Graziela Santos, dall'Amazzonia alle Olimpiadi
Un'atleta indigena brasiliana, Graziela Santos, è andata vicino a partecipare per la prima volta ai Giochi Olimpici.
Il tiro con l'arco fa parte della vita di Graziela Santos fin dall'infanzia, quando giocava con i suoi fratelli sulle rive del fiume Cuieiras, nella comunità di Nova Kuanã, nella zona rurale di Manaus, dove è nata. Indigena dell'etnia Karapãna, battezzata con il nome Yaci - che significa Luna - non immaginava che quel divertimento figlio di tradizioni millenarie l'avrebbe portata un giorno ad essere la prima donna indigena a far parte della Nazionale brasiliana di tiro con l'arco e a rappresentare il proprio paese - e la propria etnia - in tutto il mondo.
Questo, però, non le basta: Santos ha cercato di diventare la prima donna indigena a gareggiare per il Brasile ai Giochi Olimpici. Ottenere la qualificazione per Parigi 2024 non sarebbe stata semplicemente la realizzazione di un sogno personale, ma anche e soprattutto un grande riconoscimento per la Sustainable Amazon Foundation (FAS), un progetto di sviluppo che sostiene giovani atleti indigeni in Amazzonia.
Il percorso di Graziela Santos nello sport è iniziata nel 2013, quando si è unita al progetto di tiro con l'arco indigeno organizzato, per l’appunto, dalla FAS. Il cammino è stato complesso fin dagli inizi. Santos, infatti, era l’unica donna tra i dodici ragazzi scelti per il programma, in cui entrò in contatto attraverso la scuola. "Per arrivare a scuola erano cinque ore di viaggio in barca dal villaggio in cui vivevamo, fino a Manaus” ha raccontato a Deutsche Welle: “all'epoca da noi c'era solo una scuola elementare".
All'epoca, Graziela Santos venne a sapere che la FAS stava organizzando un progetto di tiro con l'arco agonistico e stava cercando giovani talenti da sviluppare. "Questo sport ha origine dalla nostra antica cultura, perché usiamo archi e frecce da molto tempo. Ma prima di questo progetto, non sapevo nemmeno che esistesse il tiro con l'arco come vero e proprio sport". Ora, all'età di 28 anni, è stabilmente membro della nazionale e non abita più nel villaggio “vicino” Manaus, ma vive e si allena presso il centro di tiro con l'arco di Maricà, nello stato di Rio de Janeiro, insieme a suo fratello Gustavo, anche lui parte della nazionale.
Nonostante l'uso di arco e frecce sia profondamente radicato nell'antica cultura in cui è cresciuta Santos, utilizzare un arco tradizionale Karapãna e un arco sportivo è molto diverso e, nonostante il chiaro talento e l’esperienza, ci è voluto molto allenamento per comprende davvero il nuovo strumento ed entrarvi in sintonia: "Certo, ci sono somiglianze, è sempre un arco. Ma ci sono anche alcune differenze sorprendenti", ha detto Santos. "Nel tiro con l'arco, abbiamo un'intera gamma di attrezzature, le lame, le corde, lo stabilizzatore e il mirino, in modo da poter ottenere un risultato migliore. L’arco con cui sono cresciuta, invece, era un pezzo unico di legno ricurvo senza alcuno strumento".
Nel primo anno di allenamento, Graziela Santos e la squadra hanno partecipato al campionato giovanile brasiliano, dove ha vinto la medaglia di bronzo nel singolo femminile. Alla fine del 2015, ha ripetuto l'impresa, arrivando terza nella sua categoria e vincendo l'argento nel doppio misto insieme al compagno di squadra, Nelson Moraes, con cui ha vinto anche il Campionato brasiliano nel 2016.
“Dopo due anni di allenamento, siamo arrivati ai trials olimpici", dice Graziela. Nel 2018 è diventata la prima donna indigena a far parte della nazionale brasiliana e a rappresentare il paese ai Giochi sudamericani. E ha fatto bene, vincendo l'oro nel singolo femminile e negli eventi a squadre. "Quando sono andata ai Giochi Sudamericani, è stato un momento importante. È stato il mio primo anno con la nazionale brasiliana, rappresentando l'Amazzonia e il Brasile. Sono arrivata, ho gareggiato, ho conquistato il primo posto nelle qualificazioni con 645 punti, il mio record dell'epoca, ho vinto una medaglia d'oro nel singolo femminile e nella squadra femminile e il quarto posto nel doppio misto". Nel 2019, poi, Graziela ha partecipato al Gran Premio del Messico, dove ha vinto la medaglia d'argento con la squadra femminile ed è arrivata fino ai Giochi Panamericani di Lima, dove ha gareggiato per il bronzo.
Secondo lei, il caso suo e di suo fratello è solo la punta dell’iceberg. Si dice convinta che ci sia un enorme potenziale da scoprire tra le popolazioni indigene, che oggi rappresentano circa lo 0,8% della popolazione brasiliana, ovvero poco più di 1,7 milioni di persone. "Noi, sportivamente, facciamo tutto, quasi quotidianamente", ha detto, sempre a DW. "Corriamo, nuotiamo, tiriamo con archi e frecce, cacciamo e peschiamo. Siamo molto in forma e abbiamo un’ottima coordinazione motoria." Per questo, secondo lei, gli indigeni delle campagne riescono a padroneggiare più sport, più velocemente, rispetto a chi vive in città.
Le qualificazioni delle prossime settimane decideranno se il sogno olimpico si realizzerà davvero, ma a prescindere dall'esito, Graziela e suo fratello Gustavo hanno già dimostrato le potenzialità del progetto sportivo di FAS. Il prossimo passo dell’organizzazione sarà realizzare un altro sogno dei Santos, cioè costruire un centro di allenamento all’avanguardia nella regione amazonica dove sono cresciuti. Per farlo, FAS ha raccolto un’ingente somma di donazione, gran parte di questa arrivata dalla vittoria di un grosso premio in denaro in uno show televisivo da parte di alcuni attivisti. "Sono convinta che investire negli atleti indigeni sia un modo di procedere di successo", ha detto Santos. "Veniamo da villaggi e comunità che sono lontani da Manaus. Non abbiamo le risorse finanziarie per andare a viverci tutto l'anno, pagare l’affitto, le spese, i materiali per lo sport e avere una nutrizione da atleti di alto livello".
Una academy con foresteria nella regione offrirà l'opportunità di trasmettere l'esperienza di Graziela Santos ad altri ragazzi indigeni e a scovare nuovi talenti: "La costruzione del centro ci porterà alla scoperta dei grandi talenti che abbiamo tra la nostra gente, ed è importante che questi giovani una volta selezionati non debbano scegliere tra lo sport e la propria famiglia, la propria vita, ma che possano rimanere vicini alle loro famiglie", ha detto Graziela Santos.
Graziela crede che lo sport valga comunque sempre la pena, nonostante le enormi difficoltà, la mancanza di incentivi economici per gareggiare e l'assenza di spazi di allenamento adeguati. Per questo vuole innanzitutto abbattere questi ostacoli. A lei, il tiro con l’arco, non ha portato soltanto soddisfazioni sportive, ma anche l'opportunità laurearsi e costruirsi un futuro più solido. "Il progetto FAS Indigenous Archery è stato molto importante in questo senso. Senza non avrei conosciuto il tiro con l'arco come sport e non sarei qui oggi. È una porta che si apre per noi indigeni e che facilita non solo l’accesso allo sport, ma anche viaggi e soggiorni per coloro che vogliono studiare, essere atleti di alto livello e conoscere altri luoghi, culture e persone",
Il primo pensiero, oggi, è comunque arrivare alle Olimpiadi. L'ultima chance per strappare un pass olimpico sono state le eliminatorie di Antalya, in Turchia, a giugno. "Come squadra, dobbiamo arrivare assolutamente alle Final 4", ha detto. "Siamo ben preparati e stiamo partecipando a competizioni internazionali da diversi anni, abbiamo esperienza. Sappiamo gestire la pressione e vogliamo migliorare sempre di più". Graziela Santos, infine, è e si sente una pioniera e un modello per le altre donne indigene. "Il mio esempio dimostra che meritiamo di essere qui". Non è bastato per strappare il biglietto per Parigi, ma l'arco della carriera di Graziela Santos è tracciato. Non solo da una freccia.
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