Il Tour de France visto dal balcone
La seconda tappa del Tour de France, vissuta senza mettere piede fuori casa.
Tutti gli sport, a loro modo, sono fatti anche dello scenario in cui hanno luogo. Il calcio è anche i suoi stadi, il basket i suoi palazzetti, la Formula 1 i suoi circuiti. Ma c'è un solo sport che è anche - e soprattutto - paesaggio: il ciclismo. Il ciclismo è campi coltivati, montagna innevata, colline e vigneti, piccoli paesini e grandi città. Questa domenica il ciclismo e il Tour de France sono stati Bologna.
Seconda tappa del Tour de France 2024. 198,7 chilometri. Partenza da Cesenatico e arrivo proprio nel capoluogo dell'Emilia o, più precisamente, sotto il balcone della mia stanza da fuorisede. Ed è da lì che rifletto su come il ciclismo sia indissolubilmente legato alle strade e ai viali che attraversa, mentre guardo i nastri gialli che collegano le facciate dei palazzi attorno a casa mia. Tonnellate di mattoni, tegole e cemento che aspettano, assieme alle persone dentro e sotto di loro il passaggio della corsa ciclistica più famosa del mondo.
Un vero e proprio istante - tre, visto che Bologna è stata affrontata in circuito - che però giustifica una preparazione lunga e meticolosa, una grande attesa e una festa ancora più grande tutta attorno a quel singolo momento.
I preparativi
A ricordarmi l'arrivo del Tour de France ci hanno pensato le macchine asfaltatrici. Grosse e brutali - come la Vecchia Bessie del film Cars - quasi in antitesi con la leggiadria delle biciclette che avrebbero percorso quella strada di lì a qualche giorno. Per la Grande Boucle bisogna rifarsi il look e quindi ecco ogni mio ritorno a casa in bicicletta trasformarsi in uno slalom tra coni stradali e odore di catrame bollente. Come i salmoni risalgo al contrario quello che sarà il rettilineo d'arrivo, teatrale e suggestivo in mezzo al ripetersi dei portici e dei palazzi, ora rossi, ora color crema.
Poi dopo l'asfalto sono arrivati i nastri. Tanti, gialli, ovunque. Bologna sta diventando gialla. Dappertutto c'è qualcosa che ricorda l'avvicinarsi del 30 giugno. C'è chi non vede l'ora, chi è indifferente, chi impreca per le strade chiuse e per la domenica che passerà ad evitare la corsa. La sera esco sul balcone, guardo i nastri, l'asfalto ancora da finire, il fondo della strada e immagino come possano organizzare l'arrivo, dove saranno le barriere, com'è guardare uno sprint.
Non sono un grande fan del ciclismo, però è innegabile sia un evento. Un evento, soprattutto, che coinvolge una comunità intera e in quanto tale ti risucchia verso di sé e ti fa sentire coinvolto. Viva il ciclismo, insomma.
La notte tra sabato e domenica ha una sola colonna sonora: i motori dei camion. Una fila lunghissima, da frontiera extra-europea. Finita la prima tappa hanno raggiunto Bologna, pronti a preparare il grande giorno, mentre la città dorme - difficile Bologna dorma, ma concedetemi la licenza.
Arrivano gli organizzatori, le tv, chi deve mondare i palchi, chi posizionare le transenne, c'è una grossa gru per le riprese dall'alto. Come nelle barzellette la domanda è: "Quante persone ci vogliono per fare una tappa del Tour de France?", e la risposta è tantissime, apparentemente.
L'attesa
Quello che ho imparato questa domenica è che il ciclismo è uno sport d'attesa. Cioè, lo avevo capito trovandomelo davanti in tv, in sonnecchiose sessioni di divano cullate da Francesco Pancani. Dal vivo, però, è un'altra cosa. Asfalto, nastri, mesi passati con la consapevolezza di avere il Tour che passa sotto, ma il giorno della tappa è quello della vera attesa.
Quando alzo le serrande c'è gente che curiosa in mezzo al montaggio delle transenne. Ciclisti della domenica che vivono l'esperienza di fare il percorso dei loro idoli. Persone sedute ai tavolini dei bar che assistono all'allestimento del traguardo.
A 5 ore dal primo passaggio dei ciclisti c'è già gente in posizione. Lo stesso sta succedendo sulla salita di San Luca, punto clou della tappa. Un tifoso colombiano appende la bandiera alle barriere, il sole diventa quello rovente di mezzogiorno.
Ore di attesa al caldo per vivere un istante. C'è almeno un po' di vento ad alleviare le sofferenze di chi ha già i gomiti appoggiati alle transenne. C'è anche la musica, che crea un'atmosfera da grande festa paesana. Ogni tanto spuntano delle teste da finestre e balconi, chi porta a passeggio il cane si ferma a guardare. Tutti aspettano.
È un atmosfera contagiosa, che mi spinge a pranzare seduto sul balcone a guardare una strada vuota. C'è la musica, ci sono i tifosi, ci sono le voci degli speaker ma i ciclisti non ancora. C'è il contorno senza il piatto principale. Ma sono lì, col culo sul cemento, perché non voglio perdermi questa cosa. E il ciclismo nemmeno mi piace tanto.
Tra una forchettata e l'altra, sotto di me si riempie di gente. Tante teste viste dall'alto che restringono pian piano la pennellata nera dell'asfalto. Scopro anche che rumore fa il ciclismo. Pam pam pam pam pam, le mani dei tifosi che battono sui cartelloni pubblicitari.
Impossibile distinguere chi è lì per caso, chi è fan sfegatato, chi ha fatto 500 metri e chi 500 km. In alcuni casi sono le bandiere e le maglie a raccontarlo: Danimarca, Slovenia, Portogallo, Colombia, Veneto, Germania. Ci sono anche tre bandiere della Palestina accanto al traguardo.
Pam pam pam pam pam. Ormai questo suono significa una sola cosa: stanno regalando magliette o cappellini, su cui poi la gente si tuffa come squali sulla preda. Ora i pois che vedo dal balcone hanno a loro volta i pois addosso e in testa un cappellino giallo. Giallo come le transenne, gli ombrelloni, le bandiere, i cartelli. "Ascension debut a 5 km" dice una grossa sagoma di cartone, ricordando che da qua si va verso San Luca. È attesa anche per i ciclisti in fondo.
Poi il sole cocente inizia ad essere riflesso dalle macchine in transito. Sta arrivando la carovana di polizia, ambulanze, giornali, tv, macchine degli sponsor sempre più strane e colorate. Alcune lanciano anche i loro prodotti sulla folla, che risponde entusiasta. Pam pam pam pam pam.
Le note degli AC/DC sfumano e riprende a parlare lo speaker. In francese. Dovrei capirlo in teoria, ma non riesco. Capisco solo "dix minutes" e tanto basta. L'attesa sta finendo. Guardo la strada verso il traguardo e oltre le transenne non esiste più. Solo teste, magliette e bandiere.
Arrivano i ciclisti
Un ruggito si alza dal fondo, dove gli alberi mi nascondono la visuale e tutto si propaga come un'onda. Sta arrivando il gruppo di testa. Non riconosco i ciclisti, figuriamoci coi caschi. A quanto pare tra i primi c'è Pogacar, e dal poco che so di ciclismo non mi sorprendo più di tanto. Il gruppetto passa come un fulmine in mezzo alla folla in delirio. Pam pam pam pam pam, questa volta sommato a urla di incoraggiamento e applausi, che si spengono man mano che i ciclisti spariscono all'orizzonte, destinati a soffrire sul San Luca. Poi, di nuovo tutti ad aspettare, ad aspettare che il gruppone compaia all'orizzonte.
Eccoli che arrivano. Una selva di caschi e biciclette che scorre muta sull'asfalto mentre la folla ai suoi fianchi è assordante. Il sole fa scoppiare di colore la scena. Anche la parte più consistente dei partecipanti sparisce verso San Luca, la folla torna silenziosa. Il rito, sempre uguale, si ripete per tutti, anche per i ciclisti attardati di minuti rispetto ai primi. Passato anche l'ultimo. Parte un'altra attesa, quella del loro ritorno.
La voce dello speaker - in italiano - racconta le gesta dei temerari che hanno aperto la via verso San Luca. Quello francese fa altrettanto, credo. Eccoli che tornano. Sono sempre loro ma la conformazione è diversa, i distacchi sono diversi, i colori sono diversi. Davanti ci sono Abrahamsen, Vauquelin e Oliveira. Una macchia rossa, una blu e una a pois che vengono seguite con lo sguardo da tutti fino a quando non tornano invisibili.
Poi tutti gli altri. Riconosco le squadre dai colori. L'Astana, ne sono sicuro. La Education First. La folla intanto torna sospesa. Nessuno può vedere (se non qualcuno da un maxischermo), tutti devono affidarsi alle parole del cronista che racconta la seconda salita a San Luca, nell'attesa di vederli tornare. La prossima volta è quella definitiva.
A comparire per primo, accolto come un sovrano di rosso vestito, Kevin Vauquelin. È il finale più importante della sua carriera, dice lo speaker. Il caos è assordante e lo accompagna fino alla linea del traguardo, dove alza le braccia in segno di vittoria. Poi man mano iniziano ad arrivare tutti gli altri, sempre più scaglionati.
La folla inizia a migrare verso Piazza VIII Agosto, teatro delle premiazioni, ma ad ogni passaggio di uno o più ciclisti vengo richiamato sul balcone dal rumore della folla. Pam pam pam pam pam. La gran parte delle persone resta a bordo strada fino alla fine. Le teste che affollano le finestre spariscono molto molto lentamente.
Lo speaker informa che la maglia gialla passa dalle spalle di Bardet a quelle di Pogacar, che viene premiato in piazza. Il mio sguardo non può arrivare fin là, ancora una volta mi affido alle parole che risuonano dagli altoparlanti.
Sotto il mio balcone la festa è finita. La strada torna ad avere la sua dimensione e i cappellini gialli e le magliette a pois spariscono. Torna a calare il silenzio, niente Pam pam pam pam pam. Hanno tutti finito la loro giornata d'attesa, io compreso.
Afferro la maniglia e chiudo fuori Bologna, il Tour de France e il mio balcone.
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