Il Principe Tadej Pogačar
Quello del Tour de France 2024 è stato un dominio incontrastato, ma non per demeriti altrui.
Niccolò Machiavelli scriveva che per il sovrano “nasce una disputa: s'egli è meglio essere amato che temuto, o temuto che amato. Rispondesi, che si vorrebbe essere l'uno e l'altro; ma perché egli è difficile, che e' stiano insieme, è molto più sicuro l'esser temuto che amato”. È forse una delle citazioni più celebri de Il Principe, capolavoro letterario dedicato alle forme di potere. Nel 2024, nel mondo del ciclismo si è consolidata una monarchia assoluta: il regno illuminato di Tadej Pogačar.
Negli ultimi giorni in molti lo hanno rinominato Re Sole, come Luigi XIV, che guidò la Francia per oltre 72 anni. Il dominio nel ciclismo di Pogačar dura dal 19 settembre 2020: nella cronoscalata della Planche des Belles Filles scalzò Primoz Roglic dal primo posto in generale, conquistando la sua prima vittoria al Tour. Un successo che avrebbe ripetuto anche nell’edizione successiva, mentre faceva sue le prime Classiche Monumento.
A questo potere incontrastato si era opposto un Re Pescatore, originario di un villaggio di neanche 400 abitanti nel nord della Danimarca. Jonas Vingegaard Hansen aveva battuto per due volte Pogačar nella corsa più importante il mondo, conquistando la Grande Boucle 2022 e 2023.
Lo sloveno ha dovuto aspettare che il vento tornasse a soffiare dalla sua direzione. Mentre prendeva diverse batoste sulle strade francesi, si consolava con un Fiandre, una Liegi, due Lombardia e con la consapevolezza di avere ancora, incredibilmente, margini di miglioramento. Nel corso di questo Tour, un utente di X e del forum di CyclingNews ha detto di sapere il perché di questa crescita così improvvisa. Secondo Mou, l’utente che dice di essere vicino a Pogačar ma di preferire l’anonimato, ha raccontato che dietro il balzo in avanti dello sloveno c’è la mano di un nuovo performance coach, lo spagnolo Javier Sola.
Tra nuovi metodi di allenamento, l’utilizzo del monossido di carbonio e i soliti sospetti (infondati) di doping, questo Tour ha girato intorno a una domanda: come fa Pogačar ad andare così forte? La prestazione più impressionante è arrivata alla 15° tappa, quando ha superato di quasi 4' il KOM del Plateau de Beille, che apparteneva a Pantani. Ci sarebbe da aggiungere che questo record è stato superato anche da Vingegaard ed Evenepoel, e pure Landa lo ha sfiorato. Cosa è cambiato in quasi 30 anni di ciclismo? Gli allenamenti, l’alimentazione, la lunghezza delle tappe e i miglioramenti tecnologici delle bici sono solo alcuni dei fattori che spiegano questa sfilza di record.
Bisogna poi chiamare Pogačar con l’apposizione che lo identifica nel modo migliore: fenomeno. Il capitano della UAE è un talento generazionale, nella stessa categoria di Coppi, Anquetil, Merckx o Hinault. Il Tour de France 2024 lo ha voluto dalla 2° tappa, quando a Bologna ha già indossato la maglia gialla. Si è portato a casa 6 successi di tappa. Se li sommiamo ai 6 ottenuti al Giro, Pogačar ha vinto più di un quarto delle frazioni dei grandi giri corsi finora nel 2024.
In questa edizione dominata lo sloveno ha mostrato anche un po’ di hybris, tracotanza della mitologia greca che spesso porta alla catastrofe di chi la dimostra. Una critica pesante gliel’ha fatta anche Tom Dumoulin, che dopo la vittoria a Isola 2000 ha detto che non c’era alcun bisogno di umiliare il rivale. Dentro Pogačar sembra sia successo qualcosa: le sconfitte degli ultimi anni lo hanno motivato a fare meglio, ma gli hanno fatto anche nascere una “cattiveria” che ha sfogato nelle ultime tappe di questo Tour.
Però, vedendo come è andata questa Grande Boucle e consci della difficile preparazione, non si può davvero parlare di umiliazione per Jonas Vingegaard. Il Re Pescatore ha dimostrato ancora una volta il suo talento e la sua capacità di scavare dentro la sua sofferenza nei momenti più difficili. Dopo l’incidente nel Giro dei Paesi Baschi, in pochi potevano pensare di rivederlo presto in bici. E invece ha lottato, ha portato a casa una vittoria e il secondo posto in generale.
Accanto al nome di Vingegaard, nel borsino dei favoriti della viglia, c'era un punto interrogativo. Non c'era da sorprendersi nel vederlo in difficoltà alle prime salite. E invece ha retto alla grande per 21 giorni, ed è stato battuto solo dal miglior Pogačar.
Chiude il podio di questo Tour l’esordiente Remco Evenepoel. Il belga, il miglior passista del mondo in questo momento, ha imparato ad andare forte anche nelle salite più lunghe. Erano il suo punto debole fino a pochi mesi fa. Oggi lo superano solo i primi due della classifica generale. Lascerà la Francia con una vittoria a cronometro e con la consapevolezza che il cammino intrapreso è quello giusto, ma c’è ancora da lavorare.
Continuiamo con qualche bilancio di questo Tour: la sfortuna di Primoz Roglic non lo ha abbandonato con il cambio di squadra. Non ha avuto responsabilità nella caduta che lo ha costretto al ritiro, come successo spesso negli scorsi anni. Ha sorpreso invece l’incapacità di reinventarsi della Red Bull-Bora Hansgrohe, che avrebbe dovuto pensare alle vittorie parziali con Jai Hindley e compagnia. Ha deluso anche la Ineos-Grenadiers, dove ci si aspettava un Carlos Rodriguez in lotta con Remco Evenepoel per il terzo gradino del podio. E invece lo spagnolo ha chiuso in 7° posizione con oltre 25' di ritardo.
Nella top 10 troviamo due altri corridori della UAE, a conferma del talento della squadra di Pogačar: Joao Almeida e Adam Yates farebbero i capitani in altre venti squadre. Presenti anche Mikel Landa, una delle migliori firme degli ultimi anni per la Soudal, e Matteo Jorgenson, autore di un Tour in crescendo e con un successo di tappa sfiorato.
Questa Grande Boucle verrà ricordata anche come l’edizione in cui Mark Cavendish ha superato Eddy Merckx per successi di tappa. Cannonball ha superato il Cannibale sull’arrivo di Saint-Vulbas, per poi lottare ogni giorno contro il tempo massimo. A livello di velocisti, c’è stato un pareggio di vittorie tra Biniam Girmay e Jasper Philipsen. La bilancia pende però a favore dell’eritreo della Intermarché, conquistatore della maglia verde della classifica a punti.
L’altra maglia molto ambita, quella a pois di miglior scalatore, l’ha invece conquistata Richard Carapaz. A 31 anni l’ecuadoriano della EF ha corso un Tour bellissimo: oltre alla maglia a pois ha indossato per un giorno la maglia gialla, ha vinto la 17esima frazione e il premio finale di supercombattivo. Dopo essere uscito di classifica abbastanza presto, ha passato una terza settimana sempre in fuga, collezionando anche un terzo e quarto posto nel weekend conclusivo del Tour.
Per gli italiani, il protagonista è stato Giulio Ciccone, che forse involontariamente si è trovato a fare classifica. Sarebbe stato forse meglio uscire dalla lotta per la Top 10 e poi correre come ha fatto Carapaz, ma le indicazioni della squadra erano probabilmente diverse. Per l’abruzzese arriva comunque un undicesimo posto di cui andare fiero. Non si è capito perché l’Arkea abbia deciso di utilizzare Luca Mozzato, secondo all’ultimo Fiandre, in funzione di un velocista che ormai non va più, Arnaud Demare. È il classico esempio del perché servirebbe una squadra italiana con capitani italiani nel World Tour.
Da qualche anno ci troviamo a dire che Mathieu van der Poel corre il Tour de France per motivi di sponsor e solo in aiuto di Jasper Philipsen. Questa volta non è andata diversamente: l campione del mondo rimane il miglior poisson-pilote del mondo, ma veramente dovremmo accontentarci di questo?
Il suo rivale di una vita, Wout Van Aert, si è visto parecchio di più. Negli scorsi anni ci eravamo abituati a vederlo brillare in ogni tipo di percorso. Quest’anno, complice l’infortunio rimediato alla Dwars door Vlaanderen, ha faticato sulle salite più impegnative. Nelle volate è stato però al livello dei migliori sprinter: ha più volte sfiorato il successo, e torna a casa con una serie di piazzamenti importanti (due secondi posti, un terzo e altre quattro top 10).
In questo Tour 2024 abbiamo assistito a tante tappe che rimarranno nella storia del ciclismo, all’interno soprattutto del capitolo che riguarda la rivalità tra Tadej Pogačar e Jonas Vingegaard. Avendo ormai lottato per 5 Tour de France, possiamo considerare questa coppia alla pari dei Coppi-Bartali, Anquetil-Poulidor o Hinault-LeMond. Lo sloveno, con tre successi finali, si trova al momento davanti al rivale danese. Nella storia della Grande Boucle non era mai successo che due ciclisti si dividessero i due gradini più alti del podio per cinque anni.
Tra i tanti successi di Pogačar in carriera non ricorderemo comunque in maniera particolare quello arrivato al Col de la Couillole, nella 20esima frazione. Si è comportato, forse per la prima volta, da succhiaruote. Ha dato solo un paio di cambi davvero sporadici a Vingegaard, rimanendo sempre in scia a sfruttare il suo lavoro, per poi superarlo sulla linea d’arrivo. Forse il Principe ha capito che, perché il suo governo sia saldo, alle volte è meglio essere temuto che amato.
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