Il calcio Savoia tra mito e leggenda
Passato, presente e futuro del Savoia, tra una storia gloriosa, la camorra ed Emanuele Filiberto.
Quello tra me e la pallacanestro è un amore che non ha mai avuto modo di sbocciare. Sarà stata la mia pigrizia e superficialità nel non voler andare oltre le incomprensioni del regolamento oppure il monopolio di cui il calcio gode sui miei momenti di svago. Mai me la sono sentita di definirmi appassionato o semplicemente fruitore degli eventi legati alla palla a spicchi.
Mi piace però ascoltarne i racconti. Ho divorato gli spettacoli teatrali di Federico Buffa e Flavio Tranquillo così come la serie confettata sui Chicago Bulls del mitologico Michael Jordan, motivo per il quale da vergognoso plastic fan ho acquistato una canotta del controverso Dennis Rodman.
La storia che mi è rimasta più addosso è però senza dubbio quella legata al mito e la leggenda dei Seattle SuperSonics essendo stato colpito dalla percezione nostalgica che nasce negli occhi di chiunque rigiri la clessidra e si catapulti negli anni della vittoria dell’Anello con Dennis Johnson MVP fino alle recenti gesta di Gary Payton e Ray Allen. Ancora non mi spiego per quale assurdo meccanismo siano stati tagliati i ponti tra la pallacanestro ed una metropoli di ottocentomila abitanti, centro dell’economia del paese che ospita centri strategici dell’industria aeronautica Boeing, di Microsoft, Amazon e Starbucks.
Gli stessi atleti legati alla comunità sono rimasti orfani di un punto di riferimento come i Sonics, diventandone custodi di valori che tutt’oggi vengono tramandati alle nuove generazioni con la speranza che un giorno le luci della Key Arena possano tornare a riaccendersi.
Kevin Durant per esempio, che ha giocato a Seattle nella loro ultima stagione in vita prima che il titolo di partecipazione alla lega venisse scippato da Oklahoma, non ha mai smesso di sperare in un ritorno non più tanto utopico grazie alla probabile apertura ad altre due franchigie a seguito del provvedimento di espansione a firma di Adam Silver.
«Penso prima di tutto che quella franchigia sia un brand iconico all'interno della NBA; e poi penso che quel mercato sia un mercato di pallacanestro, che ha bisogno di avere una franchigia in città per ispirare ancora più ragazzi verso la pallacanestro, e continuare a produrre tanti giocatori NBA. Sono certo che con la prossima espansione tornerà nella lega e se, una volta ritirato, potessi in qualche modo aiutare nella gestione della squadra per me sarebbe un sogno che diventa realtà. Anzi, forse sarebbe una dello poche cose a cui mi dedicherei anima e corpo con la stessa dedizione con cui oggi mi dedico al gioco»
Una voglia di tornare ad esistere testimoniata dai tanti atleti che hanno marchiato sulla pelle il prefisso di Emerald City, scambiandosi saluti tribali prima degli incontri e promettendosi un giorno di riunirsi tutti sotto la stessa bandiera dando magari vita a una sorta di Athletic Bilbao a tinte gialloverdi.
Un forte senso di appartenenza che ho provato sulla mia pelle visitando Torre Annunziata, una città tecnicamente accorpata alla provincia di Napoli ma che per grandezza, cultura e storia ha una dimensione a sé stante. Con Seattle condivide lo skyline mozzafiato, l’esser stata culla di grandi artisti ed il profondo senso di appartenenza verso la squadra locale del Savoia Calcio.
Le origini del mito
Le città portuali sono dei veri e propri centri multiculturali e Torre non ne è stata un’eccezione. Durante i primi anni del Novecento, quando i marinai inglesi trascorrevano il tempo libero a tirare quattro calci ad un ammasso rotolante di cuoio e cotone tra un viaggio e l’altro, i torresi dapprima scettici si appassionarono a questo strano sport tanto da spingere l’alta borghesia cittadina a fondare ufficialmente una società calcistica che verrà denominata Unione Sportiva Savoia.
Non si sa con certezza il perché venne scelto questo nome, differentemente dai colori delle maglie da gioco - rigorosamente bianche - come richiamo alle radici di una comunità che basava le proprie ricchezze sulla farina essendo il centro nevralgico della produzione di pasta.
Aristocratici e popolani oplontini (così chiamati da Oplontis, nome della città romana che sorgeva nella stessa area) coadiuvati da un gruppo di vercellesi in trasferta dal Piemonte per prestare servizio presso lo spolettificio cittadino, si riunirono sotto lo stemma di una delle più antiche famiglie nobiliari europee dando vita alla nascita del mito biancoscudato.
Nel 1915 la società ottenne l’iscrizione alla FIGC potendo così disputare l’anno successivo la Coppa Internazionale contro altre compagini campane. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, assorbiti anche i cugini della Pro Italia, furono ammessi al campionato di Prima Categoria 1920/1921. Le luci della ribalta però si raggiunsero solamente due stagioni dopo con l’avvento della famiglia Voiello alla guida del club.
Quella della stagione 1923/24 fu una cavalcata vincente fino alla finalissima contro i pluricampioni del Genoa per l’assegnazione dello scudetto. Trascinati dai gol di bomber Giulio Bobbio (novarese di nascita ma notato da un dirigente del Savoia durante il servizio militare nella zona) i biancoscudati stravinsero il girone campano e fecero un sol boccone di Anconitana, Lazio e Ideale Bari negli spareggi del girone meridionale. L'unico ostacolo verso la finale coi liguri venne rappresentato dai laziali dell’ Alba Roma.
Nella gara d’andata di fine luglio il Savoia sbancò il Motovelodromo in via Tuscolana per 2-0 ma la vittoria non venne omologata a seguito del madornale errore commesso dall’arbitro Grossi che fischiò con largo anticipo la fine del match. Una settimana dopo infatti, nonostante un’altra vittoria per due reti a zero in quel di Torre Annunziata, i biancoscudati non poterono staccare il pass per la finale dovendo attendere di rigiocare il match di Roma. Il 10 Agosto a Roma si giocò dunque il terzo incontro tra le due squadre, terminato 1-0 i biancoverdi e costringendo la lega a programmare una quarta sfida necessaria per conoscere la vincitrice della Lega Sud.
Un caos che indispettì il Genoa già certo di dover giocare la finalissima da metà giugno a seguito della vittoria nelle due sfide contro il Bologna. Finirà con l’Alba che rinuncerà a raggiungere il campo neutro per mancanza di fondi. Il 31 agosto la città ligure circa duecento tifosi del Savoia arrivarono a sostenere i propri beniamini nella sfida del Marassi, consci di dover compiere una vera e propria impresa.
La netta differenza tra le due squadre fu chiara sin dai primi minuti di gioco. La formazione del Grifone con Catto I e Sardi II fissò il risultato sul 2-0 a fine primo tempo. Caricati dal presidente Voiello nell’intervallo, il Savoia tornò in campo determinato a ribaltare il risultato. La rete di Bobbio accese una speranza spentasi purtroppo poco dopo a causa di un infortunio occorso al portiere Visciano accasciatosi a terra dopo aver colpito un palo e conseguentemente spostato nel ruolo di difensore centrale. A chiudere i conti ci pensò Aristodemo Maja Santamaria che di rapina depositò in rete un pallone vagante in area di rigore.
Nella gara di ritorno, in un Oncino febbricitante, i campioni rossoblù restarono esterrefatti dalla passione della gente locale. Tutta la città accompagnò festante la squadra di Garbutt dalla stazione ferroviaria allo stadio dove trovarono ad attenderli centinaia di tifosi ed il sindaco cittadino che omaggiò i calciatori con prodotti tipici locali. Un amore inaspettato che commosse anche un uomo tutto d’un pezzo come Renzo De Vecchi, stoico capitano genoano nominato Figlio di Dio durante gli anni al Milan.
Il Savoia nella cultura popolare
Dopo la doppia sfida contro il Genoa il Savoia non sarà più lo stesso. La famiglia Voiello, ben prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, preferì passare la mano ad altri investitori che portarono il club sul lastrico dal punto di vista finanziario, senza uno stadio in cui giocare le partite casalinghe ed invischiato in un tentativo di combine prontamente sanzionato dalla FIGC. Quattro retrocessioni consecutive furono il preludio al fallimento del 1955.
Bisognerà aspettare quarant’anni per rivedere la gioia negli occhi della tifoseria biancoscudata. Il Savoia di un allora giovanissimo Gigi De Canio ottenne un’incredibile promozione in Serie C1 e preparò il terreno – anche grazie ad una campagna acquisti di livello – per il salto in cadetteria. La Serie B 99/200 fu un campionato di tutto rispetto che poteva vantare squadre del rango del Napoli di Novellino e Schwoch, l’Atalanta del figlio del vento Claudio Caniggia, il Brescia di Hubner ed il Vicenza guidato da bomber Comandini ceduto poi per la cifra monste di venti miliardi di lire al Milan di Berlusconi.
Il Savoia retrocederà classificandosi diciannovesimo, ma nulla impedì di definire quell’annata come memorabile.
Durante la stagione i tifosi di Torre Annunziata poterono togliersi la soddisfazione di lanciare un ottimo attaccante come Stefano Ghirardello (autore di sedici reti), di uscire indenni dai derby dell’Arechi e del San Paolo di Napoli e di battere tra le mura amiche la Sampdoria del presidente Mantovani.
Sugli spalti dello stadio Giraud a tifare per il Savoia c’era anche un bambino con tanta passione per il calcio. Quel bambino, che di nome fa Ciro, porterà poi anni dopo in città – in occasione della nomina a presidente onorario del club - la medaglia d’oro vinta all’ Europeo 2021 con la maglia azzurra della nazionale.
Al sito Solo Savoia così parlò della sua passione per la squadra biancorossa:
«Bello che mi abbia regalato questa carica. Desideravo da tempo poter far parte in qualche modo del Savoia. E’ la squadra per la quale ho sempre tifato. Grazie al mio ruolo cercherò di far parlare del Savoia sempre di più. Non appena potrò tornerò a Torre per stare vicino alla squadra e vedere il mio Savoia giocare. Anche da lontano la mia passione è fortissima»
Anche il celebre conduttore televisivo Stefano De Martino nonché l’ex dirigente di Tottenham e Juventus Fabio Paratici hanno parlato spesso della loro passione per i biancoscudati di Torre del Greco. Anche uno degli allenatori storici, Gigi De Canio, che ottenne la promozione dalla C2 alla C1 nel '93-'93, è rimasto legato alla città e presenzia come opinionista nelle trasmissioni televisive locali, ha condiviso un dolce ricordo dei suoi anni allo stadio Giraud:
«A Torre Annunziata ho trovato il pubblico più competente di sempre. Per me il Savoia è stato più che una semplice esperienza, è stata una palestra da dov’è partito tutto. È stata la mia prima squadra professionistica e ho ottenuto anche la mia prima promozione. C’è una passione genuina che deve far riflettere tutti come sia importante ridare al calcio italiane piazze importanti»
Nessuno però ha potuto far nulla negli ultimi anni per fermare l’emorragia che ha colpito il club, fallito per ben quattro volte e finito nelle pagine di cronaca nera per legami coi Gionta, famiglia camorristica locale diventata purtroppo famosa perché coinvolta nell’omicidio del giovane giornalista Giancarlo Siani.
La Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli confermò, a seguito di dichiarazioni di numerosi pentiti, come il club oplontino fosse sotto scacco della camorra tanto da regalare abbonamenti gratis agli affiliati, contrattualizzare giocatori segnalati da alcuni esponenti di spicco dei clan locali oltre che il regolare pagamento del pizzo.
L'arrivo dei reali in città
A fine 2022 un fulmine al ciel sereno: Emanuele Filiberto di Savoia - a margine di una conferenza stampa per la fondazione della Casa Reale Holding SPA - dichiarò di aver acquistato la maggioranza del Savoia Calcio 1908 insieme una nutrita cordata di imprenditori capeggiata dal magnate della farmaceutica Nazario Matachione. Obiettivo? Non solo il ritorno nel grande calcio ma la creazione il più grande vivaio di calciatori del Sud Italia con academy e borse di studio per i talenti in erba.
Due anni dopo di risultati tangibili neanche l’ombra. La Casa Reale ha fatto in tempo ad acquistare altre due società dilettantistiche campane e gettare nello sconforto anche i loro tifosi, già stanchi di promesse da marinari e di allenatori fuggiaschi perché impossibilitati a lavorare in serenità.
Durante questo lasso di tempo il Principe, presosi una pausa dalla carriera televisiva, ha giustificato i mancati successi in campo sportivo puntando il dito contro chiunque: colpa degli ultras pretenziosi e malavitosi, colpa pure dei cuochi degli alberghi perché complici di avvelenamenti prima di partite importanti, dei suoi stessi tesserati perché assetati di denaro piuttosto che di gloria e naturalmente degli arbitri incapaci ed in malafede.
Il povero Savoia, che prima dell’avvento di Emanuele Filiberto nonostante le difficoltà economiche stava conducendo un buon campionato di Eccellenza, ha terminato la stagione 22/23 con un mesto 11esimo posto e la scorsa al tredicesimo, restando invischiato anche nella lotta per non retrocedere. Incredibilmente però lo scorso aprile è stato annunciato - dopo insistenti voci già circolate da gennaio - che il Savoia avrebbe giocato magicamente in Serie D al posto del Portici, altra squadra della Casa Reale che dopo aver mantenuto la categoria sul campo avrebbe ceduto il posto agli oplontini.
Post di Alessandro Caramiello, capogruppo alla Camera dei Deputati per il
Movimento Cinque Stelle.
Una vergogna che non potrà cancellare neanche la mossa della Procura Federale di costringere la SPA a cedere gli altri due club e mantenere la proprietà solamente del club biancoscudato. La sofferenza di un’intera comunità, quella porticese, martoriata poi dall’operazione simpatia portata avanti da Principe e soci durante l'estate con gli annunci - che hanno avuto risonanza su tutti i giornali sportivi nazionali - del giornalista Raffaele Auriemma a direttore generale del club e dell’ex bomber di Napoli, Siena e Pescara Emanuele Calaiò a direttore sportivo.
Ancora una volta giochi di potere ed economici hanno assassinato i valori di questo sport. Savoia e Seattle, realtà così lontane ed incredibilmente così simili.
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