Parigi-Roubaix - Considerazioni Sparse
Un monumentale Mathieu van der Poel conquista la seconda Parigi-Roubaix consecutiva.
Il 14 aprile del 1972 nelle radio inglesi - e subito dopo nelle altre di tutto il mondo - sbarcò un pezzo destinato a restare nella storia: "Starman". L'aveva scritto, realizzato e musicato quel genio che rispondeva al nome di David Bowie. Era il primo estratto dell'album "The rise ad fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars": ancora oggi è una pietra miliare della musica, inserito in tutte le classifiche dei migliori singoli della storia. Il 14 aprile del 1972, Mathieu Van Der Poel non era neanche lontanamente nell'immaginazione di papà Adrie che, all'epoca, aveva soltanto 13 anni. Lo stesso valeva per mamma Corinne. Lei, però, già era a stretto contatto con il magico carrozzone del ciclismo grazie al padre, Raymound Poulidor, che già s'apprestava a diventare uno dei più grandi sconfitti della storia delle due ruote. Fino a qualche ora fa, non c'era alcun punto di contatto con queste due storie. Ora c'è. Quel gran genio del barone bianco riusciva a vedere anche nel futuro e avrà scritto "Starman" osservando il campione del mondo trionfare a questa Parigi-Roubaix.
C'è un passaggio di quel ritornello che sembra fatto su misura per ciò che i nostri occhi hanno potuto osservare lungo le strade e le pietre del Nord della Francia in questa domenica di grazia: «There's a starman waiting in the sky/He'd like to come and meet us/But he thinks he'd blow our minds». Mathieu, il fenomeno VdP, è diventato l'uomo delle stelle in grado di sorprenderci e sbalordici ancora. Uno sballo, Van der Poel: sembra davvero arrivato da un altro mondo. Ma prima di raccontare la gioia che ha donato, c'è bisogno di aggiornare un po' di numeri. Che numeri. L'olandese ha vinto la sua seconda Roubaix bissando il trionfo del 2023: l'ultima doppietta fu quella di Tom Boonen fra il 2008 e il 2009. VdP ha centrato in questa stagione anche il filotto Fiandre-Roubaix: non accadeva dal 2013 quando fu Fabian Cancellara a centrare quel bis che basta per dare peso e gloria a un'intera carriera. E Mathieu ha vinto in maglia di campione del mondo - non accadeva dal 2018: allora fu Peter Sagan ad alzare le braccia al cielo nel velodromo in maglia arcobaleno -, sconfiggendo quel vecchio adagio che vedeva una sorta di "maledizione" per gli iridati nella stagione successiva alla vittoria del Mondiale, incapaci di confermarsi e conquistare altre vittorie. Nulla di tutto questo. Come si può fermare l'uomo delle stelle?
Monumentale nella classica monumento: poco altro da dire su come van der Poel si è preso tutto. C'ha messo pure un pizzico di pre-tattica, questa volta: dopo il successo al Fiandre e nella settimana d'avvicinamento alla Parigi-Roubaix, lui stesso aveva avanzato qualche dubbio sul suo stato di forma. Ogni interrogativo, però, è stato spazzato via con una forza quasi brutale. Con la potenza di un fenomeno capace di dire "ciao ciao" all'intera compagnia già a 60 chilometri dal traguardo per dar vita all'ennesima cronometro solitaria in cui nessuno, proprio nessuno, ha avuto l'energia neanche per avvicinarsi. Ha aperto il gas sul settore in pavé di Orchies, neanche uno dei più difficili. Ha fatto scendere la catena sul rapportone ed è volato sulle pietre, danzando con la sua bicicletta su quei massi che la rendono ingovernabile. Gli altri hanno potuto mangiare soltanto la polvere. Uno spettacolo nello spettacolo andato in scena prestissimo. Grazie anche ai suoi compagni di squadra: l'Alpecin è stata perfetta come il suo capitano. I suoi alfieri, infatti, hanno iniziato a mettere in croce le gambe degli avversari a oltre 150 chilometri dal traguardo, appena al terzo tratto di pietre. Sufficiente accelerare per mandare in frantumi un gruppo già selezionato per le (solite) cadute. Quando ancora i chilometri per l'arrivo erano a tre cifre, davanti erano rimasti una trentina. E sono diventati ancora meno dopo la Foresta di Arenberg - la "chicane della discordia" aggiunta per rallentare l'ingresso dei corridori: ha funzionato, anche se resta qualche dubbio sull'efficacia di questa soluzione in caso di plotone ben più numeroso a quel punto delle prossime Parigi-Roubaix - in cui il gladiatorio Mads Pedersen ha cercato un affondo. VdP non si è smosso: ha accelerato quasi al termine del passaggio chiave e simbolo della corsa, ha preso la testa e già in quel momento, pur senza affondare in maniera insistente, sembrava in grado di mollare tutti. Ha atteso ancora, contando sull'apporto dei suoi fortissimi compagni di squadra. E poi ha dato l'affondo decisivo sul pavé di Orchies.
Lì l'uomo delle stelle si è trasformato in una navicella spaziale che a ogni pedalata riusciva a trovare sempre maggiore velocità, a dare sempre maggiore distacco ai suoi avversari. I secondi di vantaggio sono diventati rapidamente dieci, venti, trenta. A ogni settore di pavé aumentavano ancora. All'uscita dal tratto solitamente decisivo di Mons-en-Pevele, il ritardo dei primi inseguitori sfiorava i due minuti. La certificazione di un successo ormai in vista, raggiungibile addirittura in caso di imprevisti nel finale. E così gli ultimi chilometri - compreso il tostissimo tratto di Carrefour de l'Arbre - sono diventati una sorta di maxi passerella per vdP: ha indicato la sua bici quasi a complimentarsi per quello che gli aveva permesso di realizzare; ha dato il pugno ai meccanici e al direttore sportivo che lo seguivano da vicino nell'ammiraglia della sua squadra; ha osservato il pubblico in visibilio sugli spalti del velodromo di Roubaix che l'ha accompagnato in un trionfale giro e mezzo finale. Poi, conscio di aver compiuto la sua missione, ha alzato le mani, allargando le braccia verso il cielo. E il trionfo si è completato poco dopo quando Jasper Philipsen si è andato a prendere la piazza d'onore davanti al coriaceo Pedersen: un premio anche per il compagno di squadra che l'ha protetto dai (vellietari) tentativi di rimonta che così ha ripagato vdP dell'opera di gregariato prestata per il suo successo alla Milano-Sanremo (da segnalare anche il sesto posto di un altro Alpecin, il belga Gianni Vermeersch: un altro che sarebbe capitano in qualsiasi altra formazione...). Nella Parigi-Roubaix 2024, però, è sparita l'Italia: il primo al traguardo, soltanto al 50esimo posto, è stato Andrea Pasqualon mentre Alberto Bettiol, Luca Mozzato e Gianni Moscon non sono mai stati della partita.
Adesso verrebbe da porre una domanda all'uomo delle stelle: quali altri pianeti vorrai esplorare dopo aver regalato tutte queste gioie sulla Terra? L'impressione è che neanche van der Poel conosca i suoi limiti. Se nel ciclocross ha fatto vedere di tutto e di più, su strada in tanti credono che possa dare ancora tanto. Togliersi altre soddisfazioni, puntando anche a corse da cui finora è rimasto lontano. Probabilmente già da subito. Sarebbe davvero bellissimo, infatti, rivederlo fra qualche settimana sulle strade della Liegi-Bastogne-Liegi pronto a duellare (o almeno tentare) con quell'altro fenomeno che risponde al nome di Tadej Pogacar. Con la condizione di forma stratosferica di questi giorni, MvdP sembra in grado anche di affrontare le pendenze delle cote e rispondere agli attacchi di quell'altro diavolo sloveno, pronto a prendersi la scena nelle classiche delle Ardenne. Poi il futuro si apre a mille scenari: dal sogno di una medaglia alle Olimpiadi di quest'estate, al dovere di difendere la maglia di campione del mondo nell'appuntamento di fine stagione di Zurigo. E poi c'è il 2025 e gli altri anni a venire che lo chiamano ad altre imprese, ad altri trionfi nelle classiche monumento (sono già sei, intanto). Magari, come detto, anche quelle ancora non esplorate, come la Liegi o, perché no, il Giro di Lombardia. L'idea stuzzica anche lui: sarà il momento in cui l'uomo delle stelle potrà sbalordire ancora il mondo intero.
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