Josh Dobbs ai Minnesota Vikings
, 15 Novembre 2023
10 minuti

Joshua Dobbs sta passando l’esame più duro della carriera


Il quarterback da Tennessee è diventato, quasi dal nulla, una delle storie più incredibili della NFL.

La scorsa estate Netflix ha rilasciato la prima stagione di Quarterback, una docu-serie che segue l’annata di tre quarterback della NFL: Patrick Mahomes dei Kansas City Chiefs, Kirk Cousins - compagno di Joshua Dobbs ai Minnesota Vikings - e Marcus Mariota degli Atlanta Falcons. Un po’ come per Drive To Survive e la Formula 1, Quarterback è un’ottima introduzione alla complessità del football e dello specifico ruolo di cui tratta, soprattutto per neofiti della NFL. Per quanto gli appassionati possano trovare qualche imprecisione storica, anche per loro la serie può essere un prodotto d’intrattenimento efficace. Nel quarto episodio, in particolare, la serie ci porta dentro quel complesso vocabolario che rappresenta il motore di ogni sistema offensivo.

Il football americano è uno sport di schemi. Anzi: vista la varietà di opzioni disponibili per ciascun giocatore, sarebbe più corretto definirlo uno sport coreografato. Avete presente la scena di Babylon in cui il personaggio di Margot Robbie, dopo essere diventata una diva del cinema muto, si ritrova per la prima volta a recitare col sonoro, dovendo farsi trovare perfettamente sotto il microfono e parlare con il corretto tono di voce perché la scena possa dirsi ben riuscita? Quello è ciò che capita a ogni giocatore di football in ogni singola azione della partita. Per veicolare tutte queste informazioni – la formazione di partenza, che tipo di corsa o blocco ciascun giocatore dovrà eseguire, chi è il primo target di ciascuna azione – servono parole, tantissime parole.

Qualsiasi attacco, dunque, ha un proprio playbook, una sorta di database di tutte le possibili esecuzioni, e ai livelli più alti le dimensioni sono quelle di romanzi riempiti con termini apparentemente nonsense come "Y-short to Cousin right clamp two jet rib scrabble X-Mexico". Non tutte le chiamate sono adattabili a ogni situazione: ci sono azioni da chiamare quando si è al primo down, altre da provare al terzo, altre riservate per quando si è a dieci iarde o meno dalla end zone. A complicare tutto questo c’è il fatto che ogni partita richiede una preparazione specifica, e quindi, come sottolinea Marcus Mariota all'interno della serie, “la parte mentalmente impegnativa di fare il quarterback è che ogni settimana affronti una strategia diversa”.

L'offensive playbook 2019 di Kirk Cousins
L'offensive playbook di Kirk Cousins per la stagione 2019 (Foto via X)

Nella NFL, al contrario della musica, la ripetizione è tabù: “McVey, McDaniel e Shanahan possono ripetere la stessa chiamata tre o quattro volte al massimo”, come ha affermato Ollie Connolly - autore della newsletter Read Optional - criticando aspramente Matt Canada, offensive coordinator dei Pittsburgh Steelers, il cui attacco “gioca il più basso numero di concetti della NFL, con un margine abbastanza significativo”.

Per un quarterback, imparare le giocate ed entrare nel ritmo di un attacco NFL è un compito molto difficile e richiede lunghe giornate studio. Ogni squadra ha un proprio sistema di play-calling: può chiamare la stessa azione con termini molto diversi. A questo si aggiunge la complicazione di dover ricevere le indicazioni via auricolare, decifrarle, recitarle ai compagni in uno stadio con migliaia di persone ed eseguirle. Il tutto nei 40" concessi dal cronometro. Non qualcosa che si possa improvvisare o interiorizzare nel giro di una paio di settimane. Eppure, questo è esattamente quanto successo a Joshua Dobbs. Non una, ma ben tre volte nell’ultimo anno solare.

Nato ad Alpharetta (Georgia) nel 1995, Dobbs ha giocato quattro anni all’università del Tennessee, dove ha ottenuto una laurea in ingegneria aerospaziale con il massimo dei voti. Uscito dal college è stato scelto al quarto giro del Draft 2017 dai Pittsburgh Steelers. La prima parte della sua carriera è stata caratterizzata da tanta panchina, prima a Pittsburgh - dove il volante era fermamente nelle mani del vincitore di due Super Bowl Ben Roethlisberger - poi a Jacksonville, dove non è mai sceso in campo ma ha avuto modo di mettere a frutto la propria laurea con un tirocinio alla NASA, e infine a Cleveland.

Tutto è cambiato il 21 dicembre 2022: Joshua Dobbs, allora nella practice squad dei Detroit Lions, riceve un’offerta dai Tennessee Titans, alla ricerca di un quarterback dopo l’infortunio del titolare Ryan Tannehill e le difficoltà del rookie Malik Willis. Il 29 dicembre, appena una settimana dopo l'ingresso in squadra, esordisce da titolare in NFL, ma le cose non vanno per il meglio: i Titans chiudono la stagione con altre due sconfitte consecutive e il mancato rinnovo di Dobbs.

All’alba della stagione 2023, chiunque credeva che avrebbe ripreso il percorso tradizionale della sua carriera, oscillando tra la panchina e la practice squad, probabilmente quella dei Browns, dove era tornato per il training camp estivo. Invece, il 24 di agosto è chiamato dagli Arizona Cardinals, alla disperata ricerca di un sostituto di Kyler Murray, vittima di un infortunio al crociato. I Cardinals hanno scambiato una scelta al quinto giro del successivo Draft per Joshua Dobbs, schierandolo titolare già due settimane dopo contro i Commanders.

Alla terza settimana, in seguito alla vittoria dei Cardinals contro i Dallas Cowboys, una delle candidate al titolo e una delle migliori difese della lega, Dobbs ha fatto notizia non solo per la sua prima vittoria come quarterback titolare, ma anche perché i tanti tifosi che desideravano compare una sua maglia si sono accorti che nello store della franchigia mancava proprio la 9 del quarterback da Tennessee.

Immagina vincere una partita e scoprire che la tua stessa squadra non vende le magliette col tuo nome sulle spalle.

Quella contro i Cowboys restava ancora l’unica vittoria nella carriera professionistica di Joshua Dobbs fino al momento. I Cardinals, infatti, hanno iniziato la stagione con sette sconfitte nelle prime otto partite. Le colpe del quarterback, in questo caso, sono relative. In questo 2023 i Cardinals stanno cercando di uscire dalle rovine lasciate dall’era di Kliff Kingsbury, che ha lasciato un roster scadente e appesantito da scambi costosi che non hanno dato i risultati sperati: il tight end Zach Ertz e il wide receiver DeAndre Hopkins ma soprattutto il già citato Kyler Murray giocatore franchigia dal contratto onerosissimo, il cui infortunio ha portato all'arrivo di Dobbs.

Proprio il sempre più prossimo ritorno di Murray e l’avvicinarsi dell’ultimo giorno disponibile per gli scambi lasciavano intendere che l’incontro contro i Browns sarebbe stato l’ultimo di Dobbs da titolare prima del suo ritorno stabile in panchina. Nella partita di Lambeau Field tra i Minnesota Vikings e i Green Bay Packers, Kirk Cousins - uno dei protagonisti di Quarterback - si è rotto il tendine d’Achille, costringendo i Vikings a cercare una soluzione d’emergenza. Ad Halloween, giorno della trade deadline, Joshua Dobbs è diventato un giocatore dei Vikings, scambiato con una scelta al sesto giro del prossimo Draft. Appena una settimana prima aveva finito di traslocare nella sua casa a Phoenix, prima di dover cambiare città, ma come ha detto lui stesso allo Star Tribune, dopo sette squadre in NFL di cui cinque in un solo anno solare, “non ti sorprende più niente”.

Nei cinque giorni che separavano lo scambio dalla partita di Week 9 in trasferta ad Atlanta, Dobbs non ha avuto neanche modo di imparare i nomi dei propri compagni titolari. Tanto il suo ruolo sarebbe stato quello di andare in panchina, come per altro aveva sempre fatto nella sua carriera fino al dicembre scorso. Poi, però, nel primo quarto della partita contro gli Atlanta Falcons, Jaren Hall è finito a terra tentando di convertire un terzo down, ed è stato velocemente portato via dal campo con una commozione cerebrale che ha escluso il suo ritorno entro fine partita. Per la terza volta in un anno Joshua Dobbs si trova a esordire con una nuova squadra, pochi giorni dopo esservi arrivato, dovendo gestire un attacco che, per forza di cose, non poteva conoscere.

Alla stessa maniera, i suoi compagni non avevano avuto modo di conoscere Dobbs: nei pochi allenamenti a cui aveva partecipato, il quarterback non era comunque mai sceso in campo con i titolari. Senza un minimo di conoscenza è quasi impossibile anche solo far partire un attacco: per iniziare l’azione, ogni quarterback usa una propria cadenza, un insieme di parole e frasi che ripete prima di urlare un segnale predeterminato. Soltanto a quel punto il centro rilascia il pallone, dando inizio all’azione. Se un attacco è un’orchestra, allora c’è bisogno che tutti partano nello stesso momento: prima di entrare in campo, Dobbs è stato inquadrato a bordo campo insieme a Garrett Bradbury nell’atto di insegnargli la propria cadenza.

Contro i Falcons, la Joshua Dobbs Experience è quasi sembrata prendere in prestito il vecchio slogan NBA “Where Amazing Happens”: nessuno aveva mai visto scene come questa su un campo da football.

Negli anni duemila, quello che rendeva speciali gli White Stripes era la straordinaria intesa tra Jack e Meg White. I due scendevano sul palco senza una scaletta predefinita e bastava loro guardarsi negli occhi per capire quale canzone avrebbero suonato dopo. Al suo ingresso in campo, Dobbs doveva fare praticamente la stessa cosa. Soltanto, senza aver composto e riprovato fino alla nausea le canzoni. E con la differenza che gli White Stripes erano in due, simbiotici e con anni di concerti alle spalle, mentre i Vikings erano in undici, con un quarterback che non conosceva né i compagni né gli schemi.

Prima di ogni snap, nelle orecchie di Dobbs arrivavano, dalla voce del capo allenatore e playcaller offensivo Kevin O’Connell, termini in codice che non aveva avuto modo di memorizzare efficacemente. Mentre lui le ripeteva ai propri compagni, lo stesso O’Connell doveva essenzialmente tradurgli cosa volessero dire quei codici e che azione avrebbe dovuto guidare. Se si esclude il rischio di strage imminente, non è una situazione così diversa dal dover spiegare al telefono come disinnescare una bomba che sta per scoppiare. Non era soltanto il momento più difficile della carriera di capo allenatore ancora poco esperto, ma anche e soprattutto quello più complesso della carriera di Dobbs, che prima di quel giorno aveva guidato vittoriosamente un attacco NFL una e una sola volta nella propria vita.

Come ci si può immaginare, l’inizio non è stato semplice. Il primo drive di Joshua Dobbs si è concluso senza alcun guadagno di iarde e, anzi, con la concessione di un safety (due punti che una difesa può conquistare in più modi tra cui, in questo caso specifico, quando placca un avversario in possesso del pallone nella sua end zone). A partire dalle fasi finali del secondo quarto, però, qualcosa è cambiato. L’attacco dei Vikings ha iniziato a funzionare in maniera, se non eccezionale, quantomeno funzionale, risultato che, date le circostanze, è comunque da considerarsi eccezionale. Dobbs ha cominciato a trovare bene i ricevitori, infilando anche finestre molto strette per evitare l’intercetto – ne avrebbe comunque concesso uno ad inizio terzo quarto. Soprattutto, nelle occasionali situazioni di emergenza, ha saputo sfruttare le sue gambe per uscire da situazioni pericolose.

Dobbs ha dimostrato velocità e capacità di allungare la giocata, ma soprattutto uno straordinario equilibrio che gli ha permesso di rimanere in piedi nonostante i tentativi di placcaggi avversari facessero non solo contatto ma gli si avvinghiassero intorno come i serpenti a Laocoonte. Dalle sue sette corse per sessantasei iarde totali è nato anche un touchdown, grazie alle diciotto iarde conquistate per pareggiare la partita, in cui vede sfumare la linea di passaggio, riesce a togliersi dalle spalle i 109 kg di Kaden Elliss che provavano a rallentarne il percorso e a infilarsi nelle porte dell’ascensore verso la end zone appena prima che queste si chiudessero addosso a lui.

I Vikings vincono 31-28 grazie ad un touchdown di Brandon Powell, ma per assistere alla giocata realmente decisiva della partita dobbiamo tornare indietro di qualche minuto. A circa cinquanta secondi ancora sul cronometro, l’attacco guidato dall’ex Cardinals deve guadagnare almeno sette iarde in una situazione si quarto down, pena la perdita del pallone e, di fatto, della partita. Dobbs viene praticamente placcato, e sembra sul punto di concedere il sack della resa. Come dotato improvvisamente dell'agilità viscida di un’anguilla, il numero quindici riesce a sfuggire in piedi da quella presa, schiva tre placcaggi in tuffo e, una volta conquistate le sette iarde, non si limita a essere bloccato, ma insiste e continua a guadagnare pur essendo già nella morsa che lo costringerà a terra.

Il touchdown della vittoria Vikings.

Negli episodi del mastodontico The History of the Minnesota Vikings, video-saggio del canale YouTube Secret Base, il regista e narratore Jon Bois arriva a definire la franchigia di Minneapolis come i grandi storyteller della NFL. Ogni volta che li guardi e ti sembra che il loro percorso sia privo di nubi, chiaro ed terso come un lungo rettilineo in una splendida giornata di sole, si scopre sempre un ostacolo imprevisto, un muro di cristallo contro cui andare a sbattere come succede alle centinaia di uccelli che ogni anno muoiono contro la facciata in vetro dallo US Bank Stadium, situato su una rotta migratoria molto trafficata.

Nel corso di oltre 60 anni di storia, i Vikings hanno vinto un numero di partite pari a poche altre franchigie, eppure si sono sempre visti sfuggire il premio più grande, quello del Super Bowl, a cui pure hanno partecipato più volte di tante altre franchigie che, invece, ne hanno sollevato al cielo almeno uno. Hanno perso in maniera comica, hanno assemblato units leggendarie, hanno avuto figure irripetibili come il loro storico capo allenatore Bud Grant. Sono intrattenitori di primo livello, qualcosa di più degli sfortunati eroi per cui vuoi fare il tifo.

Neanche i Vikings, neanche i narratori di un poema epico in cui Beowulf non diventa re dei Geati ma viene fermato da un Ave Maria, hanno mai avuto a che fare con una storia come quella di Joshua Dobbs. Certo, il suo è un capitolo assai breve, un glitch che tornerà buono per i quiz da cervelloni NFL. I Vikings del 2023, tuttavia, sono una buona squadra, partita con grandi ambizioni, che al momento ha un record vincente in una divisione debole e che presto potrebbe riavere la sua arma principale, Justin Jefferson, uno dei migliori wide receiver della NFL. I playoff non sono un miraggio, anzi. In quel caso, la storia di Joshua Dobbs - già pronta per una sceneggiatura hollywoodiana anche si ritirasse domani - potrebbe diventare qualcosa di ancora più incredibile.


  • Nasce nel 1999 in onore della canzone di Charli XCX e Troye Sivan. Nella sua mente ha scritto un libro su Chris Wondolowski, ma in verità usa quel tempo ascoltando Carly Rae Jepsen e soffrendo dietro a Green Bay Packers e Seattle Mariners

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