Juventus-Roma (1-0) - Considerazioni Sparse
Nel nulla di Torino, la Juve si dimostra superiore.
Già dalle premesse, Juventus-Roma si presenta come una partita pesante tecnicamente ed emotivamente: i 3-5-2 di Mourinho e Allegri, i due signori oscuri della difesa posizionale, sembrano fatti con lo stesso stampino e col solo, perverso desiderio ultra-razionalista di annullare ogni evento e rendere ogni partita il Portogallo-Messico dei Simpson. Juve e Roma si presentano alla partita dell'Allianz con premesse diverse: da una parte c'è una squadra che, anche con le sue criticità strutturali e con un gioco semi-apocalittico, sembra farsi forza a ogni punto che prende e una che, proprio per le sue criticità strutturali e il suo gioco semi-apocalittico, sembra dover mettere uno sforzo sempre più intenso nel conquistarne altri.
La partita, almeno nella sua fase iniziale, sembra esattamente quella che doveva essere: Roma e Juve costruiscono allo stesso modo, pressano allo stesso modo e difendono allo stesso modo. Non è un caso che le due occasioni più importanti - quella di Cristante a inizio tempo e quella di Kostic alla fine - nascano da situazioni di gioco piazzato, in cui le due squadre riescono a creare, anche solo localmente, una superiorità numerica. Per il resto i duelli sembrano tutti perfettamente alla pari: da una parte Vlahovic si rende più pericoloso con un paio di tiri contestati in area, dall'altra Lukaku riesce a costruire qualche situazione di potenziale pericolo per Dybala e Cristante. Anche sugli esterni, Kristensen e Kostic giocano un primo tempo che sembra un incontro di boxe, in cui a turno giocano a occupare gli spazi che si lasciano mentre Weah e Zalewski producono solo grandissima confusione, spingendo Gatti e McKennie da una parte e Ndicka e Bove dall'altra a prendere più iniziative. A sollevare il primo tempo dal torpore poi ci sono due giocate illuminanti; prima Yildiz che calcia fuori di poco dopo aver fatto svenire Llorente con una finta a-la-Dybala e poi Dybala stesso che sfiora il gol dell'ex con un esterno sinistro da estasi. Non è molto ma è un primo tempo onesto.
Che la catena sinistra juventina fosse quella da cui potevano nascere le occasioni migliori si era intuito già nel primo tempo e la situazione che porta al gol di Rabiot si genera proprio da un triangolo in quella zona: il francese, Vlahovic e Kostic sono bravi a combinare velocemente, invadendo lo spazio lasciato da Mancini e creando il primo, vero, tiro pulito della Juventus dentro l'area. Da quel momento, la partita diventa il sogno bagnato di Allegri: la Juventus non deve fare altro che accostarsi alla propria area, compattare il suo 5-3-2 e lasciare la Roma a cuocere nel suo brodo. La circolazione a U della Roma attorno all'area bianconera sembra proiettare i giocatori giallorossi in un multiverso in cui il tempo scorre a velocità doppia, tripla, quintupla e in un battito di ciglia dal 47' si arriva al 75', in cui un sinistro di Dybala – nettamente il più produttivo della Roma – forza Szczesny alla prima (e unica) parata. Col passare dei minuti la Roma diventa sempre più frenetica: Mourinho cerca i soliti cambi dell'apocalisse, riempiendo il campo di giocatori offensivi – Pellegrini, El Shaarawy e Azmoun per Bove, Paredes e Zalewski – che nei fatti creano solo caos, facendo il gioco della Juve e permettendole di avere l'occasione del 2-0, con un errore di McKennie – fino a quel momento autore di una partita solida – davanti alla porta e dal gol annullato a Chiesa. Il peak dell'allegrismo, insomma, non può che produrre Juventus-Roma 1-0.
Roma e Juventus da due anni sembrano guardarsi allo specchio: hanno la stessa identità, la stessa forma e gli stessi principi. Ogni scontro diretto tra Mourinho e Allegri sembra direzionato dalle forze oscure: qualche mese fa la Roma aveva vinto creando poco ma rischiando meno; questa volta la ruota ha scelto la Juve ma nei fatti, sembra ormai evidente che la Juve, ormai costruita specificamente per giocare così, abbia meno difficoltà a fare questo tipo di partite, non dovendo subire i tremendi compromessi tecnici che da anni segnano la Roma di Mourinho. La squadra di Allegri, ormai, sembra un esperimento di uno scienziato pazzo il cui unico obiettivo è capire quanto minimo deve essere lo sforzo necessario al risultato: 4 tiri in porta, 1.07 expected goals, perfettamente distribuiti tra il gol dell'1-0 e quello sbagliato da McKennie nel finale. Se questo approccio possa essere sufficiente a vincere uno scudetto non si può dire; certo è che alla Juve, pur non essendo bella da vedere e pur non sembrando mai in controllo, sembra fare un altro sport in questo senso.
Dall'altra parte, la Roma in possesso è un rebus insolvibile: Bove è l'unico giocatore in grado di muoversi adeguatamente negli spazi e pressare in modo proficuo; in questo specifico momento, il cane malato è imprescindibile per tenere equilibrata la Roma, ma la sua presenza costringe Mourinho a sacrificare sistematicamente uno dei pochi creativi in rosa, Lorenzo Pellegrini, rendendo una squadra già poco produttiva di suo ancora più sterile. Come a ogni partita negli ultimi 18 mesi, alla Roma sembra servire un 12° uomo per costruire occasioni non legate a doppio filo dalle accelerazioni tecniche di Dybala o Lukaku. Mourinho, al suo terzo anno da allenatore, non è riuscito – e verosimilmente non riuscirà – a rendere la Roma una squadra in grado di produrre occasioni e mantenere una fase difensiva vagamente solida al tempo stesso. Se questo non è un problema contro le squadre di caratura inferiore, naturalmente portate a soffrire la disparità tecnica, contro le squadre che la precedono in classifica – Milan, Inter, Juve, Fiorentina e Bologna – ha portato alla Roma un solo gol segnato e un solo punto. Per una squadra che ha investito così tanto nella sua guida tecnica – che peraltro da settimane chiede un rinnovo che non meriterebbe e che, senza decreto crescita, verosimilmente non avrà – e nella sua rosa, questo dato non lascia scampo.
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