C'è ancora domani - Considerazioni Sparse
C'è ancora domani, film debutto alla regia di Paola Cortellesi è un film ambizioso e divertente.
- A un primo impatto, la scelta del bianco e nero e dell'ambientazione potrebbero scoraggiare lo spettatore mainstream, che spesso percepisce la scala di grigi come marchio di fabbrica di film noiosi e con velleità da cinema d'essai. Al contrario, C'è ancora domani è un film pensato per arrivare a tutti, ma davvero a tutti, nel modo più diretto e comprensibile possibile. La grande esperienza di comica "da grande pubblico" di Paola Cortellesi garantisce un mood e un linguaggio adatti a un film che punta a piacere a una fascia ampia di spettatori, a raggiungere più persone possibili con il suo - potente - messaggio. La regista sceglie di perseguire questo obiettivo anche e i soprattutto attraverso i momenti comici disseminati abilmente lungo tutta la pellicola per alleggerire il carico di un tema delicato e doloroso, senza (quasi mai) sminuire la portata morale dell'opera e la drammaticità degli eventi trattati. Anche la ricchezza simbolica dei gesti, delle azioni, dei movimenti - piccoli indizi sparsi lungo il film - aiutano a convogliare il messaggio nel modo più cristallino possibile, pur con il rischio di giocare sul limite del didascalico;
- Una degli aspetti più interessanti di C'è ancora domani è l'onnipresenza dei rapporti patriarcali, della sopraffazione fisica e psicologica delle donne da parte degli uomini della loro famiglia, e non solo. Cortellesi, Calenda e Andreotti (i due co-sceneggiatori) hanno scelto di mostrare come i questo rapporto di potere asimmetrico e profondamente ingiusto caratterizzasse (e caratterizzi ancora, ci viene detto tra le righe) tutti gli strati della società, a prescindere dal ceto sociale, dal livello di istruzione o dall'età. Raccontando la storia di Delia e Ivano, il film vuole raccontarci la storia di tutte le donne, di tutti i rapporti tossici, prevaricatori e violenti. Anche nella famiglia estremamente benestante da cui Delia si reca a fare le punture, il marito intima alla moglie di tacere. Anche il padre di Giulio, uomo della media borghesia proveniente dalla campagna, non crede che la moglie sia in grado di decidere chi dovrà governare il paese. Nonostante le barriere sociali ed economiche che li separano, il vecchio e sboccato Sor Ottorino, il rozzo e quasi analfabeta Ivano e il giovane, colto ed educato Giulio hanno molto più in comune di quanto essi stessi credano;
- C'è chi ha tacciato le prove attoriali - e la caratterizzazione stessa dei personaggi - di troppa caricaturalità, di essere delle macchiette. I personaggi sono effettivamente delle maschere, sono l'esagerazione di quello che rappresentano, ma è una scelta voluta e che, a nostro avviso, non rompe mai la sospensione dell'incredulità o la verisimiglianza del film, che anzi si fa forza degli archetipi che desidera rappresentare. Cortellesi si rivela (e di certo non è una sorpresa) un'ottima protagonista; Fanelli riesce a trasportare al cinema la sua particolare cadenza i suoi tempi comici in maniera più che convincente; Mastandrea riesce a mettere in scena un personaggio odioso, spregevole, totalmente amorale, senza mai trasformarlo in un mostro monodimensionale. Lui stesso, stando a quanto ha raccontato, non era per nulla convinto di poter essere un Ivano credibile e convincente, ma abbiamo avuto la prova che esiste anche un efficace "Valerio cattivo" a cui non siamo abituati. Menzione d'onore anche per Romana Maggiora Vergano, al suo primo "grande" film;
- Le scelte operate in sede di colonna sonora fanno sicuramente discutere, nel bene e nel male. Qua propendiamo per il bene, ma comunque queste scelte vanno considerate per la loro particolarità. Ad accompagnare le scene del film ci sono brani perfettamente integrati con l'ambientazione storica, come Aprite le finestre di Fiorella Bini, altri integrati grazie al loro testo alle situazioni emotive, come M'innamoro davvero di Fabio Concato e altre che sono presenti in funzione della loro componente strumentale, come B.O.B. degli Outkast. L'effetto è sicuramente curioso ma riesce ad essere in qualche modo organico e in sintonia con il film. Che la scelta di canzoni di epoche diverse serva a rinsaldare il messaggio che quanto vediamo sullo schermo non è rimasto confinato agli anni '40 ma ha una sua stretta attualità? In aggiunta a questo, parlando di colonna sonora non si può dedicare qualche riga al "main theme" di C'è ancora domani, ovvero A bocca chiusa di Daniele Silvestri. Al di là della bellezza in sé del pezzo, viene difficile pensare ad una scelta che potesse essere più azzeccata;
- Anche considerati i numeri di incassi e botteghini, C’è ancora domani è destinato a lasciare un segno. Quanto questo sarà un simbolo di cambiamento e quanto sarà l’ennesima occasione in cui l’immergere il piede nelle orme già calcate sarà più semplice e meno faticoso di trovare nuove strade. È sufficiente essere stati in sala durante e immediatamente dopo la proiezione del film: la reazione ad alcuni dialoghi, scene e inquadrature non lascia indifferenti, ma le reazioni possibili sono diverse e diversamente comprensibili. La schietta violenza subita da Delia, trattata in chiave tragicomica, cosa ha suscitato nello spettatore? Accettazione e somatizzazione silenziosa di un senso di colpa che si è ereditata dalle generazioni precedenti? Un’espressione di sgomento ed esagerazione, come a esorcizzare una realtà che si ritiene troppo cruda per essere vissuta da madri e sorelle? Una risata sintomo di Schadenfreude, di godimento per aver magari soltanto sfiorato un trattamento simile? Un ghigno amaro, provocato dall’immediatezza ilare del movimento e delle parole di Cortellesi e Mastandrea e dal successivo riconoscimento di quel velo di finzione squarciato dall’immagine di racconti soltanto ascoltati in lontananza?
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