Olivier Giroud è stato unico
Il francese ha lasciato il Milan da eroe.
La prima impressione è che Olivier Giroud e il Milan si siano incontrati troppo tardi. Ma, a pensarci meglio, il tempismo è stato impeccabile. È vero: è sbarcato a Milano a 35 anni, età nella quale la maggior parte dei calciatori decide se svernare a Miami Beach o nel deserto arabo. Lui, però, un po’ come il suo ex-compagno Ibra, aveva ancora troppa fame di sfide, pressioni, vittorie, insomma di vita, per lasciare; e per di più, la cura maniacale del suo fisico, gli consentiva di fare a sportellate in Europa ancora per qualche anno.
Olivier Giroud è arrivato a Milano nel momento perfetto, come un deus ex machina calatosi dall’alto per risolvere il conflitto narrativo in una rappresentazione nell’antica Grecia. È arrivato quando i semi piantati nei due anni precedenti da Massara e Maldini erano finalmente pronti per sbocciare, e la banter era milanista era ormai un triste ricordo.
Se fosse arrivato qualche anno prima, la sua grandezza sarebbe stata sprecata in un contesto decadente, come una grande orchestra che suona tra le macerie di una città in rovina. Invece Giroud è stato sinonimo di καιρός (kairos), parola meravigliosa con cui i greci indicavano il significato di “momento giusto/propizio”; è arrivato e ha rotto qualsiasi maledizione: quella della numero nove, che negli anni ha mietuto decine di vittime; quella dei derby in trasferta e quella di uno scudetto, che mancava da undici anni. Ma soprattutto, Olivier Giroud è riuscito in un altro miracolo: diventare leggenda in soli tre anni.
Durante la sua presentazione ufficiale, tanti tifosi hanno accolto con sconforto la scelta di quel maledetto numero nove; un semplice numero, un innocuo simbolo, che però, da Inzaghi in poi, ha fatto dimenticare come si segna a chiunque l’abbia indossato: Pato, Matri, Torres, Destro, Luiz Adriano, Lapadula, Andrè Silva, Higuain, Piatek, Mandzukic. Tutti giocatori diversi, anche con carriere di spessore alle spalle, ma con un unico esito: il disastro. Quella presentazione, però, offre un altro spunto memorabile: quando gli viene passata la maglia rossonera, Giroud, anziché prodursi nel consueto retorico gesto del bacio sullo stemma, prima la accarezza, e poi la annusa a pieni polmoni: “ha il profumo della giovinezza”, svelerà in seguito.
Si tratta di quell'eterna giovinezza senza la quale un calciatore di quasi quarant’anni non può continuare a giocare. Pensateci: ci innamoriamo del calcio da piccoli, iniziamo a giocare con altri bambini che come uno sciame impazzito inseguono una sfera di cuoio (nel migliore dei casi). Il calcio sarà sempre una dimensione legata alla nostra dimensione più fanciullina: un uomo di quasi quarant’anni che si affanna nell’inseguire un pallone è quasi un’immagine ridicola. Ma il segreto, come insegna Giroud, è conservare la giovinezza che deve accompagnarsi al gioco.
Già nel suo esordio al Milan, Giroud, da campione qual è, spazza via maledizioni e macumbe: doppietta al Cagliari ed esultanza rabbiosa. È al Milan con intenzioni serie ma soprattutto ha uno spessore umano e tecnico che si mangia tutti i suoi predecessori.
Quell’anno segnerà undici gol, ma il numero non rende l’idea del segno che ha impresso sullo Scudetto conquistato. È il peso specifico a fare la differenza, a partire dai due gol più pesanti della storia recente rossonera, nel derby del 5 febbraio 2022. Le leggende, nel calcio, sono tali per l’impatto che hanno sulla storia del proprio club, per la loro capacità di invertire l’ordine degli eventi e manipolarlo a loro piacimento.E si tratta esattamente di ciò che ha fatto Olivier Giroud.
I primi settantacinque minuti di derby sono un monologo interista: l’Inter gioca benissimo, sembra più forte in tutto e per tutto e non chiude la partita solo grazie ai miracoli di Maignan. Sull’1-0, il Milan è virtualmente a -10 dai cugini, che hanno una partita in meno: lo scudetto non è in discussione. Çalhanoglu sarà campione al primo anno dopo il tradimento, la seconda stella è destinata ad essere nerazzurra prima ancora che il Milan possa vincere il suo diciannovesimo titolo. Ma poi ci sono i campioni, e i campioni, per diventare leggende, devono entrare in gioco in momenti come questo.
Al 75’ Sanchez controlla male un pallone e deve inseguirlo correndo all’indietro, ma sulla sua strada trova un trentacinquenne furioso, che in quel momento poteva sorseggiare del tè arabo nel ritiro dell’Al Nassr, ma ha preferito sentirsi vivo ancora per un po’, e allora si deve combattere: Giroud gli rifila una spallata fragorosa e gli sradica il pallone.
Tonali guida la riscossa e serve Brahim, che come spesso accade negli ultimi metri è impreciso, e da buona posizione calcia addosso a Bastoni: ma in questo caso è καιρός a intervenire, il momento giusto: il pallone finisce sempre dove deve finire, ovvero in quel micro-frammento di spazio in cui si trovano i campioni, pronti a tramutarlo in storia; Giroud la butta dentro in spaccata disperata e allarga le braccia, esultando sotto la Sud con la vena del collo che gli esplode: questa è vita.
Sembra finita, il tempo a disposizione di Giroud è poco: per diventare leggenda nei pochi anni che trascorrerà al Milan deve fare qualcosa di grosso, iconico; un gesto che rimanga nella memoria dei tifosi per sempre, tipo girarsi. Al 78’, tre minuti più tardi, mentre Calabria avanza sulla trequarti, Giroud attacca la profondità chiamandogli il filtrante: la palla di Calabria è perfetta, ma lui è di spalle e non ha compagni da servire a rimorchio con una delle sue sponde.
Serve invertire l’ordine della storia recente dei derby, della numero nove, dei troppi campionati deludenti, di una generazione di giovani milanisti che uno scudetto non l’ha mai visto, e per farlo, serve invertire la postura del corpo. Giroud si gira con un controllo orientato di tacco, che gli permette di crearsi lo spazio per calciare e fulmina un poco reattivo Handanovic sul secondo palo. Poi fa la linguaccia, e sa che ce l’ha fatta: si è girato, è entrato nella storia, quel gol è già leggenda.
È vero: a fine partita il Milan è comunque a -1 dall’Inter – che ha ancora una partita in meno – ma quel doppio timbro di Giroud ha dato subito l’impressione di aver mosso le vette montuose della Storia: l’Inter non si riprenderà più, il Milan inizia a crederci più che mai.
Il secondo gol, per dirla alla Pellegatti, “pesante come un film di Fassbinder”, lo segna a Napoli alla ventottesima giornata. È uno scontro diretto decisivo per lo scudetto, che consente al Milan di portarsi a +3 sul Napoli e di volare in testa alla classifica (in attesa del recupero dell’Inter). Il gol è da rapinatore d’area e assomiglia molto al primo segnato nel derby, un vero e proprio omaggio a Pippo Inzaghi: Calabria ciabatta una conclusione che si trasforma in un cross a centro area per Giroud che in spaccata trafigge Meret. Il Milan è primo.
Escluso il gol del pareggio a Roma contro la Lazio, anch’esso pesantissimo considerando che il gol nel finale di Tonali dà per la prima volta la vetta definitiva al Milan (l’Inter perderà a Bologna tre giorni dopo), prima della finale di Reggio Emilia, nelle ultime nove giornate Giroud segna un solo gol, come se fosse in letargo in attesa dell’appuntamento decisivo con la storia; nel frattempo, ci pensa Rafael Leão.
Senza Olivier Giroud, Reggio Emilia non avrebbe avuto alcun significato per il Milan: se i rossoneri hanno la possibilità di vincere uno scudetto dopo undici anni, tanto del merito è di quei gol che hanno invertito l’equilibrio della stagione. Ma se il Milan non dovesse concludere l’opera, quei gol andrebbero persi come lacrime nella pioggia, nessuno intonerebbe il coro “Si è girato Giroud”, e forse lui stesso non verrbbe considerato una vera leggenda. “Job’s not finished”, direbbe Kobe.
Dopo quindici minuti, però, lui stesso dichiara in modo molto diretto le sue intenzioni: Rafa Leão, che in quei mesi è per distacco il più forte giocatore del campionato, semina Muldur sulla sinistra e serve al centro il francese che, ancora una volta con una girata, fa 1-0 e fa esplodere di gioia la marea di tifosi rossoneri accorsi a Reggio Emilia. Passa un altro quarto d’ora, e il copione si ripete: Leão sulla sinistra fa quello che vuole, non c’è modo di impedirglielo per i difensori del Sassuolo, e serve Giroud che in girata segna a porta quasi sguarnita. Ora può rilassarsi: il suo posto nella storia rossonera è assicurato.
Il termine leggenda potrà suonare eccessivo, specie in riferimento a una storia stracolma di campioni come quella del Milan. Quello che conta, però, è come sempre il contesto storico. Giroud arriva al Milan in una fase di ricostruzione dopo una lunga banter era durante la quale i tifosi di vecchia data hanno dovuto abituarsi a una sauadra mediocre e decadente, mentre quelli più giovani non hanno mai potuto conoscere il sapore della vittoria.
Giroud, a trentacinque anni, col suo spessore da campione, la sua mentalità e l’esempio che ogni giorno ha offerto a Milanello a un gruppo pieno di giovani, ha ricordato ai primi quanto sia bello vincere – specie quando non te lo aspetti – e ha fatto scoprire ai secondi che anche loro potevano vincere, anche a loro era concesso di gioire per la loro squadra. Questo è lasciare un segno, e forse basta per essere definiti leggende di un club, anche se in quel club si trascorrono solo tre anni.
Molti tifosi milanisti, persino quelli che hanno vissuto decine di titoli, riconoscono in quello del ’22 il più bello scudetto di sempre, forse al pari di quello di Zaccheroni: un titolo inaspettato, un titolo che fino al settantesimo del derby sembrava perso in modo incontestabile e poi riacciuffato in modo disperato, grazie a una girata fisica e metaforica: si è girato Giroud, e con lui la storia.
Da lì in poi, tutto l’ambiente milanista è entrato in un vortice di entusiasmo infernale, tanto che San Siro è sembrato per mesi il Monumental di Buenos Aires: i più piccoli scoprivano emozioni di un’intensità da loro mai provata, i più anziani, proprio come Giroud, riassaporavano il sapore della giovinezza.
L’anno dello scudetto racchiude il mito fondamentale della storia di Giroud al Milan, ma per quanto le due stagioni successive non abbiano portato in dote trofei – il grande rammarico di Giroud, che ribadisce la sua delusione per l’uscita in Europa League con la Roma nella sua intervista di addio – lui è comunque riuscito a segnare altri 34 gol e a offrire 17 assist.
48 gol totali in tre anni. Non male a 36/37 anni, con tutto il peso dell’attacco delle sue spalle. Alcuni di questi sono capolavori, ma del resto non ci si sorprende: Giroud è uno degli attaccanti che vanta il più bel catalogo di reti in carriera, dallo scorpione segnato ai tempi dell’Arsenal fino alla rovesciata in Champions nel suo ultimo anno di Chelsea contro l’Atletico.
Ma considerando che Giroud sta lasciando il Milan – non ancora il calcio – è giusto considerare un gol che incarna l’eterna giovinezza di questo campione: si tratta della mezza rovesciata contro lo Spezia nel campionato 22/23. Il Milan è sull’1-1, il pareggio per lo Spezia – guarda caso – l’ha segnato Daniel, figlio del dirigente che ha portato Olivier al Milan; è una partita sporca, rognosa, il Milan non ha più lo smalto dell’anno prima.
All’88’ Tonali conduce al limite dell’area sul centro-destra: prima ancora che possa alzare la testa, Giroud prende posizione con una sportellata e ai guadagna lo spazio ideale per tentare una conclusione acrobatica. Tonali alza la testa, si rende conto che il suo compagno è in mezzo a due avversari, ma fa partire un lancio teso, di collo, sperando che sia lui ad arrivarci per primo: la palla è leggermente lunga, ma con una mezza rovesciata in allungo simile a quella di Haaland l’anno scorso contro il Dortmund, Giroud impatta di collo pieno e sfonda la porta. La sportellata per guadagnare spazio, la coordinazione, l’impatto con la palla. Gol da manuale puro.
Giroud esulta, felice come un bambino, e la sua ingenuità fanciullina lo porta a perdere lucidità: si toglie la maglia per mostrare il fisico scolpito e viene espulso per doppia ammonizione. Uscirà dal campo in lacrime, mostrando ancora una volta con quale approccio abbia deciso di vivere questa avventura: respirandola a pieni polmoni, nella gioia e nel dolore, per sentirsi ancora vivo; e per sentirsi vivo giocando a calcio, ha bisogno di sentirsi ancora bambino. Non saranno le uniche lacrime che dedicherà al Milan: quest’anno, dopo la sostituzione in Napoli-Milan 2-2, è stato inquadrato in preda allo sconforto in una partita che ha fatto scivolare il Milan sempre più lontano dalla seconda stella.
Lui stesso l’ha rivelato nella sua ultima intervista di saluto ai tifosi rossoneri: “Mia figlia mi ha detto 'Ma papà non ti vedo mai piangere'. Le ho risposto dicendole che lo faccio ma mi nascondo. Ho pianto per il Mondiale, per lo Scudetto, ma anche quando la squadra non va bene, che sento che potevamo fare meglio, soprattutto per i nostri tifosi che sono sempre qua a sostenere la squadra, mi fa male perché sono un competitore che quando è deluso lo è tanto al punto che gli vengono le lacrime."
Avrebbe voluto chiedere questa storia con un altro trofeo ma anche le storie più belle possono spegnersi con una nota amara. In fin dei conti, Giroud in questo triennio ha dato tantissimo al Milan e ha ottenuto quello che voleva: ha goduto, ha pianto, si è sentito giovane, si è girato. Insomma, ha vissuto la sua eterna giovinezza, e noi grazie a lui.
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