Lazio-Roma (0-0) - Considerazioni Sparse
All'Olimpico, tra Lazio e Roma, vince la paura di giocare a calcio.
Mentre la Premier propone il suo big match, uno spettacolare 4-4 a Stamford Bridge tra Chelsea e City, la Serie A risponde con un grande classico, il derby di Roma. Commentare l’impietosa differenza tra le due sfide sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, ma è sempre utile tenerla a mente quando poi ci si meraviglia in fase di cessione dei diritti televisivi che il prodotto “Serie A” non sia poi così appetibile;
La Roma si presenta con il consueto 3-5-2 e la coppia Dybala-Lukaku davanti. Approccia molto bene la gara, con un’aggressività inconsueta a quelle latitudini, fatta di pressing alto con i quinti e i braccetti di difesa sempre aggressivi su terzini ed esterni avversari. Dal recupero palla, che mette in crisi la costruzione bassa della Lazio, arrivano anche un paio di palle gol, che finiscono inopinatamente sul poco educato destro di Rick Karsdorp. Il giallo di Gianluca Mancini dopo 18’, per una trattenuta a fermare Immobile ben lanciato in profondità, induce però la Roma ad un atteggiamento più prudente, e di fatto sancisce la fine del match dei giallorossi;
Sarri, come con il Feyenoord, presenta una squadra più passiva e disposta a concedere il primo possesso di palla all'avversario. La sua Lazio cresce nel corso del primo tempo, prendendo gradualmente il controllo delle operazioni, più per demeriti della Roma che per meriti propri. La manovra non risulta mai particolarmente fluida e con l'abbassarsi dei giallorossi trovare spazi diventa sempre più un rebus, per la soluzione del quale le soluzioni latitano. Solo in un paio di occasioni Luis Alberto riesce ad attaccare gli spazi alle spalle dei centrocampisti, e una di queste porta a una traversa che grida vendetta;
La Lazio, al netto della narrativa del Sarri offensivista, palesa per l’ennesima volta i limiti di una squadra che fatica a produrre occasioni e segna poco. I biancocelesti sembrano troppo leggeri davanti, complice il fatto che Ciro Immobile risente dell’invertibile scorrere del tempo e Felipe Anderson non è più in "God mode" come la scorsa stagione. Pedro sembra ormai essere alla fine del viale del tramonto mentre Isaksen resta un oggetto misterioso. In una ripresa più simile a una zuffa di calcio fiorentino che a un incontro di Serie A si esalta invece Guendouzi, bravo a mettere in campo sia la sua fisicità che la sua propensione ai "mind games" tanto cari a Mourinho;
Nella Roma risulta vana anche la presenza di una coppia pesante come Dybala e Lukaku, dal momento che questi non ricevono nemmeno un pallone giocabile e la fase offensiva, svanita l'illusione dei primi 20', si riduce nel lasciargli l'iniziativa in situazioni isolate nella speranza che i due possano cantare e portare la croce. Spinazzola non è ancora al meglio e si vede, ma le situazioni di maggior pericolo nascono comunque dalle sue sparute scorribande. Con i recenti suicidi di Milan, Napoli e Atalanta era legittimo aspettarsi di più da due squadre che avevano il bisogno di recuperare punti e morale in ottica quarto posto. Alla fine ha prevalso la voglia di uscire indenni e non farsi male, nonostante fossimo solo alla dodicesima giornata, e questo la dice lunga non solo sull'attuale stato delle due romane. Così diverse nella guida tecnica, così uguali nell'approccio e nelle loro prospettive a lungo termine.
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