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Copertina Leo Messi Hong Kong
, 23 Febbraio 2024

La Cina contro Leo Messi


I tifosi di Hong Kong hanno fischiato l'argentino e ne è nato una sorta di caso diplomatico.

Durante le scorse settimane l’Inter Miami – la squadra di Messi, Suárez, Busquets e Jordi Alba – ha attraversato l’Asia per una serie di partite amichevoli (e promozionali) contro le migliori squadre locali. Come forse avrete letto in giro, la prima tappa del tour è stata l’Arabia Saudita, dove Miami è stata sconfitta 6-0 contro l’Al Nassr di Cristiano Ronaldo (assente per problemi fisici) grazie a una tripletta di Talisca, a un bellissimo gol su punizione da oltre la linea di centrocampo di Laporte e ai gol di Otavio e Mohamed Maran. La seconda partita è stata giocata a Hong Kong contro una rappresentativa del campionato locale – vinta agilmente per 4-1 dagli statunitensi – e la terza a Tokyo contro i campioni giapponesi del Vissel Kobe, squadra in cui fino alla scorsa stagione giocava Andrés Iniesta. Dopo la tournée asiatica dei pink flamingos, Messi avrebbe dovuto giocare non solo a Hong Kong ma anche due partite in Cina, non più con la maglia rosa ma con la divisa albiceleste.

La prima contro la Nigeria ad Hangzhou e la seconda contro la Costa d’Avorio a Pechino. Il tutto per rimediare a quanto accaduto a novembre, quando le amichevoli dell’Inter Miami in terra cinese furono annullate per “circostanze inaspettate” (ufficialmente la morte del primo ministro Li Keqiang). Tuttavia, dopo la partita di Hong Kong, Messi non andrà in Cina nemmeno questa volta, ma non per colpa della pandemia né per la morte improvvisa di qualche importante figura istituzionale.

Le due partite in Cina sono state annullate (con buona pace delle due finaliste di Coppa d’Africa, vere vittime innocenti della questione) a causa di un disastro commerciale da attribuire all’Inter Miami e a Tatler Asia – organizzatore dell’evento – nell’amichevole di Hong Kong, un disastro commercialmente ben più grave della brutale sconfitta contro l’Al Nassr a Riyadh.

Il 4 febbraio, in occasione dell’amichevole con l’Inter Miami, circa quarantamila appassionati hanno riempito l’Hong Kong Stadium fino all’ultimo sedile disponibile – pagando biglietti che arrivavano fino ai 600€ per i posti in tribuna – principalmente per un motivo: veder giocare con i propri occhi – e probabilmente per l’unica volta nell’arco delle loro vite – il giocatore più forte del calcio contemporaneo: Lionel Messi. Di certo nessuno, neanche i più ottimisti, si aspettava di vedere una delle sue partite più illuminate. Si sapeva anche non avrebbe giocato novanta minuti. Qualche decina di minuti, però, qualche sprazzo di classe, un giro di campo e un saluto al pubblico, però, sarebbero forse stati sufficienti a soddisfare la sete del pubblico. Messi, invece, non è mai entrato in campo a causa di un fastidio all’adduttore. Non ha concesso nemmeno un piccolo show di riscaldamento, qualche palleggio pre o post partita, un giro di campo per salutare il pubblico. Niente.

Gli hongkonghesi, e non soltanto quelli presenti allo stadio che lo hanno inondato di fischi al grido di “Wui seoi! Wui seoi!” (letteralmente: “Rimborso! Rimborso!”), non l’hanno affatto presa bene. Né lo hanno fatto, come abbiamo visto, le autorità governative locali e cinesi. D’altra parte, la promozione dell’evento aveva tutt’altre premesse rispetto all’evento sportivo in sé. Tatler Asia aveva definito l'incontro "più di una partita di calcio", ma un festival di due giorni – chiamato Tatler XFEST – avrebbe riunito sport e intrattenimento per elevare lo status di Hong Kong come città mondiale dell'Asia" e, sebbene non fosse mai stata garantita la sua presenza, tutta la componente grafica della campagna dell’XFEST era ovviamente incentrata su Lionel Messi.

La faccenda si è ulteriormente aggravata tre giorni dopo, quando – nella terza e ultima amichevole della tournée, giocata a Tokyo – Suaréz, Busquets e Jordi Alba hanno giocato dal primo minuto mentre il numero dieci argentino è entrato al 60’ giocando quaranta minuti, supplementari e rigori. Secondo quanto lui stesso ha raccontato in conferenza stampa, ovviamente, Messi non ha nulla contro Hong Kong e spera di tornarvi il prima possibile ma nella partita in Arabia aveva avvertito un fastidio e non si sentiva di rischiare un infortunio più serio. Tre giorni dopo, invece, sentiva il problema superato e quindi aveva deciso di scendere in campo. Nulla di strano.

Tuttavia, come abbiamo detto, Hong Kong e Pechino non hanno placidamente accettato le scuse, ma, anzi, hanno reagito piuttosto veementemente, visti anche gli sforzi economici finalizzati a far tornare Hong Kong un centro dell’intrattenimento mondiale dopo anni di restrizioni pandemiche e non solo (nell’ultimo anno, per esempio, Taylor Swift, i Coldplay e Harry Styles non si sono esibiti ad Hong Kong, ma lo hanno fatto nelle rivali Singapore e Tokyo). Mercoledì scorso, dopo la vittoria ai rigori contro il Vissel Kobe, un editoriale del tabloid statale cinese Global Times ha affermato che la spiegazione dell'infortunio era "poco convincente" e che "l'impatto di questo incidente è andato ben oltre il regno dello sport".

Secondo Sam Goodman, Senior Policy Director presso il China Strategic Risks Institute e consulente di Hong Kong Watch (un think tank indipendente duramente colpito dalle nuove leggi sulla sicurezza nazionale) questi grandi eventi internazionali non sono altro che l’ennesima forma di sportwashing, ovvero un modo per distrarre la popolazione e, soprattutto, il mondo, dal fatto che la Cina stia sostanzialmente cancellando ogni libertà residua e inglobando la città-stato nel suo sistema di potere.

Di conseguenza, ogni avvenimento che in qualche modo possa danneggiare la reputazione o frenare l’operazione di pulizia della facciata, viene percepito da Pechino come una mossa politica in funzione anticinese. In effetti, David Beckham è stato pesantemente criticato dagli attivisti pro-Hong Kong per la scelta di disputare quest’amichevole. Allo stesso tempo, rimane difficile pensare che Lionel Messi – una persona che ha stipulato un accordo multimilionario con il sanguinario regime saudita e che si è felicemente piegato ai siparietti qatarioti – abbia rinunciato a giocare per scrupolo politico.

Allo stesso tempo, anche i boati del pubblico sono stati, quasi sicuramente, più sinceri di quanto ci voglia far credere la Cina. Quelle quarantamila persone erano davvero lì per vedere giocare una semi-divinità del calcio, il loro idolo, colui che ogni appassionato vorrebbe vedere almeno una volta a pochi metri da sé. Erano davvero stati ingannati – forse involontariamente – dalle pubblicità ed erano davvero profondamente delusi non solo o non tanto dalla sua assenza, ma dalla totale mancanza di empatia nei confronti di chi era lui solo per lui.

Da questo pasticciaccio, che può sembrare poco interessante, sorgono però delle domande importantissime per il futuro del calcio e non solo. Qual è il confine tra sport e intrattenimento? Quali sono i “doveri” che uno sportivo nutre nei confronti del pubblico? Noi chi siamo, spettatori o tifosi? Come si devono comportare i grandi club e i campioni nei confronti di regimi così potenti, così ricchi, così “irritabili”? Questo breve articoletto sulle vicende di Messi a Hong Kong non ha la pretesa di trovare, ma neanche di affrontare tangenzialmente, le risposte alle domande di cui sopra. Tutto ciò che si propone di fare – nel suo piccolo – a è di provare stimolare una riflessione critica sul gioco che amiamo di più.

P.s.: dopo la pubblicazione di questo articolo su Catenaccio, la questione Messi-Cina si è ancora evoluta. L'otto volte pallone d'oro si è trovato costretto (dalle circostanze) a pubblicare un video di scuse - un po' goffo - su Weibo, il principale social network cinese, in cui ha cercato di chiarire la propria posizione. Messi spiega di non preferire il Giappone alla Cina, anzi di avere "da sempre una relazione molto stretta" con Pechino, in cui ha partecipato a eventi, rilasciato volentieri interviste e giocato amichevoli sia con il Barcellona che con la nazionale argentina.


Questo articolo è uscito originariamente su Catenaccio, la newsletter di Sportellate. Per ricevere Catenaccio gratuitamente o leggere i numeri arretrati, puoi cliccare qui

  • Genovese e sampdoriano dal 1992, nasce in ritardo per lo scudetto ma in tempo per la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Comincia a seguire il calcio nel 1998, puntuale per la retrocessione della propria squadra del cuore. Testardo, continua imperterrito a seguire il calcio e a frequentare Marassi su base settimanale. Oggi è interessato agli intrecci tra sport, cultura e società.

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