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Marcel Cerdan
, 27 Luglio 2024

L'eterno amore di Édith Piaf e Marcel Cerdan


Il brano cantato all'apertura di Parigi 2024 da Celine Dion racconta la storia d’amore tra Piaf e un pugile francese

On peut bien rire de moi Je ferais n'importe quoi Si tu me le demandais / Si potrà anche ridere di me Io farei Non importa cosa Se tu me lo chiedessi

Edith Piaf – Hymne a l’amour

Sono le 23 passate nel centro di Parigi. La sfilata delle nazioni è stata completata, i discorsi d’ordinanza del presidente del CIO e del comitato organizzatore - recitati col solito borioso afflato burocratico -, gli ultimi tedofori, da Serena Williams a Tony Parker, hanno ufficialmente acceso il braciere olimpico. La torre di Alexandre Gustave Eiffel è circondata da uno spettacolo di luci che sembra il frutto di un incidente stradale all’incrocio tra l’Ushuaia di Ibiza e il capodanno a Times Square. In mezzo a questo scenario, proprio sulla torre simbolo di Parigi, sotto i cinque cerchi adeguatamente addobbati per l’evento sportivo dell’anno, compare un volto.

Da quando le è stata diagnosticata una rara malattia neurologica, la sindrome della persona rigida, Celine Dion è apparsa molto raramente in pubblico. Lo scorso novembre si è vista a una partita di NHL a 3 anni dall'ultima volta; ai Grammy 2024 ha emozionato l’arena, presentando il premio di Album dell’anno. A Parigi, invece, Dion è stata chiamata a mettere la ciliegina sulla torta della cerimonia d’apertura: sulle note del Hymne a l’amour di Edith Piaf, la voce di My Heart Will Go On ha regalato forse il momento più alto di tutto l’evento, dando l’occasione di sollevare il velo su una delle canzoni d’amore più strazianti dell’ultimo secolo e sul suo sorprendente legame con lo sport.

Nel 1947 Marcel Cerdan era un pugile in ascesa. Campione europeo dei pesi medi in un’epoca in cui il titolo era necessario per poter aspirare a sfidare uno statunitense per il mondiale; sotto le armi, durante la seconda guerra mondiale, aveva saputo aprire una striscia positiva di 37 vittorie consecutive. Cerdan si trovava a New York per un torneo, e decise di andare a vedere un concerto di una connazionale, in quei giorni anche lei nella Grande Mela.

La cantante si chiamava Edith Giovanna Gassion, in arte Edith Piaf. Era già la Edith Piaf che conosciamo ancora oggi: due anni prima, aveva pubblicato quella che è senza dubbio la sua canzone più famosa, La Vie En Rose – che come la Settimana Enigmistica, vanta innumerevoli tentativi di imitazione –, un inno per la Francia alla ricerca di rinascita dopo una sanguinosa guerra che aveva visto la stessa Piaf, attivissima nella resistenza all’occupazione tedesca, direttamente coinvolta.

Cerdan, già sposato e con due figli, si innamorò perdutamente dell’esibizione che vide sul palco newyorchese. Dopo lo spettacolo passò in camerino, per chiedere alla protagonista di uscire. Quella che ne nacque fu una storia d’amore intensa, complicata, che doveva rimanere nascosta. Visto lo status di Cerdan - che mai fece intravedere la possibilità di poter lasciare la moglie per la cantante -, i due, pure fotografati pubblicamente in molte occasioni, raccontavano alla stampa, che vegliava sul loro legame con la fedeltà del cane Hachiko, di essere molto amici.

La crescita vertiginosa nella popolarità di Piaf, riconosciuta come il talento irripetibile che era anche oltreoceano, rendeva gli incontri fra i due quantomeno complessi, costringendoli a stabilire una fitta corrispondenza che negli anni successivi alla morte di entrambi sarebbe stata raccolta e pubblicata.

Cerdan, che nel frattempo aveva perso e riconquistato il titolo di campione europeo dei pesi medi, si avvicinava a grandi passi verso l’apice della carriera pugilistica. Il 21 settembre 1948, nel New Jersey, Cerdan sfidava il leggendario Tony Zale – all’anagrafe Antoni Florian Zaleski, origini polacche, guadagnatosi il titolo all’alba dei '40 e mai privatosene, sia pure con l’aiuto di una guerra che lo costrinse all’inattività – di fronte a quasi 20.000 persone. Lo scontro - Ring Magazine lo avrebbe definito il miglior match del 1948 - ebbe fine nell’undicesima ripresa.

I due, visibilmente stremati, erano tenuti in piedi solamente dalle corde, che avevano accolto nel loro abbraccio i corpi di entrambi. Cerdan sembra avere la forza per un ultimo colpo, anzi tre: destro, sinistro, finta con il destro e di nuovo sinistro. Tutti alla mandibola, tutti a segno. Zale guarda verso terra, abbassa la schiena ma rimane in piedi, come se le gambe fossero la coda spezzata di una lucertola che continua a muoversi da sola. Ben presto, però, anche gli arti bassi capiscono che non è più il caso di continuare: Marcel Cerdan è campione del mondo dei pesi medi.

I paragoni tra epoche diverse difficilmente possono insegnarci qualcosa, o presentarci nulla di più che suggestioni, ma è difficile non fare l’equazione: la cantante forse più famosa del mondo, più il campione mondiale dei pesi medi in un’epoca d’oro – letteralmente – per il pugilato. Qualche titolista in cerca di sintesi potrebbe definirli i Victoria Adams e David Beckham dell’epoca: qui non parliamo però di una storia pluriventennale, ma di un qualcosa destinato, sia per l'aspetto sportivo che per quello sentimentale, a non durare ancora molto. Il 16 giugno 1949, nello stadio dei Detroit Tigers della MLB, Cerdan mette in palio il titolo contro un pugile di origine italiana, Giacobbe detto Jake LaMotta.

Nel marzo di quell’anno, la musa ispiratrice di Martin Scorsese per Toro Scatenato – in cui appare anche Cerdan, interpretato da Louis Raftis – aveva sfidato un altro francese, Martin Villemain, al Madison Square Garden: al termine di 12 riprese, quest’ultimo sembrava aver vinto, con largo margine. I giudici, però, decisero di optare per LaMotta: il verdetto, lo Scandalo LaMotta, fu talmente controverso che i due responsabili vennero sospesi a tempo indeterminato. Molto meno controverso fu l’incontro di Detroit: Cerdan si slogò il polso nel Round 1, e nonostante una lunga resistenza dovette arrendersi alla campana che annunciava l’inizio del Round 10, cedendo così il titolo, con la promessa di una rivincita che si sarebbe dovuta svolgere il successivo 2 dicembre.

La storia del Bombardier Marocain - così veniva soprannominato Cerdan, essendo cresciuto in Nord Africa, il figlio di Antonio e Asuncion Cascales, entrambi di origine spagnola - era stata già abbastanza impressionante da meritarsi un piccolo romanzo.

In una scena che non riesco a non immaginare messa in scena con l’estetica di Bastardi Senza Gloria e la colonna sonora hair metal di Rocky, nel 1940 Cerdan era stato costretto dal governo di Vichy a rimettere in palio il titolo europeo al Velodrome d’Hiver, luogo che nei giorni precedenti all’incontro era stato prigione di oltre 13.000 persone, di lì a poco deportate ad Auschwitz. Di fronte a lui lo spagnolo José Ferrer: svastica sul petto, circondato da autorità franchiste, saluto romano all'ingresso sul ring. L’incontro durò ottantacinque secondi. Cerdan vinse, e l’atmosfera fu tale che il pubblico iniziò a cantare la Marsigliese, pure all’epoca vietate dalle forze occupanti.

Nove anni dopo quell’incontro, Marcel Cerdan salì all’aeroporto di Orly su un volo per New York. Era il ventisette ottobre, e in quella città sarebbe dovuto arrivare circa un mese dopo, per la rivincita con LaMotta al Madison Square Garden. Si dice che lui dovesse effettuare quel viaggio in nave, ma che Edith Piaf, desiderosa di incontrarlo, gli avesse chiesto il favore di prendere un aereo e di raggiungerla subito a New York, dove era impegnata in una serie di concerti.

L’aereo di Cerdan si schiantò quella notte sull’isola di Sao Miguel, alle Azzorre, e non lasciò nessun sopravvissuto. Le voci sulla reazione di Piaf alla notizia sono discordanti, quello che è sicuro è che decise di iniziare il concerto che aveva previsto per la sera successiva, e in tutte le versioni la chanteuse terminò l’esibizione collassando a terra, ma non c’è concordanza su quando sia avvenuto questo fatto, al termine del concerto o al quinto pezzo in scaletta.

Dietro questo aneddoto, comunque, è sottintesa una teoria, romantica, ma ben poco fondata, che vuole nella morte di Cerdan l’inizio del crollo psicofisico del piccolo usignolo – in francese il volatile si chiama piaf – che sarebbe morta nel 1963, a quarantasette anni. Piaf fu ovviamente distrutta dalla morte di Cerdan, come lo sarebbe qualsiasi persona alla scomparsa del partner.

Ma la sua vita sentimentale fu tanto piena prima di Cerdan quanto lo fu dopo, e il fatto che il pugile non volesse neanche per idea allontanarsi dal suo matrimonio, non è esattamente la promessa di una storia duratura, di un amore per la vita. Se quello per Cerdan fu l’amore più denso e infervorato della vita di Piaf, questo solo lei ce lo avrebbe potuto confermare, e il resto sono illazioni romanzesche.

Quello che ci resta, però, la traccia eterna dell’amore fra i due, è proprio Hymne a l’amour, che già dal suo titolo è diventato molto di più di una semplice dedica amorosa, qualcosa diverso dalla cronaca di una relazione.

Forse l’esaltazione retorica post-mortem, il desiderio di costruire un personaggio complesso, come se gli umani non lo fossero abbastanza, può aver caricato versi come “Le ciel bleu sur nous peut s'effondrer Et la terre peut bien s'écrouler Peu m'importe si tu m'aimes” (“Il cielo sopra di noi può accasciarsi/E la terra può sgretolarsi Poco m’importa se tu m’ami”) di letture più drammaturgiche di quanto non si adatti ad una canzone scritta di getto, nei giorni immediatamente successivi ad una tragedia.

Ma la dimensione dell’intensità con cui Piaf ha amato Cerdan, o comunque quella con cui Piaf ha amato in generale nella sua vita, non può essere messa in dubbio di fronte a chi scrive che nulla importa, finché tu mi ami.

Nella testo di Poet, canzone della band inglese dei Bastille, il frontman della band Dan Smith fa parlare Shakespeare nei confronti della protagonista del suo diciottesimo sonetto, Shall I compare thee to a summer’s day, raccontando della forza eternatrice della poesia, di quanto anche quando di entrambi non sarà rimasta altro che polvere, l’immagine della donna continuerà a rifrangersi nella testa di chi legge, come un’immagine sfuggente. In degli occhi non ancora creati, in bocche non ancora nate, dice il testo, io ti ho messo per iscritto, e tu vivrai per sempre. Ancora oggi, in molti considerano Marcel Cerdan il miglior pugile francese di sempre.

Alla sua memoria è dedicato un palazzetto, nel sobborgo parigino di Levallois, in cui fino a quest’anno ha giocato anche i Mets 92, l’ultima squadra francese di Victor Wembanyama. Però io in quel palazzetto ci sono stato, e incuriosito da quel nome ho anche cercato chi fosse questo Marcel Cerdan su internet.

La sua storia però mi è passata davanti agli occhi, senza quella forza appiccicosa che hanno le cose di cui si vuole scrivere. Ci è voluto sapere che Hymne a l’amour fosse dedicata a lui, ci è voluta Celine Dion, per fare in modo che quelle stesse parole che avevo letto, forse un po’ di sfuggita, causassero una scossa adrenalinica che lo portasse a monopolizzare le mie attività. Orazio definiva la sua poesia un monumento più duraturo del bronzo e più alto delle piramidi. Edith Piaf direbbe che, almeno per una notte, la sua musica è stata più in alto della Torre Eiffel e ha retto più del ferro con cui è costruita.

  • Nasce nel 1999 in onore della canzone di Charli XCX e Troye Sivan. Nella sua mente ha scritto un libro su Chris Wondolowski, ma in verità usa quel tempo ascoltando Carly Rae Jepsen e soffrendo dietro a Green Bay Packers e Seattle Mariners

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