L'Ipswich Town è la sorpresa di cui non avete sentito parlare
I Tractor Boys, neopromossi in Championship, sono in piena corsa per il ritorno in Premier League.
L’Ipswich Town è una squadra sicuramente poco conosciuta, se non di nome, dalla maggior parte degli appassionati di calcio. A qualche tifoso interista potrà tornare in mente la doppia sfida in Coppa UEFA tra gli inglesi del Suffolk e l’Inter di Hector Cúper, giocata nel dicembre del 2001 e risolta da una tripletta di Bobo Vieri - partita che, pochi anni più tardi, sarà usata dalla Codemasters come principale fonte di foto e sfondi per il videogioco ufficiale dell’Inter per Playstation 2 -.
L’Ipswich Town potrebbe risultare una squadra leggermente più familiare a chi ha vissuto l’epoca d’oro del calcio inglese a cavallo tra anni ’70 e ’80, quella dell’Liverpool di Bob Paisley e delle Coppe dei Campioni di Aston Villa e Nottingham Forest. Anche i Tractor Boys erano riusciti a ritagliarsi il loro spazio grazie alla gestione di Sir Bobby Robson e a una rosa iconica: Terry Butcher, Paul Mariner, Frans Thijssen e Alan Brazil, per citarne solo alcuni.
Qualcuno, tra cui Wark, Beattie e Osman, sarà addirittura scritturato come attore e controfigura in Fuga per la vittoria, il celebre film del 1981 con protagonisti Sylvester Stallone, Micheal Caine e - soprattutto - Pelè. Fin qui, l’Ipswich Town potrebbe sembrare una di quelle tante squadre, come il Bradford, il Coventry o il Wimbledon, abituate a bazzicare la Premier League a cavallo tra Vecchio e Nuovo Millennio per poi perdersi tra i meandri delle serie inferiori. Tutto nella storia più recente della squadra sembra dirci che il destino era un lento e inesorabile declino, schiacciati tra la mediocrità dei risultati sul campo e le vestigia di un titolo nazionale, vinto sotto la guida del sempiterno Alf Ramsey, una FA Cup e la Coppa UEFA del 1981.
Dopo aver conquistato la promozione in Premier League nel 2000, l’Ipswich aveva sorpreso il pubblico inglese con un incredibile 5° posto, arrivando a soli 3 punti di distanza da un piazzamento in Champions League. La qualificazione in Coppa UEFA sembrava aver portato la squadra del Suffolk, ma alla fine della stagione successiva l’Ipswich retrocedette in First Division tra lo stupore generale: riuscì comunque a conquistare un posto nella Coppa UEFA 2002/2003, grazie a quel meraviglioso meccanismo che era il Premio Fair Play.
Nonostante la qualificazione europea e le aspettative di un veloce ritorno al vertice, gli inglesi non riusciranno mai più a rimettere piede in Premier. Dopo anni di galleggiamento a metà classifica in Championship, alla fine della stagione 2018/19 l’Ipswich Town arriva addirittura ultimo e retrocede in League One 63 anni dopo l'ultima volta. La mancanza di risultati sul campo e la difficile situazione economica sembravano stare calando definitivamente il sipario sulla storia di una delle squadre più iconiche del calcio britannico degli anni ’70.
La svolta arriva, inattesa ed insperata, nell’aprile del 2021. Nei giorni in cui mezz’Europa tiene il fiato sospeso per cercare di capire come andrà a finire l’affaire Superlega, l'Ipswich viene ceduto al fondo d'investimento statunitense ORG per £40 mln, mentre al vertice della dirigenza arrivano i veri artefici dell’operazione, un trio di investitori americani, il Three Lions Group, composto da Brett Johnson, Berke Bakay e Mark Detmer. Per l’Ipswich si apre una stagione di cambiamenti epocali.
Nell'articolo scritto per The Athletic, la giornalista inglese Nancy Froston racconta di cosa fosse l'Ipswich Town prima dell’arrivo della nuova proprietà: l'immagine che regala è la rappresentazione più plastica che si possa immaginare del concetto di declino calcistico. Un debito da £100 mln; uno stadio, Portman Road costruito nel 1884, rimasto fermo all'ultima ristrutturazione dei primi 2000; una struttura di allenamento attraversata dalle corsie di una strada che ogni giorno i giocatori sono costretti ad attraversare per passare dagli spogliatoi ai campi in erba. Alla carenza e al pessimo stato delle infrastrutture si aggiunge poi un management del tutto assente o quanto meno fermo alla visione paternalistica delle squadre di calcio tipica degli anni '90.
L’organigramma societario era, per usare un eufemismo, ridotto all’osso: oltre alla mancanza di un direttore sportivo, la squadra disponeva soltanto di due osservatori a libro paga e il loro lavoro, vista l’assenza sia di un capo osservatore che di una rete di scouting, diventava completamente inutile e fine a sé stesso. Insomma, ancora all’inizio del decennio l’Ipswich Town era una società in completo disfacimento, una squadra ben lontana da quel modello virtuoso e moderno di gestione dei club calcistici che oggi si sta sempre di più affermando e più simile, invece, a quelle società di Serie C costantemente sull’orlo della bancarotta che il nostro Paese conosce così bene.
Ricostruire
Dunque, più che di ristrutturare, la nuova proprietà americana si propone di ricostruire dalle fondamenta un club che rischia di implodere su sé stesso. Il primo passo è quello di risanare l’enorme debito di 100 milioni accumulato dalla vecchia proprietà. Subito dopo, la nuova società lancia un ambizioso piano di investimenti infrastrutturali che vede prima la ristrutturazione e l’ampliamento del centro d’allenamento di Playford Road (da 2 a 11 campi da gioco e allenamento di varie dimensioni) e poi per il rifacimento parziale dello stadio: vengono installati dei sistemi moderni di irrigazione e riscaldamento, è rifatto il manto erboso, sono impiantati dei maxischermi a LED e rimesso a norma secondo i nuovi standard di sicurezza, insomma lo stadio è portato, nel giro di due anni nel XXI secolo grazie allo sforzo economico della proprietà.
La nuova società comincia, fin da subito, a mettere mano anche al disastrato organigramma societario. In poco tempo mette sotto contratto un direttore sportivo, Gary Probert, e un amministratore delegato, Mark Ashton. Successivamente, si procede ad un ingente investimento nel reparto scouting: Probert e Ashton costruiscono, praticamente dal nulla, un team di recruitment e analisi. Piccolo ma estremamente efficiente, è un gruppetto di osservatori giovani e dall’approccio flessibile e innovativo che non esita a scandagliare serie minori, leghe giovanili e campionati esteri. L’Ipswich diventa così un club moderno, efficiente, finalmente organizzato secondo il modello di una vera e propria impresa, con tanto di reparto R&D e asset immobiliari innovativi, raggiungendo un livello di sostenibilità economica insperato fino a pochi mesi prima.
Dal punto di vista economico/dirigenziale, la rinascita dell’Ipswich ci mostra, in un contesto europeo sempre meno sostenibile, come sia importante un approccio razionale ed efficiente: la dirigenza non ha lavorato solo sul piano tecnico ma, soprattutto, su quello infrastrutturale, creando un sistema più solido e meno ancorato al rendimento della squadra. Gli eventi che hanno coinvolto negli ultimi anni i Tractor Boys ci mostrano anche la rilevanza di un settore giovanile organico e ben gestito nell’interesse tecnico della squadra, non solo come una fabbrica di carne da plusvalenza. La squadra, che a inizio secolo aveva lanciato, tra gli altri, Titus Bramble e Kieron Dyer, può contare ancora oggi su una robusta presenza di elementi della prima squadra provenienti dal settore giovanile, come Luke Woolfenden e Cameron Humphreys.
Dopo mesi di importanti cambiamenti economici e societari, arriva il momento per la proprietà americana di pensare ai risultati del campo. Alla fine della stagione 2020/2021, la seconda consecutiva in League One, la dirigenza conferma l’allora allenatore Paul Cook, reduce da un discreto nono posto a sole tre posizioni dalla zona play-off. Ma le cose sono destinate rapidamente a cambiare.
Pochi mesi dopo l’inizio del campionato, Cook viene esonerato e la proprietà prova a lanciare la scommessa più ambiziosa e rischiosa dal suo arrivo nel Suffolk. Invece di affidare la gestione della squadra ad uno dei tanti mestieranti di categoria, Probert e Ashton scelgono come nuovo allenatore il 35enne nordirlandese Kieran McKenna, alla sua prima esperienza in panchina. McKenna aveva in precedenza allenato le U18 di Tottenham e Manchester United e proprio a Manchester era stato promosso, assieme a Micheal Carrick, al ruolo di assistente di Josè Mourinho, poi di Solskjær e infine di Ralf Rangnick.
Dopo una prima fase di assestamento, la nuova guida tecnica si rivela fondamentale per la fuga dal purgatorio della League One: al termine della prima stagione completa da allenatore di McKenna, la squadra si piazza al secondo posto in classifica, ottenendo la promozione diretta in Championship e registrando la miglior difesa e il miglior attacco del campionato, rispettivamente con 35 gol subiti e 101 gol fatti in 46 partite.
Lo stile di gioco proposto da McKenna si segnala fin da subito come uno dei più interessanti e all’avanguardia di tutto il campionato. L’Ipswich è una sqaudra molto intensa, che applica alcuni concetti del gioco di posizione, usando molto gli esterni in costruzione e occupando benissimo l'ampiezza. A beneficiarne è stato anche il centravanti, Conor Chaplin, autore di 26 gol in League One. La promozione in Championship è quindi il trionfo di una società moderna e organizzata ma anche merito di un allenatore innovativo e pragmatico, un connubio di intenti e modus operandi che arriva finalmente alla prova della seconda serie.
Crescere e adattarsi
La Championship 2023/2024 si presenta ai nastri di partenza come una delle edizioni più competitive di sempre, nonché una delle più scontate: dalla Premier League sono retrocesse tre squadre di altissimo livello, come il Leeds e il Southampton ma, soprattutto, il Leicester, che ha messo in panchina Enzo Maresca e mantenuto un buon nucleo della squadra che aveva in Premier League.
Tutti insomma pronosticano un campionato tranquillo e poco in discussione, nessuno sembra veder arrivare cosa sta per succedere dalle parti del Suffolk. L’Ipswich decide di cambiare poco o nulla della squadra con cui ha conquistato la categoria e il mercato estivo vede pochi ma interessanti interventi: in attacco arriva il riscatto di George Hirst dal Leicester e l’innesto del giovane Omari Hutchinson dal Chelsea, mentre sempre in prestito, questa volta dallo United, arriva il terzino Brandon Williams che ritrova in squadra l’ex compagno Axel Tuanzebe, rimasto senza contratto a giugno e ingaggiato prontamente dai Tractor Boys.
I nuovi acquisti si inseriscono in un contesto già ben strutturato, in cui a rubare la scena non sono solo i gol di Chaplin e gli assist di Leif Davis (vero playmaker della squadra), ma anche la solidità del capitano Sam Morsy, la qualità del nazionale australiano Massimo Luongo e le ottime prestazioni di Nathan Broadhead.
Fin da subito, la squadra di McKenna si rivela essere un meccanismo capace di sincronie precise e un rendimento eccezionale. Dopo la rocambolesca sconfitta per 3-4 alla quarta giornata contro il Leeds, l’Ipswich inanella una serie di 12 risultati utili consecutivi, tra cui sono da annoverare tre vittorie di spessore contro Southampton, Preston e Hull. La squadra si mette in mostra per il suo calcio offensivo e corale, un calcio che le permette di essere il miglior attacco del campionato con 36 reti in 16 partite realizzati da 14 marcatori diversi. Il merito di questo impatto incredibile con la categoria superiore è merito soprattutto del lavoro di un allenatore che, nonostante i pochissimi cambiamenti portati dal mercato, ha saputo adattare la sua rosa a un calcio diverso e più competitivo.
Nonostante continui a mantenere nel suo DNA l’intensità e la costruzione dal basso tipiche delle precedenti due stagioni, l’Ipswich di McKenna è riuscito ad elaborare un approccio più pragmatico: un possesso palla meno insistito ma, soprattutto, uno stile di gioco più diretto e verticale in fase di costruzione e in un pressing più intenso e organizzato in fase di non possesso.
Alcuni dati per cogliere meglio questo cambiamento: il possesso palla dell’Ipswich è passato dal 59.8% della scorsa stagione al 47.8% della corrente, un mutamento che non si giustifica solo in ragione del più alto livello tecnico degli avversari ma soprattutto nella precisa volontà da parte dell’allenatore di cedere il pallino del gioco agli avversari, quando opportuno e conveniente.
Il dato sul PPDA (i passaggi concessi all'avversario per azione difensiva, a cui un valore basso si associa un pressing più intenso) ci mostra un Ipswich 6° in tutta la Championship, sintomo di una squadra che guarda al pressing alto nella metà campo avversaria come la chiave del suo gioco, un aspetto corroborato dal dato sui recuperi alti che ci indica invece come la squadra di McKenna sia la prima in Championship per numero di tiri realizzati dopo aver recuperato la palla nella metà campo avversaria.
Il merito del tecnico nordirlandese si è concretizzato non solo nell’abilità di cambiare pelle alla propria squadra, ma di farlo anche velocemente, senza cali di tensione o fasi di adattamento che sarebbero state comunque organiche. A fare impressione è soprattutto l’efficacia, in termini di gol e di risultati, di uno stile di gioco che non è di per sé il più propositivo e dominante ma che si traduce comunque nel miglior attacco del campionato. L’Ipswich di McKenna è una delle prove più tangibili di come lo sviluppo del pressing, anche se non accompagnato da un dominio del possesso palla, sia tra le armi migliori che le squadre meno attrezzate tecnicamente hanno a disposizione per poter rivaleggiare contro le grandi del campionato. L’Ipswich, da questo punto di vista, ricorda il Bologna di Thiago Motta, un’altra squadra che ha il pressing come base fondante di entrambe le fasi.
Siamo ancora a metà novembre e il calendario della Championship è ancora estremamente lungo e ricco d’impegni. Ciò rende difficile fare previsioni su come proseguirà il campionato dei Suffolk Punch e su quanto McKenna sarà in grado di dare seguito a gioco e risultati fin qui straordinari. Nel prossimo mese, l’Ipswich dovrà affrontare West Bromwich, Watford, Norwich e Leicester, un tour de force contro le squadre più ricche e attrezzate della Championship che sarà in grado di dirci qualcosa di più sulle reali potenzialità della squadra, sia in ottica di una conferma ad alti livelli che di una possibile lotta per la Premier League. D'altronde, la storia recente della Championship ci ha regalato storie di crescita simile, come quella del Luton, arrivato a giocare in Premier League con investimenti minimali o del Coventry, che invece si è fermato alla finale dei play-off.
Ma anche se l'Ipswich non dovesse riuscire nel tanto agognato doppio salto dalla League One alla Premier League, possiamo star certi che il percorso intrapreso dal club è un percorso virtuoso. L’Ipswich Town non è una Cenerentola e la sua crescita è tutto tranne che casuale: la presenza di una dirigenza forte e ambiziosa, la capacità di intervenire in modo intelligente e la voglia di credere in un allenatore giovane e innovativo lo dimostrano. La rinascita dell’Ipswich Town viene da lontano, è il trionfo della progettualità e possiamo star certi che il meglio, per loro, deve ancora arrivare.
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