Che cosa vogliono gli ambientalisti dalla Serie A
Greenpeace ha accusato di sportwashing l’accordo tra la Serie A di calcio ed ENI.
Due cose non dovete toccare agli italiani: il campionato di calcio e Sanremo. ENI è arrivata prima all'Ariston e arriverà ora in Serie A.
Sono le due principali manifestazioni socioculturali dell’italianità, momenti in cui riaffiora con massimo ardore la più grande aspirazione dell’italiano medio: sentirsi esperto di qualcosa senza averne i gradi. La Serie A rende tutti allenatori e Sanremo trasforma in… In cosa trasforma Sanremo? Critici musicali? Discografici? Direttori creativi? Deejay? Insomma, in qualcosa che non sappiamo nemmeno noi ma che prevede il supporre di sapere di musica. Con una differenza: una dura tutto l’anno, con qualche picco nei vari derby e a inizio e fine stagione; l’altro dura 4 giorni, 4 giorni di inspiegabile e pura follia collettiva. Due cose non dovete toccare agli italiani, la Serie A e Sanremo, e che fa l’Ente Nazionale Idrocarburi? Gliele tocca entrambe. O gliele regala, a seconda dei punti di vista.
La strategia di marketing di ENI per entrare nelle case degli italiani presidiando le due manifestazioni culturali più importanti (con l’intento di vendere loro, come in ogni intenzione di marketing, i propri prodotti, ovvero gas e luce) è interessante e ambiziosa, ma ha attirato l’attenzione degli ambientalisti. Questi da anni accusano ENI di greenwashing, una modalità di comunicazione che sfrutta media ed eventi culturali per promuovere un’immagine distorta dell’azienda, più green di quanto non sia realmente.
Così, dopo che un anno fa Greenpeace aveva occupato pacificamente il “Green Carpet” di ENI all’Ariston, quest’anno gli attacchi degli ambientalisti sono arrivati soprattutto sui social. La stessa Greenpeace ha pubblicato una parodia dello spot sanremese del cane a sei zampe. Legambiente ha creato una lega per il Fantasanremo e pubblicato una serie di testi travisati delle canzoni delle edizioni passate e di quella appena conclusa. ZeroCO2, invece, ha scelto i meme.
Il giorno prima dell’esordio del Festival, per cavalcare l’onda di popolarità di quello che viene definito il Super Bowl italiano - o forse per prendere sul tempo gli ambientalisti, già impegnati in campagne contro Sanremo, e non dare loro il tempo di organizzarne una, contemporaneamente, anche contro la Serie A - ENI ha annunciato un accordo epocale. Dopo il Festival della Canzone Italiana, si è preso anche il giuoco del calcio, diventando title sponsor della competizione sportiva più seguita dagli italiani e interrompendo il sodalizio con TIM che durava dal 1999. La risposta di Greenpeace non si è fatta attendere.
L’annuncio è arrivato a 11 giorni da un momento importantissimo della lunga battaglia fra ENI e Greenpeace: la prima udienza del tribunale di Roma del 16 febbraio su quella che la stessa Greenpeace ha definito “La Giusta Causa”. L’ONG canadese, assieme a ReCommon e a 12 cittadini e cittadine italiani, ha citato in giudizio l’Ente Nazionale Idrocarburi - oltre al Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti, in quanto principali azionisti - con l’accusa di non rispettare gli accordi di Parigi sul clima e con l’intento di obbligarli a cambiare il proprio piano industriale.
L’udienza è considerata storica: si tratta della prima climate litigation italiana, la prima azione legale avviata nel nostro paese con lo scopo di imporre a governi o aziende il rispetto di determinati standard in materia di limitazione del riscaldamento globale. ENI ha presentato due relazioni tecniche redatte da due consulenti, che però Greenpeace ritiene inadatti al compito in quanto ex collaboratori di ENI e altre compagnie petrolifere ed esponenti di teorie che negano la crisi climatica. La sentenza arriverà, nella più ottimistica delle ipotesi, a fine anno.
Capire perché gli ambientalisti ce l’abbiano con ENI non è impresa impossibile, ma per comprendere le accuse di greenwashing e sportwashing in occasione di Sanremo e della Serie A occorre un po’ di contestualizzazione.
Cosa sono Plenitude ed Enilive?
Sono due i brand che ENI sta cercando di spingere con la propria strategia di sponsorizzazioni: Plenitude ed Enilive. Plenitude è la società di proprietà di ENI che distribuisce energia nelle case degli italiani, investendo sulle fonti rinnovabili, oltre ad avere in gestione i punti di ricarica per le auto elettriche. Il suo impegno nella ricerca di fonti di energia alternative è stato riconosciuto dall’ottenimento dello status giuridico di Società Benefit. Quest’ultimo consente di distinguersi dalle altre aziende per avere come scopo non il mero profitto ma la creazione di un beneficio comune e la generazione di un impatto positivo concreto sulla comunità in cui opera, sui propri stakeholders e sull’ambiente. Plenitude è stata lanciata lo scorso anno proprio a Sanremo.
Sempre a Sanremo, quest’anno ENI era presente con un altro nuovo brand: Enilive. Definito come “un nuovo concetto di sosta”, Enilive altro non è che un ripensamento della rete di stazioni di rifornimento di ENI, con tanti servizi fisici e digitali e concorsi a premi. Come Plenitude, prevede l’investimento in nuovi carburanti rinnovabili in alternativa a quelli fossili come benzina, gas e gasolio - il suo prodotto fiore all’occhiello è il nuovo biocarburante HVOlution - e l’aumento dei punti di ricarica elettrica. A differenza di Plenitude, però, che sulle fonti rinnovabili fonda interamente il proprio modello di business, i biocarburanti e l’elettrico sono solo una parte dell’offerta di Enilive. Oltre che sponsor di Sanremo 2024, dal 2025, Enilive sarà title sponsor della Serie A.
Dove sta il greenwashing in tutto questo?
A leggere i paragrafi precedenti, sembra che ENI si stia davvero muovendo a gonfie vele verso la transizione energetica. Da una parte, il suo impegno nella ricerca e nello sfruttamento di energie alternative è innegabile. Il problema è che, secondo Greenpeace, per ogni euro investito in Plenitude, ENI ne investe 15 (!) nell’estrazione di petrolio e gas. Inoltre, denuncia Greenpeace, la maggior parte degli investimenti di Plenitude sono diretti a fonti non rinnovabili, anche se meno inquinanti: secondo questa ulteriore stima, per ogni euro investito da ENI in fonti fossili, meno di €0.07 vengono investiti in energie rinnovabili.
Se vogliamo andare più ancora nel concreto, ENI è attivo nell’estrazione di petrolio in Africa, Messico, Medio Oriente, Kazakistan e Norvegia, mentre i suoi progetti di estrazione di gas liquido sono presenti anche in USA, Indonesia e Francia, oltre alle aree già citate. Fra queste merita una menzione il Mozambico, dove è in corso una crisi umanitaria anche a causa di compagnie come TotalEnergies.
A ciò si aggiunge una ricerca, citata dal Guardian, che attesta che fra il 1988 e il 2015 ENI sia stata fra le trenta aziende più inquinanti del mondo, responsabile, per l’esattezza, dello 0,59% delle emissioni di CO2 prodotte in quel lasso di tempo, quasi quanto Qatar e Bahrein messi insieme.
Nel mirino di Greenpeace è finito anche il recentissimo Piano Mattei, approvato dal parlamento alla fine di gennaio 2024. Denominato in onore del primo presidente dell’ENI, gli ambientalisti denunciano come sia ancora totalmente incentrato sull’estrazione di gas. Una scelta che va in direzione dello sfruttamento delle risorse naturali dell’Africa e che non lascia spazio alle rinnovabili, contribuendo non a rallentare, ma ad accelerare ulteriormente la crisi climatica.
Una scelta che, per Greenpeace, WWF, Kyoto Club e Legambiente si rivelerà anche poco lungimirante per il nostro paese, in quanto si stima che, entro il 2025, le energie rinnovabili saranno la prima fonte di elettricità al mondo, mentre noi continuiamo a cercare il gas in Africa.
Insomma, anche se il nuovo sponsor della Serie A spende svariati milioni in marketing per entrare nelle case degli italiani con una versione più green, sostenibile e al passo coi tempi, c’è chi fa notare che l’impegno del cane a sei zampe per la transizione energetica è solo parziale e ampiamente insufficiente. È difficile prevedere che risultato avrà prima climate litigation italiana, ma se dovesse vincere Greenpeace, la nostra tanto amata Serie A diventerebbe un caso particolarmente eclatante di un evento sportivo così importante il cui principale sponsor viene condannato da un tribunale per danni al pianeta proprio durante lo svolgimento del campionato. Il danno d’immagine - soprattutto all’estero dove questi temi sono ritenuti più importanti - per il calcio italiano sarebbe molto grave.
Eppure non c’è da stupirsi più di tanto se è vero che a noi italiani piace tanto copiare le mode degli altri, soprattutto quelle più esotiche. Così, forse invidiosi del successo dei paesi del Golfo o della Coppa d’Africa, eccoci qui anche noi, con ENI e la Serie A, la Serie A ed ENI, con la nostra versione di sportwashing all’italiana.
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