Argentina, calcio ed elezioni
In Argentina calcio e politica sono mondi inseparabili e mutualmente dipendenti.
Da quando il calcio è diventato un enorme fenomeno di massa e lo sport più amato, praticato e seguito del paese, in Argentina la politica ha sempre fatto di tutto per avvicinarvisi, abbracciarne il linguaggio e le dinamiche, ottenere posti di potere, promuovere la propria immagine grazie al fútbol. Parafrasando Tommaso Clerici, che a sua volta parafrasava il generale Von Clausewitz, "in Argentina il calcio è la prosecuzione della politica con altri mezzi". Ancora oggi infatti, è assolutamente normale trovare grandi nomi della politica "tradizionale" all'interno delle istituzioni calcistiche e dei board dei club o, al contrario, dirigenti calcistici che utilizzano la propria fama costruita nel mondo del calcio come catalizzatore di consensi elettorali.
Ovviamente, questa strategia del piede in due scarpe tra amministrazione politica e management sportivo non è un'esclusiva del calcio argentino, né di quello sudamericano in genere: ovunque il calcio - o qualsiasi altro sport, o ancora qualsiasi fenomeno socio-culturale di massa - sia un fattore così importante nella società, troveremo delle élite che si muovono agilmente tra questi spazi di potere.
Tuttavia - come scriveva oltre dieci anni fa Verónica Moreira su Nueva Sociedad - il calcio argentino ha delle peculiarità che rendono questo caso diverso da (quasi) tutti gli altri: chi ambisce a posizioni da dirigente in un club deve vincere le elezioni. Non basta essere scelti e assunti dalla proprietà per entrare nel CDA, non basta avere un'adeguata quantità di Pesos per diventare presidente, perché le squadre argentine non sono e non possono essere semplici società, ma sono associazioni sportive con decine di migliaia di soci e vengono governate attraverso processi democratici, un po' come succede nel Barcellona o nel "50+1" in Germania. Dunque, chi vuole diventare presidente del Boca, del River o di qualunque altro club, è costretto a passare per una lunga campagna elettorale fatta di discorsi pubblici, interviste, visite ai club dei soci, bagni di folla e tante, tantissime promesse.
Inoltre, la base sociale dell'associazionismo è ampia e molto variegata poiché, nonostante le sezioni dedicate al calcio siano preponderanti rispetto alle altre, le squadre sono espressione di associazioni polisportive che, oltre allo sport, offrono l'accesso a un gran numero di attività sociali e culturali. Un esempio conosciuto da tutti è quello del Club Atlético Boca Juniors (CABJ), famoso nel mondo per il calcio a undici maschile, ma che in realtà è un grande contenitore al cui interno ci sono anche una squadra a undici femminile; una maschile e una femminile di futsal, così come di pallacanestro e pallavolo; una scuderia automobilistica; rappresentative di judo, karate, taekwondo e sollevamento pesi.
A questo si aggiungono tutte le attività extra-campo della Fundación Boca: incontri culturali, musei, tornei videoludici, laboratori per adolescenti su temi come l'integrazione o la violenza di genere, campagne per la vaccinazione dei bambini e decine di altre iniziative che legano profondamente i club ai soci, ai tifosi, al territorio.
Il fútbol contro Milei
La stretta relazione tra società calcistiche e società civile, tra i club e i soci che lo sostengono, è diventato un tema centrale nelle settimane di campagna elettorale che hanno preceduto il ballottaggio tra il candidato peronista Sergio Massa e l'ultraliberista filotrumpiano Javier Milei. Quest'ultimo, tra le tante proposte al limite tra il provocatorio e lo spaventoso (tra le tante: sostituire il Peso argentino con il dollaro, privatizzare istruzione e sanità, legalizzare e liberalizzare il mercato degli organi) ha avanzato, suo malgrado, l'idea di liberalizzare anche le strutture societarie delle squadre di calcio dando la possibilità di trasformare i club da società senza scopo di lucro a vere e proprie società per azioni. La reazione da parte del mondo del calcio è stata durissima.
A differenza delle elezioni in Brasile, dove nel 2018 come nel 2022 moltissime stelle ed ex campioni come Neymar, Ronaldinho, Rivaldo hanno annunciato apertamente la loro preferenza per Jair Bolsonaro o Luiz Inácio Lula da Silva, soltanto un giocatore della massima serie argentina si è espresso pubblicamente a favore di un candidato. Al contrario, le società e le tifoserie hanno risposto in maniera immediata, decisa e compatta alle idee di Milei.
La presa di posizione così duramente contraria alla liberalizzazione delle società calcistiche, da un lato è nata come un movimento dal basso, da 1,5 milioni di soci (contando soltanto le 28 squadre di Primera División) che temono di vedere esautorato il proprio ruolo nelle società e temono una rapida polverizzazione di una delle poche best practice del calcio argentino, che porterebbe alla frattura definitiva tra fútbol e pueblo. Dall'altro lato, però, va detto che la rivolta delle società è stata guidata dall'alto dalla leadership dell'AFA, che ha rapporti molto stretti con la sinistra peronista di Massa, il quale è stato per vent'anni dirigente di spicco del Club Atlético Tigre.
Dal River Plate al Boca Juniors, fino alle squadre più umili delle serie minori, più di 100 club hanno pubblicato comunicati ufficiali sui social network in cui prendevano una posizione netta contro la liberalizzazione. Pur senza nominare i due candidati, le società hanno fatto capire in maniera cristallina da che parte stanno: "Fedele alle sue origini, rispettoso dei chiari principi difesi per quasi 120 anni, il Boca Juniors sancisce il suo carattere di associazione civile senza scopo di lucro e la premessa che il nostro club appartiene alla sua gente, ai membri e ai membri che lo rendono più grande ogni giorno", ha scritto l'account ufficiale degli Xeneizes.
"Nello spirito dei nostri fondatori, rifiutiamo le corporazioni nel calcio argentino. Il Club Atlético River Plate è un'associazione civile senza scopo di lucro e apparterrà sempre ai suoi membri, che sono il sostentamento di questi 122 anni di grandezza", hanno concordato i Millonarios. Al coro delle squadre di calcio, poi, ci sono molte altre voci dello sport: ad esempio, una lettera aperta del collettivo Futbolistas Unidxs, firmata da campioni del mondo come Fillol, Olguín ed Enrique; medagliati olimpici e paralimpici, pugili, tennisti, giocatori di hockey, grandi maestri di scacchi e molti altri.
L'ombra lunga di Macri
L'idea di trasformare le squadre di calcio in società anonime non è nuova nel calcio argentino. Il primo tentativo è del 1994, quando l'AFA autorizzò la vendita del club Deportivo Mandiyú (all'epoca in Primera División) al deputato di Menem Roberto Cruz, che mise sotto contratto nientemeno che Diego Armando Maradona - come allenatore - e il portiere della nazionale Sergio Goycochea. Tuttavia, il progetto naufragò e si trasformò molto rapidamente in una tragedia sportiva: prima la retrocessione, poi la radiazione dall'AFA e, nel 1998, il fallimento e la scomparsa del Mandiyú.
Più o meno nello stesso periodo, l'Argentinos Juniors passa nelle mani dalla società di broadcasting proprietaria delle principali trasmissioni calcistiche argentine, Torneos y Competencias. Dopo aver spostato la sede del club dal quartiere La Paternal a Buenos Aires alla città di Mendoza, a circa 1000km di distanza, il progetto si rivelò fallimentare e nell'arco di pochi Torneos y Competencias si tirò indietro e l'Argentinos Juniors, per la gioia dei suoi tifosi, tornò a La Paternal.
Anche squadre più blasonate hanno vissuto esperienze simili. Nel 2000, due anni dopo essere il salvataggio dal fallimento grazie all'intervento economico dei tifosi-soci, Blanquiceleste S.A., una società per azioni, acquista la sezione calcistica maschile del Racing de Avellaneda e il suo stadio - il Presidente Perón -. Le cose iniziarono per il meglio, con una vittoria del torneo Aperura che mancava dal 1966, ma la situazione economica non migliorò e dopo alcuni anni di gravi perdite e una fortissima pressione da parte dei tifosi tifosi, il Racing è tornato a essere controllato dai suoi soci.
Nonostante i vari esempi fallimentari, dicevamo, l'idea di uniformare le strutture societarie a quelle di gran parte del resto del mondo continua a ripresentarsi. D'altra parte, in America Latina soltanto Ecuador e Paraguay hanno regolamenti simili; in Europa solo la Germania e alcune singole società come Real Madrid e Barcellona. Le motivazioni a sostegno della proposta sono sempre le stesse: debiti da ripianare, l'impoverimento del calcio argentino o l'esaltazione della gestione privata in quanto tale.
Quest'idea che Milei sostiene apertamente almeno dal 2022 (ma che, precisando, ha ritrattato in un video uscito poche ore prima del voto) ricalca precisamente ciò che aveva già tentato di fare Mauricio Macri sia nei suoi lunghi anni da presidente del Boca sia nella sua parentesi quinquennale conclusasi nel 2019, da Presidente dell'Argentina.
A fine anni novanta, Macri aveva spinto per la privatizzazione usando la sua grande influenza all'interno dell'AFA, mentre, dal lato del governo, il Ministro dello sport, Daniel Scioli, provava a convincere il presidente Adolfo Rodríguez Saá. Nonostante gli sforzi dei due e nonostante ci si trovasse durante la grave crisi economica durata dal 1998 al 2003, in praticamente tutto era suscettibile di privatizzazione, anche in quel caso la proposta incontrò l'opposizione irremovibile delle società di calcio e il Comitato Esecutivo dell'AFA finì per respingerla con 19 voti contro 1. Anni dopo e già da Presidente dell'Argentina, Macri approfittò del vuoto di potere e della disorganizzazione dell'AFA dopo la morte del "Re" della Federazione Julio Grondona per intervenire imponendo nuove regole dall'alto. Ancora una volta, però, Macri si è trovato davanti il muro dei dirigenti e dei soci delle società calcistiche, che bloccarono nuovamente l'iniziativa.
Nel ballottaggio, dopo un lungo silenzio, Macri ha dato il suo endorsement a Javier Milei e non soltanto per questione di affinità ideologica. L'ex presidente dell'Argentina, ha dichiarato che domani, una volta chiuse le urne, formalizzerà la propria candidatura alla vicepresidenza del Boca in sostegno del candidato presidente Andrés Ibarra, economista, già suo Ministro della modernizzazione. Di fronte a sé, Macri troverà un avversario difficile da battere: l'attuale vicepresidente Juan Román Riquelme, uno degli artefici dei successi del Boca di Macri, ma anche uno dei suoi grandi nemici dell'epoca.
Il sostegno di Macri alle proposte di Milei e, al contrario, la ferma opposizione della dirigenza Xeneize alla privatizzazione, potrebbero essere fattori decisivi per convincere i soci. D'altro canto, potrebbe avere altrettanto peso il ricordo dei fasti dei primi duemila, quando il Boca Juniors di Macri dominava in America e nel mondo, vincendo campionati e Libertadores a ripetizione e, soprattutto, due Coppe Intercontinentali in tre anni contro il Real Madrid dei Galacticos e il Milan di Ancelotti.
Domani mattina avremo i primi risultati del ballottaggio presidenziale, mentre tra due settimane, il 2 dicembre 2023, oltre 350'000 soci del CABJ voteranno per eleggere il nuovo organigramma societario. Ad oggi, sembrano non esserci favoriti. L'unica certezza è che in Argentina calcio e politica restano due entità in simbiosi, due mondi adiacenti e comunicanti, tra i quali ci si può - anzi, ci si deve - muovere liberamente, lavorando su uno per influenzare l'altro, e viceversa.
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