Ago non ha mai visto la Serie B
Storia del breve ma intenso rapporto tra Di Bartolomei e la Salernitana.
Sicilia orientale, ore 6 del mattino. Un carabiniere rientra in caserma, il turno di notte è concluso e non ne avrà per almeno 24 ore. La giornata però è appena cominciata, lo aspetta una lunga trasferta in macchina. Direzione Brindisi. Torna a casa, una doccia veloce prima di partire. La moglie, donna generalmente mattutina, sta ancora dormendo, e uguale il figlio. Sono genitori da quindici mesi.
Via la divisa, dentro un jeans e una maglia da calcio bianca. Sul davanti c’è il nome di un noto pastificio, sul retro solo un numero: 9. Quella maglia è appartenuta a un centravanti di qualche anno prima, un fenotipo del bomber delle serie minori dei tardi ‘70-primi ‘80: fisico strutturato, lunga gavetta nei peggiori campi di provincia (pugliesi in questo caso) e dei baffi foltissimi. Ora si può partire.
Agostino Di Bartolomei, nell’estate 1988, è un calciatore che ha appena chiuso la sua ultima stagione in Serie A. Una salvezza onesta con la maglia del Cesena. Ago guarda già al dopo: è ancora fisicamente integro, può permettersi un paio di anni di carriera per poi crearsi una seconda vita. Magari restando anche nel calcio, con un ruolo diverso. Insieme alla moglie Marisa lascia le metropoli per guardare al Cilento: il turismo non è ancora dirompente, il paesaggio è stupendo e la vita scorre quieta. Castellabate non è quella di Benvenuti al Sud, è il luogo perfetto.
Non lontano c’è una città, Salerno, e la sua squadra, la Salernitana, da troppo tempo ferme nei bassifondi della società e del pallone. Il presidente Soglia ha raccontato le ambizioni, sue e della città. A Di Bartolomei sembra la sfida perfetta prima di ritirarsi: far tornare a scorrere le lancette della storia a un territorio fermo dagli anni Sessanta. La Salerno dei '70 e '80 è una città lontana dai grandi flussi turistici, economicamente ristagnante, politicamente assente e dominata dall’eroina. La Salernitana è ferma in Serie C dal 1967, un’eternità, e gioca ancora nel vecchissimo Vestuti. Giusto per rendere l’idea: l’ha inaugurato Mussolini.
Il suo primo anno è al limite del tragico. Ago viene da un altro mondo: non è abituato a quella vecchia concezione del presidente padre padrone, che fa e disfa ogni tre mesi, e agli allenatori sergenti di ferro. La Salernitana inizia a luglio con un DS, Alberti, e un allenatore, Soldo: a settembre già non ci sono più. A ottobre mezza squadra dell’estate è andata via. La panchina è passata nelle mani di Toni Pasinato, grande figura della C di allora. Uno che comanda e nessuno lo può mettere in discussione. Di Bartolomei, abituato al dialogo continuo con Liedholm, diventa un intruso, uno che vuole mettere in discussione il dominio del tecnico.
La rottura è immediata, la società si schiera con Pasinato: Ago finisce addirittura fuori rosa, l’addio sembra scritto. Tuttavia, sceglie di sedersi sulla riva dell’Irno, ad aspettare il cadavere del nemico. Questo gli passerà davanti a febbraio, gentile omaggio di un suo conterraneo, Claudio Ranieri, giovane allenatore in rampa di lancio sulla panchina del Cagliari. Il nuovo mister, Lamberto Leonardi, come prima cosa lo reintegra, dandogli la fascia da capitano. Saranno proprio i suoi gol, su tutti una bomba contro il Frosinone all’ultimo secondo, a regalare una sofferta salvezza.
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Statale 106, tra Sibari e la Basilicata. Il viaggio procede bene, la Opel Kadett famigliare presa qualche mese prima è un’auto perfetta per lunghe tratte. Nessun problema finora. La Ionica però desta qualche preoccupazione in più. Il carabiniere la conosce bene, soprattutto nel suo tratto reggino quando l’ha percorsa per andare in Aspromonte alla caccia dei boss della ‘ndrangheta. Il rischio di incidenti è dietro l’angolo, non a caso è soprannominata La strada della morte, non solo per la drammatica scomparsa di Denis Bergamini, risalente a qualche mese prima. Alla prima piazzola di servizio c’è tempo per una telefonata a casa. Risponde la moglie, è tutto a posto, il figlio sta mangiando. Domani chiamerà il pediatra per dirglielo. L’ultima volta che è andata, con lei nell’anticamera c’era il genero del pediatra. Lo conosce, l’ha visto in TV anche se non gli ispirava tanta simpatia. Si chiama Nino Frassica.
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Soglia, che nel frattempo sta costruendo il nuovo stadio, rilancia la posta per la promozione. Assume Franco Manni come DG, formalmente esordiente in C ma dal grande curriculum (vinse uno scudetto con l’Inter, nel 1971), e rinnova la rosa con grandi nomi: è la quinta corazzata costruita in tre anni di presidenza. Solo due giocatori, Di Battista e Ciro Ferrara (un omonimo), sono rimasti in questi tre anni. Ansaloni, rivelazione col Brindisi l’anno prima, è il tecnico. Si riparte da Di Bartolomei, almeno a parole. La squadra nelle prime quattro partite fa il suo, alla quinta però emergono tutte le fragilità. Al Vestuti arriva l’Ischia: undici giocatori dietro la linea della palla.
I granata collezionano mischie furibonde e una sola chance, che Ago stampa sulla traversa. Finisce 0-0. I 10.000 del Vestuti fischiano ferocemente, Ansaloni litiga con i giornalisti e Soglia viene aggredito in tribuna. Si dimette, il vicepresidente lo convince a ritirarle e a rinforzare la squadra con gli innesti che servono: un jolly difensivo, Torri, e un uomo di qualità, il figliol prodigo Francesco Della Monica.
Da qui la squadra riparte e si staglia nelle posizioni di testa, in un campionato dove solo Taranto e Palermo hanno annunciate ambizioni di promozione. La politica di Ansaloni è quella dei piccoli passi: "magari non vinco sempre ma di sicuro non perderò". Nell’epoca dove la vittoria vale 2 punti ha molto senso. Una mano gliela dà Ago, soprattutto a Caserta: nel derby i falchetti dominano, vanno sul 2-0 e hanno la chance del terzo ma Battara para il rigore a un giovane Fabrizio Ravanelli. L’arbitro Bazoli assegna due rigori alla Salernitana: Di Bartolomei va due volte sul dischetto e non trema. È un punto che si rivelerà decisivo. Anche se la squadra è in testa, e si prende altre soddisfazioni come vincere in trasferta contro il Palermo e battere la Ternana dei grandi ex Tobia e Cozzella, qualcosa continua a non funzionare. La prima sconfitta stagionale, all’ultima d’andata a Taranto, renderà tutto palese.
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Per arrivare a Brindisi bisogna passare da Taranto. La città è colorata a festa, basterà una vittoria contro la Ternana per tornare in B dopo un solo anno di purgatorio in C. Gli addobbi rossoblù sono ovunque, stona un po’ giusto i fumi e le ciminiere dell’ILVA. La strada scorre veloce e anche i pensieri. Chissà se accadrà anche a noi, chissà se anche noi potremo finalmente far festa e toglierci di dosso questa Serie C che ci ha logorato fino alla scarnificazione. Fino a credere che fosse una condizione esistenziale, una prece per l’eternità dalla quale non potersi affrancare. Quella trasferta è un viaggio della speranza: quella di urlare la propria esistenza al mondo, dopo decenni di abbandono e dimenticatoio.
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La verità è che pure ad Ansaloni sta stretto Agostino. È più diplomatico di Pasinato ma sente anche lui il ruolo. Alla prima di ritorno, a San Benedetto del Tronto ci sono 3000 tifosi granata e Ansaloni vuole mettere Ago in panchina, convinto che la sua presenza in un momento di battaglia non sia ideale. Di Bartolomei sceglie la tribuna. Anche stavolta Soglia sta col tecnico. Il contraccolpo sembra negativo, la settimana dopo con l’Andria si evita il tracollo casalingo grazie a un gol al novantesimo e mentre gli ultrà che hanno sfondato i cancelli e creato un clima intimidatorio. Quello spavento scuote la squadra che riprende la testa nel giro di due partite. Di Bartolomei è in panchina; la Salernitana risale la china grazie alla fantasia di Della Monica, alla presenza in area di Lucchetti e ai muscoli del difensore goleador Della Pietra. La squadra è seguita da un numero impressionante di tifosi: 6000 a Benevento, 5000 a Francavilla a Mare.
Proprio a Francavilla Di Bartolomei torna protagonista: è un infortunio a Della Monica a ridargli il centrocampo e a far capire ad Ansaloni che rinunciare a un giocatore così è uno spreco. Ago chiarisce subito cosa vuol dire essere un campione: decide le vittorie con Monopoli e Catania, nel mezzo la grande impresa. La classifica recita Salernitana prima, Taranto e Casarano vicinissime. Il calendario prevede Casarano-Salernitana. Su un cross perfetto di Di Bartolomei dalla destra sbuca la testa di Della Pietra che in tuffo segna il gol vittoria. Solo la Casertana, ruolino perfetto nel girone di ritorno con undici vittorie di fila, sembra averne. Due settimane dopo è derby al Vestuti, i casertani però non lo vedranno. I pullman faranno dietrofront, cacciati da Salerno dopo una battaglia feroce. Sul campo finisce 2-2: a cinque giornate dalla fine il vantaggio è cospicuo, 5 punti su Giarre e Casertana terze col Taranto in mezzo. Ci sarebbe solo da gestire.
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Nell’anima del carabiniere scorre le vene del tifoso, dell’ultrà. Della passione granata che l’ha incendiato da ragazzo, insieme a tanti altri che hanno costituito il primo nucleo dei gruppi ultrà a Salerno. A distanza di anni gli amici di allora sono i capi ultrà di oggi, quelli che hanno mobilitato la città nella trasferta della vita. Anche a discapito delle tensioni e della delusione montante in una parte della città. La paura di non farcela, a un centimetro dal traguardo, è enorme e serpeggiano veleni e sospetti. Gli ultrà hanno voluto fugarli con uno striscione emblematico: “Ora sarà più bello di prima. Noi e voi con la rabbia di chi è più forte”. C’è tempo per due parole prima di entrare: “Davvero avete fiducia della squadra?”. La risposta è lapidaria: “Crediamo ad Agostino”.
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La Salernitana fa tutto fuorché gestire: perde a Terni, pareggia a Perugia in un Curi granata per via del gemellaggio e nonostante questo si ritrova il match point tra le mani. In casa, contro il Palermo. Finisce 2-0 per i rosanero, dagli altri campi giunge la notizia della Casertana che ha schiantato il Taranto 3-0. A due partite dalla fine la classifica recita Taranto 45, Salernitana 43, Casertana 42, Giarre 41. Vanno tutti nel panico ed esplode la guerra tra società e squadra. Soglia, nelle settimane addietro, ha promesso il premio promozione per poi tergiversare. Una parte del gruppo non vuole saperne, l’altra vuole prima arrivare in fondo per poi fare i conti. L’unico ad aver capito che può finire male è Agostino: cerca una mediazione, chiede una mano agli ultrà, addirittura sveste i panni dell’uomo serio facendo il sollecito a Zennaro mentre una TV locale lo intervista e dice candidamente che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Sembra venuto da Marte. Penultimo atto, Brindisi, 7000 spettatori. Tutti da Salerno.
I locali sono allo sbando e senza società. Nei giorni precedenti si vocifera che potrebbero giocare gli Allievi. Alla fine scendono i titolari e fanno la loro partita, Battara si supera con due parate poi arriva il minuto 44: Della Monica addomestica la palla per Ago al limite dell’area. Il rimbalzo irregolare lo tradisce e la bomba esce smorzata, eppure abbastanza precisa da entrare in rete. Il secondo tempo è pura attesa. La sala stampa annuncia Giarre 2 Casertana 0. Canarini a -2, falchetti a -3: manca un punto alla Serie B. Domenica 3 Giugno 1990 è il giorno più felice della storia di Salerno: la città è tutta granata, il Vestuti si congeda dal calcio professionistico con una festa per 15mila, negli spogliatoi la squadra si trova perfino uno striscione di ringraziamento firmato dai dipendenti comunali, un giornalista grida ‘non l’avevo mai vista la Serie B’. Al triplice fischio di Cesari non è solo la promozione a diventare realtà ma l’idea che il tempo scorre anche per Salerno. Lo intuisce il sindaco, Vincenzo Giordano, ma lo renderà realtà il suo vice, un quarantenne diventato riferimento locale del PCI dopo una gavetta nelle organizzazioni giovanili: Vincenzo De Luca.
Agostino Di Bartolomei può lasciare il calcio, tenendo per mano il figlio Luca, scosso da tanto entusiasmo, e con la gente che gli chiede di restare. C’è un ultimo conto da saldare: il premio promozione. La sbornia del trionfo non risolve la situazione. Ago torna in sala stampa e parla a nome della squadra: non parteciperemo alle iniziative di festa organizzate dalla società. È uno shock per tutti, ma per Ago la parola è una cosa seria, "Scurdammoce ‘u passato" non è frase che gli appartiene. Non è l’ultimo gesto da capitano: c’è tempo anche per una parola con gli ultrà e per il massaggiatore storico, Bruno Carmando. Gli unici che non l’hanno abbandonato, nemmeno nel momento della frattura con Pasinato, e coloro che ha sentito più vicini. Agli ultrà chiede di fare, comprese nella festa, iniziative per chi ha bisogno (gli daranno retta); a Carmando regalerà una festa e un abbraccio prima dell’addio al calcio. Entrambi si erano dati come ultimo traguardo portare la Salernitana in B. Ce l’hanno fatta.
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La partita è finita, il sole comincia a calare e la strada fino all’imbarco per la Sicilia è lunga. C’è tempo per fare un’altra telefonata a casa, la Serie C1 non è roba da 90° Minuto e quindi la moglie non lo sa ancora. Il calcio interessa fino a un certo punto ma la Salernitana è la squadra della propria città: significa molto anche per chi non vive attorno a un pallone. Il carabiniere si attacca al primo telefono a gettoni e compone, le lacrime scorrono copiose e c’è tempo per una sola frase: “Abbiamo vinto, siamo in Serie B”. Anche la risposta si riduce a una sola frase “Stai attento per strada”. Domenica 3 giugno 1990 è il giorno più felice anche in quella casa. Dopo il pranzo c’è la torta e sopra c’è scritta una sola lettera. Quella a cui ha creduto a una generazione mentre il mondo l’abbandonava al loro destino: se andava bene l’arrangiarsi o l’emigrare, se andava male la morte per overdose. Tornare a vivere e a sognare non ha prezzo, non ha paragoni.
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