, 21 Novembre 2023
14 minuti

Che fine ha fatto Jesper Lindstrom?


Abbiamo raccolto tutte le comparsate del danese.

È il 29 agosto, l'estate volge al termine, e anche il calciomercato sta facendo registrare i suoi ultimissimi colpi, buoni per completare le squadre o mettere una pezza frettolosa alle crepe emerse nelle prime giornate di Serie A. Jesper Lindstrøm è felice, come tiene a far vedere dal suo profilo su Instagram, e come dargli torto: le sue vacanze romane stanno assumendo dei contorni ancora più idilliaci di quelle di Audrey Hepburn e Gregory Peck, illuminato com'è dal sole rovente della città eterna.

Accompagnato dalla sua fidanzata fin nella sede della Filmauro, lo vediamo sorridere a 32 denti di una gioia sincera: il viaggio del danese, iniziato dalla natia Hoje-Taastrup, 21 km da Copenaghen, dopo le fermate Brøndby ed Eintracht Francoforte, fa tappa al Napoli campione d'Italia in carica. Una squadra ambiziosa, sia in Italia che in Europa a detta del presidente Aurelio De Laurentiis, capace di un calcio moderno che ha raccolto estimatori in tutto il continente. Insomma, l'avvenire è radioso per Lindstrøm, che vede materializzarsi il suo impegno e i suoi sacrifici, e poco importa che sia arrivato solo a fine agosto, dopo il no incassato dall'Atalanta per Koopmeiners e la fine della patetica telenovela andata in scena con Gabri Veiga.

Il talento peculiare e per certi aspetti unico di Lindstrøm, una presenza fissa nelle convocazioni della nazionale danese – la proposta più moderna e innovativa del panorama europeo – rappresenta comunque un'alternativa eccitante da pescare nel mazzo per una squadra come il Napoli, specialmente quando c'è bisogno di essere più verticali: Lindstrøm ha le qualità per esaltarsi in transizione, pressare altissimo allo scopo di capovolgere immediatamente il fronte - come richiede ai giocatori come lui la scuola tedesca, che ha marchiato su Lindstrom il suo imprinting - e creare connessioni in campo aperto con Kvaratskhelia e Osimhen più di quanto non facesse il suo predecessore Lozano, tornato al PSV con pochi rimpianti da parte dei tifosi.

Solo la locandina di Natale in Egitto, cinepanettone di vent'anni fa, con l'immagine per certi versi grottesca di Christian De Sica nei panni di un antico faraone egizio presente sullo sfondo lascia presagire i contorni della farsa che si prospetta all'orizzonte.

Jesper Lindstrom posa davanti a Christian De Sica

È il 21 novembre e l'estate ci ha effettivamente voltato le spalle - pur se non molto tempo fa - e il campionato del Napoli è arrivato alla sua dodicesima giornata. Sono, in fondo, passati solo due mesi e mezzo: quanto possono essere lunghi due mesi e mezzo? Tanto? Poco? Per il Napoli, un tempo necessario per accumulare un ritardo di 10 punti dalla vetta, che l'anno scorso di questi tempi teneva ben salda tra le mani. Troppo tempo che Garcia ha sfruttato male per rilanciarsi nel calcio che conta, secondo i tifosi; ma troppo poco per prendersela con i calciatori, fautori della notte più euforica delle loro vite.

Per Jesper Lindstrøm sono durati esattamente 170 minuti. Per intenderci, circa mezz'ora in meno dell'ultima fatica cinematografica di Martin Scorsese. Tale infatti è il minutaggio, tra campionato e Champions, concesso da Garcia al fantasista danese, spalmato in 9 partite: una media inferiore ai 20 minuti per gara, che ne fa un oggetto misterioso.

Un minutaggio misero che, a raccontarlo integralmente, restituisce come Lindstrøm si sia perso e non sappia tornare: ma, ancor di più, racconta di quanto Garcia, con la sua gestione paradossale e dai toni quasi farseschi del giocatore, è sembrato il primo ad averci capito ben poco del calciatore a sua disposizione, lanciando l'ex Eintracht nella mischia per brevi scampoli di partita, spesso a buoi ormai scappati. Non come scelta studiata, alla luce della lettura della gara, cercando di esaltare le caratteristiche di acceleratore della manovra - che sia col dribbling o con giocate di prima poco importa - del danese, quanto come mossa della disperazione di chi, in preda al panico, non sa più cosa fare, sperando di trovare il deus ex machina in grado di togliere di volta in volta le castagne dal fuoco.

vs Lazio, 15 minuti

Un andazzo che, a posteriori, è stato chiaro sin dalla prima apparizione di Lindstrøm, anche se nessuno poteva saperlo: sono passati solo quattro giorni dal suo arrivo al Napoli e al Maradona è in programma il primo big match del campionato, contro la Lazio del grande ex Sarri.

La storia del match è nota: la Lazio maramaldeggia sulle crepe degli azzurri, incapaci nel secondo tempo di mantenere distanze adeguate in mezzo al campo, nei cui spazi Luis Alberto, Kamada e Guendouzi fanno il bello e il cattivo tempo. In questo contesto inizia l'avventura di Lindstrøm con gli azzurri: contro una squadra, la Lazio, che ostruisce le linee centrali forzando il Napoli ad andare sulle fasce, Garcia cambia gli esterni titolari per inserire Raspadori e Lindstrøm. Due calciatori che, per caratteristiche, hanno una tendenza forte a venire in mezzo al campo per associarsi con i compagni.

Nonostante questa prima incomprensione nella scelta di Lindstrøm - un trequartista estremamente verticale preso per sostituire Lozano, che invece partiva molto largo, quasi calpestando la linea di destra, per aprire il campo e lasciare spazio alle incursioni nel corridoio interno di Anguissa e Di Lorenzo - il danese ha subito la possibilità di incidere: siamo al 95' sul risultato di 1-2 per la Lazio, il corner di Raspadori viene prolungato dal colpo di testa di Rrahmani verso il secondo palo.

Juan Jesus, in qualche modo, riesce ad addomesticare il pallone ma nel farlo si trova spalle alla porta: diventa per lui impossibile battere a rete, ma può farlo l'accorrente Lindstrøm, al quale il centrale brasiliano lascia il pallone. Il danese, però, ci arriva ancora in corsa, col corpo sbilanciato all'indietro, e il suo destro finisce in Curva A: prima sconfitta stagionale, Jesper si copre il volto con la maglia in segno di disperazione, ma ci sarà tempo e modo per rimediare. Forse.

vs Udinese, 27 minuti

Il tempo del riscatto, per Lindstrøm, arriva dopo essersi fatto attendere con pazienza e speranza, col timore fondato che non arrivasse più. Dopo la gara con la Lazio, infatti, ci sono state le sfide al Genoa e al Bologna in campionato e la trasferta contro lo Sporting Braga in Champions League, tutte viste rigorosamente dalla panchina. Quando Kvaratskhelia prima e Osimhen poi hanno da ridire sulla gestione dei cambi di Garcia, lui è lì, avvolto nella sua tuta di rappresentanza, a osservare la scena e a farsi diverse domande, tra le quali la più misteriosa è sicuramente: «Cos'ha Zerbin che io non ho?».

Qui invece lo vediamo solo di spalle: sarebbe stato troppo vedere lo sconforto nei suoi occhi, di quando ti soffiano dalle mani qualcosa che hai tanto atteso proprio all'ultimo momento.

Braga sembra la volta buona: il Napoli è, come troppo spesso in questa prima parte di stagione, in difficoltà e non riesce a chiudere la gara contro un Braga, con tutto il rispetto possibile, abbastanza modesto. Sul risultato di 1-1 sembra arrivato il momento di Lindstrøm quando, al termine di un'azione provata in allenamento (non ascoltate i maligni che parlano di deviazione fortunosa), Niakaté trova la deviazione nella sua porta che riporta in vantaggio il Napoli. Pochi secondi dopo il gol Garcia va quasi a prendere di forza Lindstrøm, già pronto per entrare, e a riportarlo di peso in panchina: al posto di Zieliński entra Natan, per difendere il prezioso risultato.

Nulla da fare: meglio difendere in cinque, schiacciarsi ancor di più nella propria area, offrendo il fianco al Braga, che va ad una traversa da un nuovo, clamoroso pareggio. Un colpo di fortuna, verrebbe da pensare, ma non ditelo a Garcia, che disprezza la fortuna: eppure, dovrebbe conoscere il pensiero di un suo famoso connazionale, secondo il quale è preferibile avere un generale fortunato che un generale morto.

Si va al 27 settembre dunque, al Maradona c'è Napoli-Udinese, e al 63' minuto Lindstrøm torna in campo: lo fa col Napoli in vantaggio per 2-0, grazie ai gol di Zieliński su rigore e del solito, chiacchieratissimo (sono passati tre giorni da Bologna-Napoli e in mezzo c'è stato un avvincente telenovela che chiameremo tiktok-gate) Osimhen, prendendo ancora una volta il posto di Politano sull'out di destra. Dopo poco più di un minuto dall'ingresso in campo Lindstrøm raccoglie palla sull'out di destra dopo una rimessa laterale, con una finta di corpo brucia sullo scatto Kristensen, dando prova delle sue qualità di dribbling e di accelerazione, con il connazionale bianconero che riesce a fermarlo trattenendolo appena. Un intervento al limite, che l'arbitro giudica regolare.

È il primo dei 27 palloni toccati, di certo il più esaltante: la partita di Lindstrøm scivolerà via tranquilla, come quella del Napoli, che chiuderà poi la pratica sul 4-1.

vs Lecce, 58 minuti

Quella contro l'Udinese è quarta partita giocata in 13 giorni dal Napoli; un tour de force normale per le squadre abituate a competere anche a livello continentale, e i cui tifosi hanno iniziato a familiarizzare col concetto di turnover: rose ampie, tanti ricambi a disposizione, minuti da dividersi in maniera equa, ma anche logica, per non rischiare di finire troppo presto la benzina. La sfida col Lecce, in programma tre giorni dopo quella con l'Udinese, capita nel momento giusto per Lindstrøm - ovvero appena prima della settimana in cui gli azzurri ospiteranno Real Madrid e Fiorentina - che quindi viene schierato addirittura nel tridente titolare, insieme a Kvaratskhelia e Simeone.

Il Napoli, come poche volte questo inizio di stagione, si dimostra vivace e brillante, vincendo per 0-4, con poche note fuori dal coro. Anzi, una sola: Lindstrøm appunto. Il quale, forse non favorito dal contesto di gioco che non prevede mai una transizione in campo aperto, forse per la smania di dover dimostrare qualcosa all'allenatore che lo ha tanto tenuto in disparte, cerca con troppa insistenza l'uno contro uno, finendo per associarsi poco e male con i compagni. La sua partita finisce dopo meno di un'ora di gioco, lasciando il posto a Politano dopo la miseria di 36 palloni toccati e un solo tiro pericoloso al 12', peraltro in posizione di fuorigioco. Una prova mediocre, ma che lascia speranze: le qualità ci sono, deve solo giocare.

Un ottimismo condiviso dallo stesso Lindstrøm, che su Instagram celebra la vittoria alla prima da titolare. Nei commenti i compagni lo incoraggiano.

vs Fiorentina, 14 minuti

Ovvero, quando la tragedia ebbe inizio: dopo le due roboanti vittorie con Udinese e Lecce e la sconfitta - per alcuni versi severa, di certo sfortunata per le modalità con cui è maturata - contro il Real Madrid in Champions (alla quale Lindstrøm arriva la Fiorentina, primo vero big match di campionato dopo la sfida alla Lazio, ed effettivo banco di prova per testare la salute del Napoli.
La gara, come è noto, si risolve in una disfatta per gli azzurri, ma soprattutto è quella in cui esplode in tutta la sua gravità la confusione di Garcia: emblematiche, in questo senso, le scelte di schierare Raspadori nel ruolo ibrido di mezzala/sottopunta nel tentativo (vano) di schermare Arthur, sconfessandosi poi a inizio secondo tempo, mettendo in campo Cajuste per Politano (il più in forma dei suoi); senza considerare le scelte francamente incomprensibili di Simeone al posto di Osimhen (perché non entrambi?) e di Gaetano per Lobotka, indebolendo ulteriormente il centrocampo.

E Lindstrøm? La sua partita inizia al 76', quando entra al posto di Zieliński, buttato alla rinfusa senza una vera idea di come sfruttarlo: preso come erede di Lozano sulla destra, viene schierato largo a sinistra, costringendo Kvaratskhelia all'insolita posizione di ala destra. Quattordici minuti, sette tocchi totali al pallone, tre passaggi (di cui due riusciti) e due palle perse più tardi, il Napoli lascia il campo sconfitto e superato in classifica dai viola, e Lindstrøm lo fa sempre più confuso e amareggiato.

vs Hellas, Salernitana, Union Berlino A/R; 13+13+9+3 minuti

La sfida con la Fiorentina sancisce l'inizio di un ottobre nero per Lindstrøm, che lentamente viene messo sempre più ai margini da Garcia che, forse perché ancora confuso tatticamente sul ruolo del calciatore, forse scottato dalle critiche arrivate nella lettura delle gare e quindi della gestione dei cambi, chissà se anche per la frustrazione di non aver trovato nel danese la giocata salva-risultato, fatto sta che Garcia taglia la testa al toro, decidendo di affidarsi a un ristretto numero di titolarissimi di mazzarriana memoria (coincidenze?) e limitando al minimo necessario i subentri a gara in corso. A pagarne le spese, più di tutti, è proprio Lindstrøm, il cui racconto delle sue partite in azzurro sembra quello di un primavera che si affaccia le prime volte alle soglie della prima squadra.
Col Verona entra al 77', per prendersi di riflesso gli applausi riservati a Kvaratskhelia, che gli cede il posto dopo la doppietta che sta decidendo la gara: all'89' raccoglie sulla trequarti una sponda aerea di Simeone, è da solo e può puntare la difesa avversaria ma non scatta, preferendo premiare il taglio di Zerbin alle spalle di Dawidowicz, che però calcia centrale su Montipò.

Con la Salernitana va anche peggio: i minuti sono gli stessi, ma il suo ingresso, al posto di Politano, è francamente indifferente per le sorti del match, visibile solo come scarico centrale che Elmas giustamente ignora in occasione del gol dello 0-2. I numeri, per il resto, sono impietosi: si riducono a soli 7 passaggi effettuati (con una precisione del 100% però) e 11 miseri palloni toccati. A Jesper non resta che mescolarsi, invisibile, nella folla, limitandosi alla soddisfazione per i tre punti raccolti dalla squadra.

Quasi mezz'ora totale, tra Verona e Salerno, che sa quasi di contentino dovuto, perlomeno, ai 25 milioni versati all'Eintracht: in mezzo c'è il match visto integralmente dalla panchina contro il Milan; partita nella quale Garcia non cerca un deus ex machina che gli regali la vittoria, in compenso però interpreta correttamente il volo degli uccelli e inserisce Zanoli - un difensore - al posto di Politano, in vista della futura espulsione di Natan.
Pochi minuti in campionato però, seguendo le logiche del turnover, vogliono dire tanto spazio in Champions League: una competizione dove il danese è stato sì costantemente ignorato da Garcia nelle prime battute, ma che adesso pone davanti l'Union Berlino, un avversario e un contesto tattico che Lindstrøm conosce come le sue tasche, e in cui può certamente tornare utile.

Dopo il pari interno contro l'Union Berlino, Lindstrøm scrive sui social che tutto è possibile. Anche ritrovare la retta via, forse: Jesper, comunque, ci crede.

Probabilmente sì, se solo giocasse: in entrambe le gare Garcia fa giocare lo stesso undici di partenza visto a Verona, Salerno e contro il Milan, nonostante alla fine del ciclo più di un giocatore avesse acceso la spia della riserva. Un peccato mortale, visto che il suo Napoli ha rinunciato alle lunghe e pazienti fasi di palleggio che caratterizzavano il gioco di Spalletti, puntando a rapidissime e frenetiche transizioni offensive con cui pungere gli avversari. Un gioco che richiede tanta freschezza fisica, in cui la gestione di tutta la rosa diventa fondamentale, in teoria: la pratica, invece, ci parla di 12 minuti in due gare per Lindstrøm, di cui 3 nella gara di ritorno, quando sull'1-1 Garcia prova acriticamente a schierare tutti gli attaccanti a sua disposizione, semplicemente sperando che accada qualcosa di buono.

vs Empoli, 18 minuti

Si arriva quindi alla sfida con l'Empoli: il Napoli ha disperatamente bisogno di vincere, sia in vista del ciclo che lo vedrà affrontare - dopo la sosta - Atalanta, Inter e Juventus in campionato con l'intermezzo al Bernabeu, sia perché la vittoria casalinga manca dalla sfida con l'Udinese del 27 settembre. Nel post della sfida mestamente pareggiata con l'Union Berlino si sono sollevate feroci polemiche sulla mancanza del turnover, che demotiverebbe gli altri costantemente utilizzati come rincalzi: proprio per dare alla piazza ciò che vuole, Garcia cambia schieramento, varando il 4-2-3-1.

Sembra una mossa fatta apposta per trovare la casella giusta per schierare un trequartista di ruolo ma, come in tutte le altre 9 partite da inizio stagione, Lindstrøm è nella sua posizione, fluida, alla destra - ma con licenza di spostarsi a sinistra, per non dare punti di riferimento - di Garcia, comodamente seduto in panchina, visto che in campo al posto di Zieliński e Kvaratskhelia ci vanno Elmas e Simeone, arretrando Raspadori, uno tra quelli più in affanno atleticamente, nella posizione di trequartista.
Nonostante Garcia ci metta poco (circa 10' dopo l'inizio del secondo tempo) per tornare sui suoi passi, abiurando di fatto il modulo col trequartista, bisogna attendere il 72° per rivedere la maglia azzurra numero 29 sul campo. L'ingresso, a gara in corso di una partita in cui il Napoli non riesce in nessun modo ad avere il pallino del gioco, col possesso che è principalmente di fattura empolese, è piuttosto positivo per il danese, che si cala bene nel contesto.

Lindstrøm assume una posizione ibrida, che gli permette di sfruttare appieno la sua grande intelligenza nei movimenti senza palla, in modo tale da offrire uno scarico comodo ai compagni. Al 74' Lobotka è in possesso palla sulla trequarti quando parte in conduzione verso sinistra, scaricando a Kvaratskhelia. Mentre la difesa dell'Empoli si abbassa come un blocco unico, pronta ad assorbire l'inserimento dell'esterno georgiano, che nel frattempo prende tempo col suo consueto repertorio di finte, Lindstrøm, controintuitivamente, si stacca, posizionandosi da solo nei pressi della lunetta dell'area di rigore empolese: il movimento non sfugge al numero 77 azzurro, che gli serve il pallone per la conclusione, non troppo angolata ma potente e complicata dal gran traffico in area ad ostruire la visuale del portiere, che Berisha riesce a neutralizzare.

È il primo, vero squillo di tromba del danese, e uno dei tentativi migliori prodotti dal Napoli: nel post-partita, Berisha eleggerà questa su Lindstrøm la parata più difficile di tutto il match.

Un quarto d'ora dopo il Napoli batte un calcio di punizione sulla trequarti, molto defilato sulla fascia destra: Zieliński scodella in mezzo un pallone che viene ribattuto dalla difesa. Sul pallone però si avventa Lindstrøm, che non ci pensa su due volte e calcia al volo di destro: il tiro è sbilenco, ma si trasforma in un assist per Kvaratskhelia, il cui tiro però è disinnescato da un Berisha ancora una volta provvidenziale.

Quella contro l'Empoli sarà a lungo ricordata come una delle peggiori disfatte della storia recente del Napoli: una sconfitta epocale, arrivata alla dodicesima giornata di un campionato che vede già quasi del tutto scucito lo scudetto dalle maglie degli azzurri. Non solo: Napoli-Empoli sarà ricordata come la partita in cui il Napoli, rigettato per incompatibilità il tecnico Garcia, mai troppo amato da nessuno e che non ha fatto nemmeno tantissimo per capovolgere il pregiudizio che lo accompagnava, si è avvolto nella coperta di Linus Mazzarri, rinnegando nei fatti un progetto tecnico preciso della durata decennale che aveva portato il Napoli a essere, nel bene e nel male, una squadra dall'identità forte e riconoscibile che cerca di imporsi con un calcio organizzato, giocando palla a terra, asfissiando gli avversari col pressing alto e risalendo il campo attraverso combinazioni veloci in spazi stretti.

In un certo senso, Napoli-Empoli è stata anche la partita di Lindstrøm, in un certo senso: la partita che più di ogni altra, in questi 170 brevi minuti, ci ha permesso di scorgere il talento del danese, di immaginare cosa possa dare al Napoli in primis e di conseguenza a tutta la Serie A. Lindstrøm si è perso, nel marasma che ha coinvolto il Napoli, ma ha lanciato proprio contro l'Empoli dei timidi segnali di S.O.S., dei messaggi in bottiglia che Mazzarri, livornese di San Vincenzo e quindi uomo di mare, è ora chiamato a leggere e ad ascoltare. Un uomo di mare, ma anche di transizioni frenetiche e veementi, come ricordano a Napoli in un ballo di tanti anni fa, per citare De André, che con giocatori dotati dell'elettricità di Lindstrøm si è sempre trovato bene.


Chissà, forse varrà davvero il detto secondo cui non tutti i mali vengono per nuocere.


  • Nato per puro caso a Caserta nel novembre 1992, si sente napoletano verace e convinto tifoso azzurro. Studia Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II", inizialmente per trovare una "cura" alla "malattia" che lo affligge sin da bambino: il calcio. Non trovandola però, se ne fa una ragione e opta per una "terapia conservativa", decidendo di iniziare a scrivere di calcio e raccontarne le numerose storie. Crede fortemente nel divino, specie se ha il codino.

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