Il disastro della Primavera del Napoli
Una realtà completamente cancellata dalla presidenza De Laurentiis.
Negli anni ‘80, ai componenti del settore giovanile del Napoli era concessa l’opportunità di collaborare, in qualità di raccattapalle, durante le partite della prima squadra. Nel giorno del primo scudetto, il famoso 1-1 contro la Fiorentina di Roberto Baggio, venne ritagliato un momento di gloria non solo per Maradona e compagni, ma anche per i piccoli calciatori rintanati nel fossato di un assordante San Paolo prima dell’arrivo delle squadre.
Occhi sognanti di bambini innocenti che stavano per vivere una giornata destinata a rimanere scolpita della storia. Il telecronista li passa in rassegna ad uno ad uno: il primo a prendere parola è Giuseppe Trotta, al suo primo anno in azzurro, poi Salvatore Verde di Boscotrecase, poi Marco Petito, ex Italsider e via via tutti gli altri. Prenderanno parola poi Raffaele Ametrano (centrocampista che debutterà col Napoli e arriverà anche a far parte della gloriosa Juventus di Trapattoni), il centrale Gaetano De Rosa, che trascorrerà gran parte della sua carriera tra prima e seconda serie con Bari e Reggina, lo stopper Ciro Caruso il cui talento è andato perso a causa della rottura del menisco, poi di un legamento crociato e infine del ginocchio destro.
Tra loro però spicca un ragazzino di quattordici anni, dagli occhi chiari e dalla timidezza inusuale. Ha dato i primi calci nel campo dell’Ilva di Bagnoli, poi è entrato nel settore giovanile partenopeo e debutterà coi grandi nel marzo del ’93, al fianco dell’idolo d’infanzia Ciro Ferrara. Poi arriveranno il debutto in Coppa Uefa, il doloroso addio dovuto ai problemi finanziari della società, il trasferimento al Nord, la Juve, gli scudetti e, infine, il Pallone d’Oro. Fabio Cannavaro, tutt’oggi, rappresenta il più grande calciatore che un bacino pregno di talento come l’hinterland napoletano abbia mai partorito da quando si ha memoria.
Anche negli anni ’90 il settore giovanile del Napoli ha continuato a rappresentare un punto di riferimento per i talenti cittadini, tra le mille difficoltà economiche e le grinfie di club del centro-nord, avvantaggiati dal poter offrire una prospettiva di vita migliore sia ai giocatori che alle eventuali famiglie al seguito. È infatti nello storico Centro Paradiso di Soccavo che il regista Fabio Liverani, il portiere Ferdinando Coppola, lo stesso Paolo Cannavaro, il difensore avvocato Guglielmo Stendardo e l’attaccante Antonio Floro Flores hanno mosso i primi passi.
Di quel tempio pagano in cui i campioni del primo scudetto si divertivano a giocare nel fango, attorniati da giornalisti e tifosi, è rimasto solo un vecchio cancello arrugginito e una distesa di sterpaglie. L’unica cosa distintamente visibile resta un murales postumo che raffigura la piccola Dalma, primogenita dei Maradona, che infila dolcemente un fiore nel calzettone di papà Diego. La famiglia De Laurentiis, dal giorno dell’acquisizione del club ad oggi, non ha mai avanzato una proposta d’acquisto e riqualificazione dell’area, preferendo delocalizzare l’headquarter del club in provincia di Caserta.
Ci penserà lo scugnizzo Cannavaro a regalare una nuova vita alla struttura: l'ha acquistata un mese fa in presenza del sindaco Manfredi e di tutte le autorità comunali. L’intento del campione azzurro è quello di creare una academy calcistica di élite, dalla tecnologia ultramoderna ed eco-sostenibile. Quello che ci si augurava facesse il club della città, oramai ai vertici sia in Italia che in Europa, lo farà un privato cittadino.
La proclamata ma mai nata "scugnizzeria"
La posizione nei confronti del settore giovanile del patron Aurelio De Laurentiis, sin dai primi giorni di presidenza, sembrava quella di voler investire massicciamente sui talenti del territorio, seguendo il modello della Roma o della self sustainability dell’Atalanta. Passi in avanti però, negli ultimi vent’anni, non ne sono mai stati fatti.
La famosa “scugnizzeria”, progetto che strizzava l’occhio alla cantera del Barcellona, non solo non ha mai visto la luce, ma è stata anche oggetto di una clamorosa marcia indietro dello stesso ADL: “Sono per la svolta, ma nella vita ci sono delle priorità e ora sono altre, soprattutto dal punto di vista economico. Sul territorio ci sono delle infiltrazioni e i genitori dei ragazzi lo capiscono. Per me non è un problema di strutture: li abbiamo spostati da Castel Volturno per non dargli come esempio il calciatore con il macchinone. Ho provato a comprare altre strutture, ma non è stato possibile”
Le giovanili del Napoli, infatti, sembrano vere e proprie popolazioni nomadi. I più piccoli si allenano ai campi Kennedy nella zona Camaldoli, mentre la Primavera, che aveva come campo base lo stadio Ianniello di Frattamaggiore, è stata costretta a spostarsi al Piccoli di Cercola dopo il provvedimento di sfratto emanato dalla provincia. Insomma, la società non ha mai fatto mancare i segnali di un totale disinteresse verso quel che non è prima squadra e non garantisce introiti immediati.
Nessuno chiede al Napoli di raggiungere i livelli della City Academy del Manchester City o de La Masia, ma che la società azzurra possa rappresentare un punto di riferimento per i giovani napoletani e campani, impedendo l’esodo verso altre regioni. Il milione che la SSC Napoli investe per la crescita dei giovani calciatori è una cifra irrisoria che non dà speranze per il futuro. I risultati sportivi sono purtroppo sotto gli occhi di tutti. Il compito affidato a Gianluca Grava, ex difensore azzurro nominato responsabile tecnico del settore giovanile dopo il ritiro, si è rivelato più difficile del previsto. Gli azzurrini della Primavera nell’ultimo quinquennio hanno cambiato ben sette allenatori e sono retrocessi in tre occasioni. In Youth League hanno ottenuto solamente tre vittorie in ventotto partite disputate.
Talenti in fuga
Il club rifiuta dunque la visione che vede l’investire nei giovani, nelle infrastrutture e nel personale tecnico come una strategia che crea valore. È per questo che Lorenzo Insigne resta ancora l’unico prodotto del settore giovanile partenopeo a cui si sono concretamente aperte le porte della prima squadra durante il ventennio aureliano.
Purtroppo, scelte tecniche ed economiche portano verso un’altra strada. Il Napoli, così come tanti altri club italiani, ormai preferisce scandagliare il mercato piuttosto che guardare prima in casa propria. La mancanza di presenza sul territorio ha fatto sì che Fabiano Parisi, nato a Solofra, venisse intercettato dai radar degli abilissimi scout dell’Empoli; che le scuole calcio stabiesi producessero i tre fratelli Esposito e l’attuale portiere della nazionale italiana e del PSG Gianluigi Donnarumma senza che il club di punta di tutto il Sud Italia muovesse un dito; che per Luca D’Andrea, oro agli Europei Under 19 con la nazionale azzurra, il Napoli non potesse soddisfare le prospettive di crescita personale prima che calcistica.
Proprio in merito al talentino del Sassuolo, ora in prestito al Catanzaro, il suo scopritore Stefano Cirillo ha recentemente raccontato come gli azzurri abbiano provato a convincere il papà del ragazzo ad accettare il Napoli, ma non c’è stato verso: “In Campania c’è una fuga di talenti. Bisogna convincere la società a fare di più oppure i ragazzi continueranno a sfuggire di mano. I responsabili del settore giovanile fanno tanto ma non hanno la forza economica per bloccare i calciatori”
La più eclatante è però la storia di Giuseppe Ambrosino, attaccante di proprietà del Napoli, ora in prestito in B al Catanzaro e fresco di debutto con la Nazionale Under 21. Nativo di Procida, Ambrosino ha passato anni a fare la spola tra l'isola e Napoli per allenarsi, spendendo quasi tutta la sua adolescenza sui traghetti. Inoltre, nello staff di Mazzarri è stato inserito anche Grava, che verosimilmente lascerà il settore giovanile privo di una figura di riferimento.
Intanto in prima squadra faticano a trovare spazio coloro che per questioni di liste non hanno trovato sistemazione altrove. Alessandro Zanoli, che fino ad oggi ha giocato solo trenta minuti e ha la sfortuna di doversi giocare una maglia con Di Lorenzo, il cui posto è praticamente intoccabile, mentre Zerbin, le cui qualità comunque non scaldano i cuori di esperti e tifosi, calpesta le stesse zone di campo di Khvicha Kvaratskhelia. Resta nelle retrovie Gianluca Gaetano, l'uomo social del Napoli che però vede il campo col lanternino. Classe 2000, nativo di Cimitile e tifosissimo azzurro, è un centrocampista offensivo che unisce corsa e tecnica a un ottimo senso del goal. Se ne innamorò Carlo Ancelotti dopo le 17 reti segnate tra campionato e Youth League con l’Under 19, al punto da regalargli il debutto sia in Serie A che in Champions League. I tre anni di formazione a Cremona (con cui ha ottenuto la promozione in massima serie) gli sono valsi la permanenza in rosa la scorsa stagione, contribuendo alla cavalcata trionfale verso lo scudetto con il bel goal segnato all’Inter.
Quella di quest’anno sarebbe (dovuta essere) la stagione della definitiva consacrazione; invece, lo score segna neanche mezz’ora di gioco trascorsa in campo e una rete, segnata nell’illusoria goleada di Lecce. La fiamma di chi potrebbe spezzare la maledizione del nemo profeta in patria, che non ha lasciato scampo neanche a chi ha rappresentato il Napoli per un lungo decennio, è piano piano sempre più fioca. Mi vengono dunque in mente le celebri parole di Eduardo De Filippo. Ad alcuni giovani attori che chiedevano lumi sul proprio futuro il regista e drammaturgo rispose, con un filo di malinconia: “fuitevenne ‘a Napule”.
Che sia questo, dunque, il destino che spetta a chi, avendone le capacità, voglia inseguire concretamente il sogno di diventare calciatore? Un pensiero triste, che fa ritornare in mente lo sguardo del piccolo Cannavaro il giorno del primo scudetto, e a quello che quel ragazzino di Fuorigrotta avrebbe rappresentato per Napoli, per l’Italia e per l’intero mondo del calcio negli anni a venire.
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