Oksana Chusovitina, a Parigi 2024, non ci sarà
Dopo 8 Olimpiadi consecutive, la ginnasta uzbeka ha mancato l’accesso ai giochi parigini
L’intero universo sportivo si sta facendo una a una sola domanda: chi saranno i grandi protagonisti e le grandi protagoniste di Parigi 2024? Che sia nella forma di nuovi record battuti, di addii preannunciati – Andy Murray nel tennis – oppure nelle curiosità da trivia night sugli estremi dello sport. Dall’undicenne skater cinese Zheng Haohao, la più giovane atleta di questi giochi alla più anziana, la cavallerizza australiana settantenne Mary Hanna: siamo tutti quanti in attesa di capire quali storie memorabili ci lascerà questa edizione delle Olimpiadi.
In certi luoghi, però, quello che si farà è contare le assenze. Per una ragione o per l’altra, alcuni dei più grandi nomi dello sport mancano: Tadej Pogacar, reduce dalla strepitosa doppietta Giro-Tour, ha deciso di saltare i Giochi, oltre alla Vuelta spagnola, per concentrarci sul sogno della maglia iridata; l’atletica deve piangere le assenze di tre campionesse fuori scala come la detentrice del record nel salto triplo Yulimar Rojas, la bicampionessa di 100 e 200 Elaine Thompson-Herah, entrambe fuori per infortunio e la campionessa olimpica negli 800 Athing Mu, caduta durante la severissima finale dei trials americani.
Tra le storie di coloro che non ci saranno, sarebbe facile perdersi quella di un’atleta che - ormai da tanti anni lontana dal vertice del suo sport - non ha mai smesso di scrivere la storia. Oksana Chusovitina avrebbe desiderato farlo ancora una volta, in terra francese. Se nella ginnastica artistica, infatti, il tema principale di questi giochi è il ritorno a cinque cerchi di Simone Biles, gli ultimi mesi hanno portato alla realizzazione di uno scenario di cui la maggior parte degli appassionati, e sicuramente tutto il corpo atletico in gara, non ha neanche memoria: delle Olimpiadi senza l'atleta uzbeka.
All’ultima gara per tentare di strappare il pass olimpico, di fronte al pubblico di casa a Tashkent, la ginnasta classe 1975 si è infortunata durante le ultime fasi di allenamento, dovendo dire addio al sogno di partecipare per la nona volta alla manifestazione a cinque cerchi. 9 Olimpiadi l’avrebbero portata a staccare la canottiera italo-tedesca Josefa Idem, con sole 8 partecipazioni, e ad avvicinare il cavaliere canadese Ian Millar e la tiratrice georgiana Nino Salukvadze, che proprio a Parigi arriverà in doppia cifra, nella classifica dei più presenti nella storia dei Giochi.
Citando “The Gambler”, Ian Millar spiega la sua decisione di ritirarsi: “know when to hold’em, know when to fold’em, know when to walk away”
Campionessa olimpica nella prova a squadre a Barcellona 1992 e bronzo a Pechino 2008 nel volteggio, Chusovitina ha vinto 11 medaglie mondiali in una trentina d'anni di carriera, rappresentato tre nazioni – URSS (sia pure con diverse definizioni tra cui CSI e Squadra Unificata), Uzbekistan e Germania – gareggiato contro numerose atlete più giovani del figlio Alisher, e riscritto più volte il limite di cosa voglia dire competere oltre una certa età in uno sport storicamente dominato da atlete giovani, spesso non ancora adolescenti.
Nata a Bukhara - patrimonio UNESCO per la sua splendida architettura islamica - nel giugno del 1975, Chusovitina ha iniziato la carriera di alto livello nel 1988, quando ha vinto i campionati junior dell’URSS. Già due anni dopo vinceva due ori – squadra e volteggio – ai Goodwill Games.
Questi erano nient'altro che la creatura di Ted Turner, fondatore di CNN, a metà degli anni ’80, in reazione al clima di boicottaggi e controboicottaggi che aveva coinvolto Mosca 1984 e Los Angeles 1988 – i Goodwill Games avrebbero smesso di esistere all’alba dei 2000, quando la situazione politica mondiale era ben diversa da quella che ne aveva causato l’inizio – per poi ottenere i primi successi mondiali nel 1991.
A Indianapolis, Chusovitina ha portato a casa tre medaglie mondiali: oro a squadre e corpo libero, argento nel volteggio - disciplina in cui si sarebbe specializzata più avanti in carriera e che le avrebbe regalato le altre otto medaglie mondiali nel suo palmarès, incluso l’oro in quota Uzbekistan ad Anaheim 2003.
La dissoluzione dell’URSS l’aveva portata ad abbandonare il centro sportivo all’avanguardia di Krugloye Ozero – "lago rotondo”, così chiamato perché nella vicina Agafonikha c’è, sorpresa, un lago rotondo – per allenarsi al centro federale di Tashkent: un luogo sportivamente rimasto indietro nel tempo, un rimasuglio di un’epoca in cui Chusovitina neanche era nata, rendendo ancora più impressionante la sua costanza ad alto livello nonostante un considerevole svantaggio competitivo.
L’unica medaglia mondiale individuale di Chusovitina arrivata non dal volteggio
Intanto, nella vita privata dell’atleta, accadeva qualcosa destinato a sconvolgere anche la storia sportiva. Nel 1994, ai Giochi d'Asia, la ginnasta conosce un wrestler connazionale, Bakhodir Khurbanov, attivo nei pesi piuma, e lo aveva sposato tre anni dopo. Nel novembre 1999 sarebbe nato il suo primogenito, Alisher.
Nel 2002, al bambino venne diagnosticata una leucemia linfoblastica acuta: col supporto di Shanna e Peter Bruggeman, due allenatori di Colonia, e con la solidarietà dell’intero mondo della ginnastica, la famiglia di Chusovitina si stabilì in Germania per poter accedere a cure migliori. Per ringraziare del supporto dal paese teutonico al figlio - guarito perfettamente, ancora oggi è vivo -, Chusovitina ha ottenuto dalla federazione uzbeka la possibilità di rappresentare la Germania, come avrebbe iniziato a fare dal 2006 al 2012.
Curiosamente, in questo periodo nascerà un’usanza che diventerà abitudine per Chusovitina: annunciare il ritiro e poi tornare a gareggiare. Nel 2009 annunciò che i Mondiali di Londra sarebbero stati i suoi ultimi, e che non avrebbe partecipato, come precedentemente detto, alle Olimpiadi del 2012 – ci sarebbe andata, finendo 5° nel volteggio.
A Giochi conclusi, si disse veramente pronta a mollare la disciplina per dedicarsi al ruolo di allenatrice, per poi riapparire l’anno successivo di nuovo con i colori uzbeki, vincendo un argento ai giochi asiatici di Incheon 2014. Sempre, ovviamente, nel volteggio.
L’unica cosa mancante, nella carriera scintillante di Chusovitina, è stato vincere una medaglia olimpica col suo Uzbekistan. Il sogno di regalare al proprio paese una medaglia olimpica l'aveva spinta, dopo aver annunciato per l’ennesima volta il ritiro in seguito ai giochi di Tokyo, a dedicare per altri tre anni il proprio corpo a una disciplina inflessibile, implacabile e inderogabile, inseguendo un sogno che avrebbe avuto contorni leggendari.
Negli ultimi anni, Chusovitina si è sempre più dedicata esclusivamente al volteggio e, pur continuando sporadicamente ad ottenere risultati di livello, ha messo in mostra la naturale difficoltà imposta dal tempo, avendo mancato l’accesso in finale al volteggio di Tokyo. Quello di un’altra medaglia olimpica sembrava un miraggio, ma è forse proprio in questo che la dedizione, o meglio devozione, di Chusovitina alla disciplina a cui ha dedicato una vita centra perfettamente il punto del perché lo sport sia così affascinante: in ultima battuta, è uno sforzo inutile.
Gli 8 Giochi di Oksana Chusovitina
Nelle sue stesse origini, lo sport è un qualcosa di inutile, un passatempo come la filatelia, con la differenza che richiede di portare il proprio corpo all’estremo delle sue possibilità. Lo sport si pone domande che nessuno si è chiesto e vi risponde con la dedizione che Galileo ha messo nelle sue scoperte. Quale tipo di progresso ha raggiunto l’umanità quando Oksana Chusovitina ha completato, nel corpo libero, un doppio salto mortale con avvitamento, uno dei cinque gesti atletici – anche due alle parallele asimmetriche e due al volteggio – che da lei prendono il nome? Assolutamente nessuno, ed è proprio questa la meraviglia.
Ovviamente, col tempo e l’ingresso dei grandi capitali, lo sport è diventato qualcosa di molto più complesso. Ha perso l’innocenza, ma lo spirito iniziatico, che avvicina i futuri atleti, ancora giovani, alla disciplina preferita, è ancora quello. Non a caso, nella pratica sportiva in giovane età si cerca di enfatizzare l’aspetto del divertimento, dell’esperienza, del provare.
In questo senso, nessuno riesce a simboleggiare la pura gioia del fare sport solo per superare i propri limiti, la cosa molto vicina alla follia che serve per porsi obiettivi utopici, più di Oksana Chusovitina. O più di tutto il tempo che ha continuato a donare alla ginnastica artistica: la disciplina forse più complessa delle Olimpiadi, sicuramente quella più lontana da una qualsiasi attività umana che possa definirsi quotidiana, quella concettualmente più ardua tanto è difficile immaginare la forza muscolare, l’elasticità e la consapevolezza del corpo necessarie per completare un movimento.
La sequela di ritiri annunciati e poi opportunamente posticipati, ormai quasi un’abitudine per Chusovitina, possono lasciare una sorta di amaro in bocca. Possono apparire come segno di disperazione, come incapacità di andare avanti, possono sembrare come le ricadute di una persona che soffre di dipendenza. Chi ha visto Cristiano Ronaldo a Euro 2024 e non ha pensato che sarebbe stato meglio se avesse lasciato?
Sono 42 anni che Oksana Chusovitina dedica gran parte delle sue giornate alla ginnastica artistica. Forse continua perché non sa cosa fare senza di essa, una sorta di eroina tragica alla Mr. Peanutbutter di Bojack Horseman, che non sa accettare l’uscita dal suo prime mentre, parafrasando All Too Well di Taylor Swift, invecchia anche se le rivali rimangono della stessa età.
Come viviamo una storia dipende spesso dall'angolo da cui la osserviamo per la prima volta.
Quando ho iniziato a familiarizzare con Oksana Chusovitina, mi era stata presentata solo nella straordinarietà di una persona capace di continuare a qualificarsi agli eventi più importanti dello sport associato per antonomasia alla giovinezza, in cui raramente si rimane ad alti livelli dopo una gravidanza - più per lo stigma interiorizzato dalla disciplina che per altro. In questo senso, forse sono ancora incapace di vedere i lati potenzialmente negativi di questa storia.
Ma, alla fine, vedere Oksana Chusovitina alle Olimpiadi ci ha ricordato non solo di cosa voglia dire appassionarsi allo sport, quale meccanismo ci avvicini alle discipline molto prima che l’opzione anche solo di guadagnarci qualcosa diventi realistica. Ci ha messo di fronte all’evidenza di quanto possa essere appagante, un atto di autoamore, sforzarsi in qualcosa che il resto del mondo percepisce come inutile o impossibile, solo perché vogliamo farlo.
A Parigi 2024 questa scena non si ripeterà, queste considerazioni non ci risulteranno così elementari. Sarà un dispiacere che sapevamo sarebbe arrivato, anche per Oksana Chusovitina, ma che forse, sotto sotto, pensavamo non avremmo voluto vivere mai. O dovuto.
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