Napoli-Roma (2-2) - Considerazioni sparse
Il gol di Abraham è un manifesto: l'autolesionismo del Napoli e il restare aggrappati agli obiettivi della Roma.
Il Napoli a caccia di rivincite e di punti per non trovarsi senza coppe europee dopo 13 anni di presenza assidua, la Roma per continuare nella sua incredibile rincorsa per un posto in Champions. Gli ingredienti per una partita divertente c’erano tutti e le attese non sono state tradite, nonostante la cornice fosse un Maradona avvolto in un silenzio quasi surreale, che in alcuni tratti ha fatto tornare la mente ai tempi del Covid, quando con gli stadi chiusi si potevano sentire distintamente le voci dei protagonisti in campo.
Entrambi i tecnici optano per il 4-3-3, anche se in fase di non possesso la Roma passa fluidamente al 4-4-2, facendo slittare Bove sulla destra per evitare troppe corse all’indietro a Dybala (che resta vicino ad Azmoun). Dopo 20’ a ritmi decisamente bassi, il Napoli decide di accelerare, mettendo a nudo tutti i limiti di una Roma decisamente - e prevedibilmente - sulle gambe. Del resto, mentre i partenopei avevano già iniziato a preparare il match odierno, la Roma si era trovata a giocare altre 2 gare (lunedì col Bologna e giovedì i 20’ da recuperare a Udine). Oltre al mismatch fisico, si palesa in maniera impietosa quello tecnico e di caratura tra i due centravanti: se Osimhen riesce da solo a tenere in apprensione una difesa, regalando profondità e dettando i tempi alla squadra, dall’altra parte Azmoun fatica a tenere su un qualsivoglia pallone, nonostante l’impegno non manchi. Le occasioni per gli azzurri fioccano, ma sottoporta manca clamorosamente la lucidità, come se la nube nera che sembra ormai veleggiare da mesi sulla stagione del Napoli abbia avvolto pensieri e morale dei calciatori.
Nella ripresa, come spesso accaduto, la Roma scende in campo più propositiva e riesce finalmente a trovare un po’ di soluzioni nel giro palla. L’impressione è che non serva poi così tanto per far male a una squadra dall’umore fragile, infatti basta una buona lettura di Azmoun per causare un’entrata scellerata di Juan Jesus che significa 0-1 su rigore, ovviamente di Paulo Dybala. Nelle pieghe di una partita paradossale, non è così sorprendente che il pari del Napoli, dopo tante occasioni pulite sprecate, arrivi in maniera fortunosa con il tiro di Olivera deviato dallo sciagurato Kristensen. La gara si accende e quando il Napoli sembra averla portata a casa, ecco che arriva al 90’ il 2-2 di Tammy Abraham, una rete che contiene il manifesto di due stagioni: quella del Napoli, sciagurata ai limiti dell’autolesionismo, e quella della Roma dall’arrivo di De Rossi, a sprazzi bellissima, a volte balbettante, ma mai doma.
Come è evidente, il Napoli ai punti avrebbe meritato comodamente la vittoria, trascinato da un Osimhen desideroso di spaccare il mondo. Il talento di questa squadra, che l'anno scorso aveva incantato e dominato la Serie A, non è certo evaporato; ad essersi smarrite sembravano essere le combinazioni a occhi chiusi, la fluidità nei movimenti, la rapidità nel cercarsi e trovarsi tra la linee per mettere in crisi anche le (tante) avversarie che optano per attendismo e baricentro basso. Oggi in tal senso ci sono stati degli ottimi segnali di risveglio, mentre a latitare è ancora la solidità difensiva, oltre alla fiducia e la convinzione nei propri mezzi: la prestazione di Anguissa, tanto bravo nelle letture e nelle giocate quanto disastroso nella scelta o conclusione finale, ne è la rappresentazione plastica. Kvaratskhelia continua a incantare, ma ha bisogno di maggior supporto per non cantare e portare la croce. Disastroso invece Juan Jesus.
L’assenza di Paredes si rivela pesantissima per il giro palla della Roma, confermando ancora una volta che Cristante è più a suo agio nel ruolo di mezzala. Ciononostante, l’azzurro fa l’ennesima partita poco appariscente ma piena di cose utili e letture intelligenti, risultando il migliore tra i suoi dopo lo strepitoso Svilar. Male invece Kristensen, troppo goffo tecnicamente per certi livelli, e un Bove che è mancato proprio nelle sue specialità -intensità e contrasti- in un match in cui ce n’era abbondante bisogno, oltre a un El Sharaawy in evidente debito d'ossigeno. Nonostante l'arrivo di De Rossi abbia rinvigorito la squadra, portando in dote 30 punti in 14 partite, per entrare in Champions la Roma è chiamata a vincere tutti i 4 incontri restanti, e i prossimi due avversari da affrontare con i postumi del match di Coppa con il Leverkusen si chiamano Juventus e Atalanta. L'impresa rasenta l'impossibile, e a contribuire al coefficiente di difficoltà c'è anche l'ottimo cammino europeo che toglie non poche energie fisiche e mentali. Per una volta, però, l'inflazionatissimo "sono tutte finali" rappresenta bene la realtà, ed arrivare a giocare match con questo peso, considerando la terribile prima parte di stagione, è già un grande merito per la Roma di oggi.
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