Joshua Zirkzee l'anticristo
Un centravanti che sembra nato per sfidare la nostra tradizione.
«Come avete udito che deve venire l'anticristo.
Da questo conosciamo che è l'ultima ora»
– Prima lettera di Giovanni
Fin dalle prime volte in cui il nostro sguardo ha incrociato la sua silhouette, abbiamo capito che Joshua Zirkzee avrebbe compromesso i pilastri ideologici più saldi della tradizione calcistica italiana. Da dove arrivava, questo centravanti del Parma altissimo eppure così fragile, con i capelli crespi che ciondolavano quasi riflettendo la sua andatura in campo, chi si credeva di essere per giocare in modo così sfrontato? Per toccare la palla più volte con la suola che con l’interno del piede; per segnare così poco da mettere in dubbio la sua natura di “numero nove”, di essere umano che ha inscritto il gol nel proprio materiale genetico. Zirkzee era in Italia da poche settimane e aveva già sfidato la nostra cultura: senza fare gol, inondando il campo di estetica fine a se stessa.
Poche cose nell’Italia calcistica sono sacre: i terzini che si sacrificano, strenui difensori di una visione calvinista del gioco, il mediano che morde le caviglie avversarie, che gioca di scaltrezza per accaparrarsi ogni piccolo vantaggio, e il centravanti che fa gol.
Gianni Brera diceva che il risultato migliore per una partita di calcio è lo zero a zero e, anche se da allora è passato più di mezzo secolo, in fondo siamo ancora quel tipo di italiani. Viviamo il calcio come rappresentazione più riuscita dei nostri costumi. Per questo in fondo ci arrabbiamo con Jannik Sinner perché alle ATP Finals non ha fatto il "biscotto", accettando di perdere contro Holger Rune nel girone per eliminare Novak Djokovic: è stato poco furbo, si è fatto mangiare dalla foga del momento, non ha barato.
Come avevamo imparato a giugno, durante gli Europei Under-21, la cultura del sospetto non ha mai abbandonato il modo in cui parliamo di calcio in Italia. Allora era bastata l'ipotesi di un pareggio tra Svizzera e Francia per ritenerci già eliminati: i giornali avevano esordito in prima pagina con titoli che richiamavano il "biscotto". È con questi presupposti ideologici che ci immergiamo nello sport, deturpandone la rappresentazione come gesto nobile, introspettivo, per certi versi anche artistico.
Digeriamo con fatica la dimensione eterea dello sport, e raramente ci fermiamo a contemplare un bel dribbling o una scivolata voluttuosa. Il calcio è fatto di errori, pensiamo, e il compito dei ventidue giocatori in campo è commetterne il minor numero possibile, finendo in una morsa infinita di lamentele che tende all’onanismo: in ogni partita in fondo c’è una marcatura preventiva disattesa, un effetto non calcolato dal portiere, uno stop sbagliato nel cuore dell’area.
Non sorprende, quindi, che in quest’ottica Joshua Zirkzee venga trattato come l’anticristo.
Che cos'altro può rappresentare per il calcio italiano un centravanti che preferisce il passaggio al tiro in porta, l'assist sublime al gol di rapina?
L'anno scorso Zirkzee ha segnato solo 2 gol, un risultato insufficiente per ritenerlo un attaccante vero e credibile. Doveva ancora crescere, andare a lezione da un totem dell'area di rigore come Marko Arnautovic, impararne i segreti che soggiacciono lo spirito artigiano del centravanti. In alcune partite sembrava semplicemente svagato. L'andatura dinoccolata con cui Zirkzee si muove in campo a volte finisce per tradirlo: gli conferisce un'aria svagata da poeta maledetto, come se il calcio fosse per lui un passatempo che serve solo per distrarsi dalla noia. Ecco che una sponda di tacco sbagliata o eseguita fuori tempo appare una negligenza; un dribbling stoppato il gesto più iconoclasta riscontrabile nel calcio.
Bisogna fare i conti con la banalità di questa prospettiva, però. Non solo perché Zirkzee si sta impegnando a smentirla nei numeri – nella Serie A 2023/24 ha segnato 5 gol e fornito 2 assist, tanti quanti quelli di Vlahovic e Thuram, uno più di Immobile. Vedere giocare Joshua Zirkzee è un'esperienza preziosa per il nostro campionato. Alla base delle scelte che compie c'è solo l'istinto ed è bello così. Il modo in cui appoggia la suola sul pallone per farsela passare dietro la gamba sinistra e partire in conduzione, o tentare un tunnel come questo a Bonaventura in Fiorentina-Bologna, non ha paragoni.
Molti giocatori hanno la grazia di Zirkzee, qualcuno può dire di avere un rapporto persino più intimo con la palla e i suoi giri malefici: nessuno, però, può dire di avere un'immaginazione calcistica così fervida. Zirkzee non effettua mai giocate simili tra loro, i suoi tocchi nascono da un sistema di pensiero sofisticato, che varia in base alla porzione di campo da occupare, alla posizione dell'avversario, al momento della partita.
Partiamo dal primo rendez-vous con la Serie A, avvenuto in un soleggiato pomeriggio di inizio aprile a Bergamo. La partita si era già sbloccata grazie al bel tiro a giro di Sansone, che al 49esimo aveva stoccato un sinistro dal cuore dell'area imparabile per Musso. Per inasprire il controllo tecnico, Thiago Motta sostituisce l'autore del gol – che giocava falso nueve – per inserire Zirkzee. Eravamo quasi a fine stagione, ma Zirkzee non aveva rispettato le promesse del suo talento. Un gol in Serie A, segnato a ottobre al Napoli, e una lunga serie di infortuni muscolari rispecchiavano una stagione infelice. «L'allenatore ha dovuto tirarmi le orecchie» ha detto qualche settimana fa al Corriere dello Sport. «L'anno scorso è stata dura mentalmente». L'altro gol Zirkzee lo trova nell'ultima giornata di campionato, contro il Lecce, ma è quel subentro al Gewiss Stadium la sua firma d'autore.
Le prime pennellate in cui abbiamo riconosciuto la sua singolarità.
Il momento è l'86esimo. Il Bologna si sta riassestando appena dopo aver recuperato la palla e Lucumí tenta un passaggio verticale per Nico Dominguez che taglia due linee di pressione dell'Atalanta. Il centrocampista argentino si appoggia con l'esterno a Zirkzee, rientrante dal fuorigioco e all'apparenza disattento, come se l'azione lo annoiasse. Pochi minuti prima aveva calciato un piatto fiacco dal dischetto del rigore, facendosi parare da Musso il tiro dello 0-2.
Succede però che a Zirkzee le cose impossibili riescono meglio, forse perché non ci pensa troppo, o forse perché le vede prima. Allora si curva sulla palla e mentre quella deve ancora appoggiarsi al suo piede emette un suono secco: è una sventagliata di trenta metri, eseguita senza controllo, che sarebbe potuta finire in curva. Atterra invece sul piede di Orsolini, che si ritrova senza sapere bene come o perché nell'uno contro uno con Palomino: gli basta sterzare e calciare a occhi chiusi sul secondo palo per fare gol.
Alla fine di ottobre un'altra giocata geniale, a Reggio Emilia contro il Sassuolo. Beukema non vede linee di passaggio pulite davanti a sé e decide di spazzare lungo: il pallone supera la difesa avversaria e si incrocia con l'attacco alla profondità di Zirkzee. Quello di Beukema è un passaggio poco preciso, che perde velocità appena si scontra con l'aria e cade appena dietro il piede destro dell'olandese. Costretto a deviare la sua corsa in diagonale spedito verso la porta di Consigli, Zirkzee catapulta nella realtà l'idea platonica di aggancio con il tacco. È un movimento di gambe così spontaneo da risultare alienante, dispersivo: come fa un centravanti alto un metro e novanta a essere così fluido? Il resto dell'azione che conduce al gol, ovvero un dribbling secco al portiere in uscita che ricorda i primi gol di Ronaldo in Italia, sembra persino facile.
È la quintessenza di Zirkzee, dopotutto: perdersi di fronte alla semplicità, eppure riuscire a ergersi nell'impossibile.
Il gol non è passato sotto traccia. In un articolo di The Athletic sulle sorprese in questi primi due mesi e mezzo, James Horncastle ha definito quelli di Zirkzee «tocchi al velcro». Il gol al Sassuolo, scrive sempre Horncastle, che possiamo annoverare tra gli epigoni della setta ristretta degli adoratori di Zirkzee, «ha evidenziato un puro fascino estetico che pochi attaccanti possono eguagliare». Si tratta di una verità che aveva mostrato già nel prestito all'Anderlecht, dopo la difficile parentesi di sei mesi a Parma: nella stagione 2021/22 ha segnato 18 gol in 47 partite. Nel campionato belga è cresciuto nel rapporto con il gol. Spesso segnava sbucciando il pallone nel cuore dell'area piccola, con la conoscenza della porta ricondotta ai numeri nove puri.
Le statistiche di Zirkzee sottoporta stanno migliorando di pari passo con la sua serenità in campo. La tendenza a non calciare da posizioni favorevoli per tentare un assist più bello o a fare tiri svagati – quelli in cui accompagna la palla sul fondo con convinzione pressoché nulla nei suoi mezzi – gli costano l'antipatia degli allenatori. Al Bayern dopo un errore in amichevole estiva, Julian Nagelsmann lo aveva criticato in conferenza stampa. Anche con Thiago Motta le cose all'inizio non sono andate bene. Quest'anno l'allenatore italiano si è scusato più volte per gli errori di Zirkzee in fase di finalizzazione, pur non rinunciando mai al suo talento come riferimento offensivo.
Da allenatore Thiago Motta patisce il confronto con i centravanti. A La Spezia si era scontrato dal punto di vista morale con M'bala Nzola, escludendolo dagli allenamenti e finendo con il sostituirlo nella partita contro l'Inter perché non riusciva a togliersi l'orecchino; a Bologna il suo arrivo al posto di Sinisa Mihajlovic è coinciso con il progressivo ridimensionamento dell'impiego di Marko Arnautovic, ceduto in estate all'Inter. «Il nostro rapporto è migliorato» ha detto Zirkzee sull'intesa con Thiago Motta. «Non parliamo molto ma sul calcio ci capiamo».
Spostandosi con libertà su tutto il fronte d'attacco, Joshua Zirkzee interpreta bene il gioco posizionale di Motta. Il Bologna verticalizza solo quando trova il timing giusto, e la propensione di Zirkzee ad abbassarsi fino a centrocampo per palleggiare è essenziale. Zirkzee completa 1.45 passaggi chiave – cioè quei passaggi che precedono il tiro di un compagno – a partita. Soprattutto, quando svuota l'area sembra sincronizzarsi con un clock interno agli inserimenti alle sue spalle di Lewis Ferguson, l'arma tattica del Bologna che Thiago Motta sta lavorando come trequartista centrale del 4-2-3-1.
Nel gol dello scozzese contro la Lazio si è visto bene. Il secondo tempo è iniziato da venti secondi e la palla arriva a Zirkzee sui venticinque metri, nel vuoto cosmico lasciato dalla Lazio dopo un errore nella prima pressione. Ogni attaccante penserebbe a calciare la cosiddetta "pezza", un tiro secco e potente a piegare le mani del portiere avversario. Zirkzee sbaglia il controllo ed è costretto a ripensarci. Qual è la causa e quale l'effetto? La finta con cui Zirkzee sbilancia Romagnoli e Patric, che coprono la porta più che la profondità sfruttata da Ferguson, è causata dallo stop sbagliato o lo stop sbagliato è solo l'effetto della sua mancanza di cattiveria?
Raramente gli attaccanti sono così altruisti ma la sensazione che ho è che Zirkzee sia fatto così. Che lo stile che emana su un campo da calcio – cristallizzato nei calzettoni abbassati, nel moto ondivago con cui cammina, la sensualità nel suo rapporto con il pallone – in realtà abbia una radice profondamente identitaria. Quando parla di temi che non riguardano lo sport, Zirkzee dà voce un esistenzialismo indefinito. «La mia vita è noiosa» dice ancora al Corriere dello Sport. «In campo sono un giocatore creativo, ma fuori: vado a casa, esco col cane, gioco alla Play, mangio, dormo». Ammette che senza calcio la sua vita sarebbe finita male, che a Rotterdam aveva amicizie sbagliate.
È per questo che giocatori come Zirkzee vanno difesi dalla piattezza dell'ecosistema del calcio contemporaneo. Andiamo in una direzione uber-atletica, dove si gioca innanzitutto col fisico. Il calcio di Zirkzee invece spunta dalla testa, i suoi piedi eseguono impulsi poetici latenti. Riceve spalle alla porta e gioca di prima. Viene servito in profondità e controlla il pallone sfidando il marcatore nell'1vs1; l'esterno crossa in mezzo e lui taglia il primo palo. Ma non sono movimenti codificati, mai, perché Joshua Zirkzee è uno degli ultimi artisti della spontaneità.
Altre cose eccezionali fatte da Zirkzee a Bologna e non menzionate finora:
- l'apertura che precede il gol di Orsolini contro il Monza;
- un bel gol di sinistro al Napoli dopo essersi staccato dalla marcatura di Rrahmani;
- il destro affilato nell'angolino con cui ha segnato all'Inter a San Siro;
- un altro assist per Ferguson, resistendo a un contrasto duro di Bremer.
Zirkzee è un centravanti nato per giocare a calcio in questo preciso momento della storia. Il contributo nel Bologna di questa stagione ha a che fare con la gestione del pallone: le sventagliate per Orsolini, le sponde in cui è un pianeta che attrae l'orbita di Ferguson. Eppure, come ha detto qualche giorno fa Luciano Spalletti a Sky Sport «tutti i calciatori sono bifasici».
Zirkzee non fa eccezione a questo ragionamento, anzi. Uno dei motivi che hanno indotto Thiago Motta a scommettere sull'olandese come punta titolare è anche la fase di non possesso. Zirkzee fa parte del 18% degli attaccanti che intercettano più palloni in Serie A – 0.31 ogni 90' – ed è anche grazie alla sua intelligenza se il Bologna può difendere così in alto nel campo visto che i rossoblù sono la quinta squadra del nostro campionato per PPDA. Ancora una volta decade il presupposto dell'indolenza di Zirkzee, come se giocasse con i pantaloncini e la maglietta ricoperti di raso, attento a danzare più che a correre. Invece sa essere un giocatore intenso, proattivo anche quando non ha la palla.
L'ottimismo con cui tenta giocate oggettivamente difficili è andato a scontrarsi con il pensiero "negativo" che ha posto le fondamenta del calcio italiano. Ancora oggi le opinioni su Zirkzee sono polarizzate. C'è chi non lo ritiene all'altezza, uno col genoma del 10 ma il corpo di un 9. Incanta solo la vista, mentre per altri è uno dei migliori centravanti del campionato. Entrambe le posizioni dovrebbero indurci a riflettere su quello che pretendiamo dallo spettacolo calcistico.
La bellezza o l'efficacia? La tradizione o il progresso? La burocrazia dei gol o l'artigianalità dei colpi d'esterno? Come i pensatori più fini, l'attività di Zirkzee – e scommetto la sua carriera futura – ci costringe a elevare il singolare nel generale. I dribbling in cui passa attraverso i corpi degli avversari smaterializzando l'imponenza del suo busto ha qualcosa di speciale. In qualche modo ricorda i primi passi da professionista di Zlatan Ibrahimovic, il profeta delle performance artistiche in campo.
Finora ha segnato 5 gol in campionato valorizzando al massimo i 3.5 Expected Goals generati. Continua a sciupare occasioni potenzialmente succulente, fermandosi sulla ricerca dell'assist improbabile o tentando una finta di troppo. «È una cosa su cui devo lavorare» ha detto Zirkzee, riferendosi alla bonarietà infantile con cui attacca certi palloni in area di rigore. Il suo esistenzialismo fuori dal campo sta iniziando a tradursi in una ferocia volta a renderlo un centravanti completo. Capace di stagliarsi per il gioco "bailado" e allo stesso tempo ereditare l'efficienza del razionalismo olandese. In fondo quell'intervista al Corriere si è conclusa con una morale crudele e adulta: «Credo di dover essere più egoista».
Se finora Joshua Zirkzee si è conquistato il proscenio con estetismi gioiosi, provate a immaginare una sua versione più spietata. Il campionato italiano sta solcando il terreno per la maturazione di uno degli attaccanti più originali del momento.
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