Logo Sportellate
Quando muori resta a me
, 29 Maggio 2024

Quando muori resta a me - Considerazioni Sparse


Non sempre si può cambiare ciò che si è costruito così stabilmente nel tempo.

“Tutte le emozioni descritte in questo libro sono state provate veramente. Nomi, luoghi e situazioni potrebbero essere stati modificati, per tutelare i sopravvissuti”. L’avvertenza che precede l’inizio di Quando muori resta a me, l'ultima fatica editoriale di Zerocalcare, palesa la natura autobiografica che caratterizza l’intera opera del fumettista romano. In quest’ultimo libro, edito come sempre da BAO, Calcare articola il racconto su più piani temporali e geografici, spaziando da Merin, un paesino immaginario sulle Dolomiti, a Rebibbia, coprendo un arco di temporale che va dal 1909 al presente. A muovere le fila della storia c’è il più classico degli stratagemmi narrativi, il viaggio letterale e metaforico, che vede Zero percorrere l’Italia in auto in compagnia del padre con destinazione il paese natale della famiglia paterna.

Si fa presto a capire che Merin – questo paesino sperduto tra le montagne – non è un mero sfondo su cui si agitano le vicende di chi ci vive, o è lì di passaggio, ma si fa portatore di episodi storici risalenti ai primi del Novecento ma che si dimostrano quanto mai attuali e attualizzati da chi ne ha perpetrato il ricordo. L’autore trae spunto da un episodio aneddotico della rivalità fra San Gennaro Vesuviano e Palma Campana: gli abitanti del paese progettarono volutamente un campanile senza orologio che volgeva verso il paese rivale, in modo da escludere i vicini dalla conoscenza dell’ora. Dal racconto retroattivo delle vicende di Merin risaliamo al primo grande tema che pervade Quando muori resta a me: il rancore, che "scorre nel sangue dei padri e dei figli", ben espresso dalla frase "la montagna non dimentica". L'idea basta a cancellare la lunga tradizione del panta rei, rende vana quella storia che da sempre ci raccontiamo per rassicurarci, per darci una pacca sulla spalla e auto convincerci che non c’è bisogno di far nulla, che tutto passa, che il tempo sistema ogni cosa. Zero ci sbatte in faccia la realtà, ci dice a caratteri cubitali che i conflitti e le divisioni non si dissipano con il tempo, ma si solidificano e si trasmettono di generazione in generazione, che non c’è possibilità di risolverli stando fermi ad aspettare che il tempo faccia tutto il lavoro sporco. E il viaggio nella memoria di Zero trascende la personalità e si impone a paradigma collettivo. Ripercorrendo episodi del passato, esplorando i frammenti della sua infanzia, indagando il presente alla ricerca di un senso, di un significato nuovo che possa ricomporre una storia, la sua storia, con una luce nuova, con una nuova consapevolezza, finisce per creare un Quando muori resta a me universalmente valido. E nel farlo, ci pone – ancora una volta – brutalmente quanto delicatamente difronte ad un tema delicato quanto reale, il rapporto padre-figlio con tutto ciò che comporta: con la distanza generazionale, con le distanze culturalmente costruite, con l’incomunicabilità, con la mascolinità di cui siamo impregnati tutti, senza distinzione, benché ci costi ammetterlo. Padri che non parlano con i figli che poi non parleranno a loro volta con i propri, una catena che affonda le radici nella storia e che della storia rischia di continuare ad essere radice. Quando muori resta a me urla i silenzi, mette in luce le incomprensioni, riconosce la distanza che si è costruita nel tempo, evidenzia come le dinamiche di genere e le aspettative sociali possano inibire l'espressione emotiva, contribuendo alla perpetuazione di cicli di incomunicabilità, mette nero su bianco, visibile, tangibile, la trasmissione intergenerazionale di traumi e conflitti

Non è la prima volta che la memoria, che l’incomunicabilità, che la tendenza a nascondersi e non parlare apertamente di ciò che ci tormenta appaiono nell’opera di Michele Rech. Già in Un polpo alla gola, il suo primo capolavoro, è questo che si analizza: il tormento, la sensazione di soffocamento, che una questione irrisolta rappresenta nella vita di ciascuno. Ma in questo lavoro tutto appare più profondo, introspettivo, consapevole, come fossimo davanti ad un’opera che ha assunto, nello scriverla, un valore terapeutico. In Quando muori resta a me, in questa autobiografia universale, particolarmente significativa è la comparsa di Michele riflesso nello specchio di Zero. I due lati della stessa medaglia messi difronte allo specchio della loro vita, una vita condivisa ma separata, un riconoscersi – forse per la prima, o almeno per la prima volta apertamente – l’uno nell’altro reso possibile dalla nuova consapevolezza raggiunta, da quella destinazione di un viaggio interiore che ti porta inevitabilmente ad avere tutto un po’ più chiaro. In questo senso, non è strano che l’armadillo – allegoria della sua coscienza, voce dei lati meno apprezzabili, più vergognosi, della personalità di Zero – assuma la forma di Merman, quello stesso Merman che nei suoi ricordi di bambino era stato affrontato e sconfitto dal padre, in un giorno passato alla storia – nella sua memoria personale – come un giorno mitico, vissuto da un punto di vista diametralmente opposto da suo padre. Ed è, ancora, in Merman che si condensano i suoi demoni interiori in una catarsi simbolica che vede nell’incendio della casa di famiglia la liberazione dai pesi del passato. Ed è questa la questione dei punti di vista, della stessa storia che può essere analizzata alla luce di un numero potenzialmente infinito di fattori che ne cambiano l’interpretazione. Ed è questo il concetto alla base del tempo di Quando muori resta a me, un tempo che fugge, che va veloce, che ci lascia indietro; ma indietro rispetto a chi?

Abbiamo già visto in Scheletri e in Macerie Prime quella sensazione di affaticamento che deriva dalla corsa affannosa per essere al passo degli altri che, mentre tu sei fermo, vanno avanti, si fanno una famiglia, hanno figli: Cinghiale ha una famiglia, addirittura Secco ha una famiglia; vediamo qui la consolazione che nasce dal confronto con chi vive ancora una vita come la tua, addensata nella telefonata notturna con Sara. Quando muori resta a me appare come l’esito di un’opera di formazione che si estende per tutta la produzione precedente di Calcare e che trova qui compimento, o perlomeno consapevolezza: la presa di coscienza che il rischio è quello di partecipare a una gara indetta da altri, la pressione di “un orologio biologico” che non ti appartiene ma che mette a repentaglio la qualità del tuo tempo è il punto di arrivo di un processo lungo una vita, che diventa punto di partenza per una nuova fase della vita. Il viaggio di ritorno a Rebibbia conclude il ciclo narrativo di Quando muori resta a me senza il lieto fine a cui le fiabe e i film americani ci hanno abituati: non ci sono abbracci che ridefiniscono il rapporto costruito, non ci sono flussi di coscienza mielosi, non ci sono sentimentalismi improvvisi. Semplicemente perché non è questa la vita vera, perché non sempre si può cambiare ciò che si è costruito così stabilmente nel tempo, per quanto ci piacerebbe e per quanto siamo coscienti che qualcosa di migliore possa esistere. Perché, proprio come la vita vera, il viaggio dentro di sé di Quando muori resta a me può anche produrre una conversione, senza però sapere come agire per cambiare le cose. Ciò che si può fare è solo impegnarsi a raccogliere gli sparsi frammenti della propria anima.

  • Umanista. Ama il Sud: d'Italia, d'Europa, del mondo.

Ti potrebbe interessare

Considerazioni sparse post Khabib Nurmagomedov vs Justin Gaethje

Dallo stesso autore

Palazzina LAF (2023) - Considerazioni Sparse

Newsletter

pencilcrossmenu