissime cose che fece l'intera cittadinanza felsinea dopo la Liberazione fu riversarsi allo stadio per un incontro tra ciò che era rimasto dello squadrone che tremare il mondo faceva e i soldati polacchi; si pensi all'epopea degli anni '60 e il suo essere l'unica vera squadra che si contrapponeva all'Inter di Moratti padre. Scudetti e coppe finite per anni nel dimenticatoio di serie minori che, come si diceva, mai hanno fatto venire meno l'affezione.
Con l'arrivo di Gazzoni-Frascara, la città si risvegliò d'improvviso da un torpore troppo lungo: i '90 segnarono un ritorno della città felsinea sui palcoscenici più importanti e prestigiosi, il Dall'Ara venne nobilitato da giocatori di calibro internazionale come il compianto Ingesson, Andersson, Detari fino ad arrivare al Divin Codino che, gettato via dalle "grandi" di Serie A, decise di approdare tra i portici di mamma Bologna.
Con la maglietta larga, la fascia buddista, quel 10 sulla schiena: in quell'esatto istante ritornò la domenica, quella puramente estetica, di cui Bologna s'innamora perché aderente alla filosofia, al pensiero critico, alle osterie con i suoi Dalla e Guccini, al suo denso ma corposo ragù, al bengodi tra le proprie strade del centro strette, affollate e i cui portici rimbombano di chiacchiericcio.
La città si innamorò definitivamente, nuovamente, immensamente.
Come non danzare in quel cerchio di fuoco, come definiva l'amore Johnny Cash, quando il 10 italiano per eccellenza dipingeva calcio, riempiva gli occhi e muoveva corpi dentro e fuori il Dall'Ara.
Era il 1998. Avevo la fortuna di approdare nel pieno di quella magia, di un Bologna europeo che si andrà a giocare una accesissima semifinale di Coppa Uefa, poi vinta dal Parma a Mosca, contro il Marsiglia al suo apice. Carletto Mazzone che animava la panchina con enfasi tutta romana, Beppe Signori, Kolyvanov, Nervo... Tutto grazie a Roberto Baggio e al suo anno magico precedente, che ha riportato la domenica al suo significato originario.
Nonostante lo status di città, Bologna altro non è che un enorme paesone che la domenica verso ora di pranzo si svuota, dove passeggiando per le strade del centro senti il rumore della porcellana dei piatti sovrapporsi e le narici ti si riempiono degli odori di cucina che non ritrovi in contesti urbani. Questa è la domenica coi colori pastello, il sole velato dalla foschia che a malapena riscalda, il rumore dei passi di padri, figli e nonni che, bardati di rossoblù, si incamminano verso lo stadio il cui rumore non senti finché non gli sei a pochi passi.
Ancora, però, il purgatorio dei primi Duemila, uno scotto da pagare che renderà la domenica vuota per via della Serie B. Un nuovo calvario da affrontare con la Bulgarelli sempre piena e con buona parte dello stesso Dall'Ara con la gente al proprio posto. L'affezione non manca mai ma non rendeva la domenica tale, una giornata che non c'era più perché un amore era finito, un sogno si era definitivamente interrotto generando mostri. Un'idea era morta tra le rovine di una gestione societaria che aveva portato quasi sull'orlo del fallimento una delle più gloriose realtà del calcio italiano.
La Bologna capace d'amore e capace di morte.
La ciclicità e la sofferenza pagano, a lungo termine, ma ricompensano chi ha saputo aspettare. Chi ha visto le proprie domeniche svuotarsi. Chi non potrà portarsi il padre o lo zio allo stadio ma che magari si porterà il proprio figlio o figlia - com'è il caso di Alberto, mio nipote, di Gionata e di Bruno che si tramandano lo stadio, la curva, la passione dagli anni '60. Finalmente poter vivere una stagione brutalmente bella, quasi come fosse un'allucinazione collettiva, culminata con i consueti addii dolorosi, come fu per Roberto Baggio.
Alberto e Gionata, assieme sui loro seggiolini della Bulgarelli, potranno sentire dal vivo quella musichetta che affascina e fa urlare, vedere giocatori ammirati solo sugli schermi. Una sensazione di rara bellezza. Ritornata la domenica e con essa il martedì/mercoledì di Champions League, il sogno non si è mai spezzato ma è divenuto realtà. Le note di Dalla risuoneranno anche nelle menti di chi viene da capitali e città europee lontane. Bentornato Bologna, bentornata Bologna.
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