Dumfries ha riconquistato l'Inter
In questo avvio di stagione, l'olandese ha offerto la miglior versione di sé.
10 Giugno 2023, Manchester City-Inter, finale di Champions League: al trentasettesimo minuto, partendo dalla regia di Brozovic, i nerazzurri superano la pressione del City grazie a una bella triangolazione sulla sinistra tra Calhanoglu e Dimarco. Il terzino, dalla linea di metà campo, sventaglia sulla sinistra, dove Dumfries è lasciato solo da Akè, l’olandese stoppa la palla in maniera abbastanza rivedibile, perdendo mezzo tempo di gioco e, invece di involarsi tutto solo contro Ederson, si ritrova a sfidare uno contro uno il connazionale del City.
A questo punto Dumfries perde coraggio e temporeggia, ci sarebbero da servire in area Dzeko o Lautaro o la sovrapposizione veloce di Barella sulla destra, ma lui preferisce aspettare ancora, ancora e ancora, finché non si decide a scaricare sul numero 23 che però, con la difesa dei Citizens ormai di nuovo schierata, non può far altro che darla indietro e ripartire daccapo. Sono serviti 7 secondi all’Inter per risalire tutto il campo da Brozovic a Dumfries, l’olandese ne ha impiegati 9 per sprecare nell’indecisione una delle migliori (fra le tante) occasioni avute dai nerazzurri in quella fatale notte di fine primavera.
Per la verità, quella partita Dumfries non la gioca neanche male, limitando bene la tecnica di Jack Grealish in un duello epico, ai limiti della comicità fantozziana, che ancora oggi è alla base di molti meme in terra inglese; ma quell’azione gestita in modo così inconcludente rappresenta bene l’andamento degli ultimi nove mesi, e più in generale dell’intera carriera, dell’ex PSV con la maglia nerazzurra.
Dopo una stagione di alcuni alti (come la doppia prestazione contro il Milan in semifinale) e tanti, troppi bassi, Dumfries era destinato a un’inevitabile cessione, che avrebbe posto fine a un anno di rendimenti insufficienti, equivoci tattici e limiti mentali, per la gioia di quei tanti tifosi che vedevano nell’olandese l’anello debole, il tallone d’Achille di una squadra altrimenti completa.
29 Ottobre 2023, Inter-Roma, 10° giornata di campionato: all’ottantacinquesimo minuto, Dumfries viene sostituito da un altro connazionale, questa volta Stefan De Vrij e lascia il campo dalla parte opposta a quella dove si trovano panchina e compagni. Mentre la partita si avvia alla sua conclusione, Dumfries si gode il suo giro di campo, mentre lo stadio lo accompagna con un coro a lui dedicato e che ricambia con ampi gesti della mano. L’olandese ha giocato un’ottima partita: ha banchettato su quel poco che restava della fascia sinistra della Roma, ha sferzato il povero Zalewski e ha potuto fare il bello e il cattivo tempo sulla sua corsia per quasi tutta la gara. È il suo momento, sicuramente il più bello dei due anni e mezzo vissuti a Milano: le voci di cessione sono lontane ed è perfettamente calato nel contesto tattico della squadra.
Nel giro di cinque mesi, Denzel Justus Morris Dumfries si è preso l’Inter. Difficile immaginare l’acclamazione del pubblico di San Siro per l’esterno anche solo a maggio, quando l’euforia per lo straordinario cammino europeo della squadra d’Inzaghi non aveva impedito al pubblico di ricordare come e quanto Dumfries arrivasse da una stagione decisamente sottotono. Oggi invece Dumfries si è preso l’Inter e da pesce fuor d’acqua tattico è diventato un elemento imprescindibile per Inzaghi, un giocatore in fiducia e che ripaga quella riposta in lui dal suo allenatore con un livello di prestazioni sempre più convincente ma soprattutto con una crescita esponenziale in passato solo a tratti accennata.
Raccontare i primi due anni di Dumfries all’Inter non è cosa facile. Arrivato nell’agosto del 2021 per raccogliere l’eredità ingombrante di Achraf Hakimi, ha conosciuto una lunga serie di alti e bassi, senza però mai convincere del tutto o mostrarsi pienamente inserito nel contesto. Già nel corso della prima stagione, l’olandese aveva messo in evidenza qualità fisiche e atletiche ampiamente sopra la media ma anche una tecnica individuale insufficiente che insieme ad una certa goffaggine e alle evidenti carenze tattiche, lo hanno reso praticamente una comparsa nei suoi primi tre mesi.
Poi, la svolta: Dumfries si prende la titolarità in un freddo pomeriggio di inizio dicembre, in una partita casalinga contro lo Spezia, e diventa uno dei fattori decisivi per la squadra di Inzaghi, che inanella cinque vittorie consecutive a rete inviolata. L'olandese segna tre reti, contro Roma, Salernitana e Torino, e la sensazione è che la sua definitiva esplosione sia oramai dietro l’angolo. Seguono invece mesi difficili per lui e tutta la squadra, che rimane avviluppata in una spirale di brutte partite e pessimi risultati che finiscono inevitabilmente per coinvolgere anche l’olandese, che nonostante prestazioni comunque dignitose e di carattere, tra gennaio e maggio mette insieme lo scarno bottino di due gol e due assist. Insomma, la prima stagione pone in essere le giuste basi per una crescita più sostanziale nella seconda. La crescita rimane però solo in potenza.
L’annata 2022/2023 rappresenta l’ennesima occasione sprecata per un giocatore ormai alla soglia della maturità. Tra un contesto tecnico-tattico che non lo valorizza, un decisivo calo di condizione post mondiale qatariota e una vistosa involuzione tecnica e mentale, Dumfries gioca una stagione assolutamente deludente. A salvarlo dalla panchina c’è solo l’infortunio del già partente Skriniar che costringe Inzaghi a dirottare Darmian al ruolo di braccetto, salvando così il posto da titolare anche all’ex PSV. Solo nel finale di stagione le quotazioni dell’olandese conoscono un rialzo, grazie soprattutto ad un contesto di squadra che funziona bene e fa funzionare bene anche i suoi ingranaggi meno oliati. Insomma, due anni di tante ombre e poche luci ma che hanno lasciato la sensazione di una incompatibilità di fondo tra il giocatore e le idee ed esigenze dell’allenatore.
Fin dal suo arrivo in nerazzurro, infatti, Dumfries aveva dovuto scontrarsi con una serie di criticità importanti e di difficile risoluzione. Innanzitutto, appariva quasi scontata una certa incompatibilità di fondo tra lui e l’impalcatura di una squadra che faceva del possesso e della gestione della palla un principio irrinunciabile, quasi dogmatico, anche se spesso nei fatti addirittura controproducente. Come poteva un giocatore con evidenti limiti tecnici ritagliarsi un ruolo di titolarità in un impianto di gioco sempre così concentrato nel mantenere il possesso e a cercare, soprattutto sugli esterni, lo sfogo per un palleggio più veloce e verticale?
A ciò si aggiungeva un radicale, quanto necessario, mutamento di approccio alla pressione da parte di una squadra, che non poteva e non voleva permettersi più di giocare spesso e volentieri di rimessa come accadeva durante la gestione Conte. Con un baricentro così alto, si chiedeva a Dumfries esattamente ciò che non era nelle sue corde: mantenersi alto, cercare il dribbling, l’uno contro uno per creare la superiorità numerica, invece di sfruttare la sua velocità e il suo atletismo per colpire in transizione le difese sbilanciate.
Non è un caso che nelle precedenti due stagioni la manovra dell’Inter risultasse fortemente sbilanciata sul lato sinistro: con una media di 0.55 di dribbling riusciti per partita e una percentuale media di precisione nei passaggi del 73.8% (tentandone però in media la metà rispetto al resto dei compagni), la presenza di Dumfries si traduceva così spesso in un elemento di disfunzionalità nello sviluppo dell’azione piuttosto che in un contributo solido e affidabile. Se poi aggiungiamo a tutto ciò una certa goffaggine, capiamo come mai, soprattutto all’inizio della sua gestione, Inzaghi abbia spesso e volentieri gestito il più duttile e continuo Darmian rispetto all’olandese.
Il suo meglio, infatti, Dumfries lo riusciva a dare quando veniva (raramente) lanciato in campo nella transizione o in quei movimenti da quinto a quinto che, soprattutto grazie alla stagione straordinaria di Ivan Perisic, erano diventati il marchio di fabbrica del primo anno di Inzaghi. Ad ogni modo, è evidente il delinearsi di un contesto difficile, di una collocazione tattica troppo precaria e insoddisfacente che viveva più di fiammate circostanziali che di un approccio ragionato e costante.
È facile capire il crollo di rendimento di Dumfries nella stagione 2022/2023: in un contesto tattico pressoché invariato (se non peggiorato), alle difficoltà preesistenti si sono aggiunti altri fattori, come il drammatico calo fisico tra gennaio e febbraio, le continue voci su una sua possibile partenza, ma, soprattutto, l’emersione di limiti mentali piuttosto evidenti, che non solo rendevano ancora più difficile il suo utilizzo, ma lo portavano troppo spesso a compiere errori tecnici e decisionali banali, di cui l’azione che abbiamo appena raccontato in finale di Champions rappresenta sicuramente l’esempio più importante. E, alla fine, sembrava naturale che il suo gioco non fosse riuscito a evolvere e integrarsi con le esigenze e le necessità del gioco di Inzaghi.
Ma quindi come si è passati allora da questa incompatibilità all’ovazione di San Siro dello scorso 29 ottobre? A essere rigorosi non c’è un solo motivo. Innanzitutto, è innegabile come l’olandese abbia enormemente beneficiato degli arrivi di Pavard e Thuram ma anche di un assetto tattico più vicino alle sue caratteristiche e più consono a sfruttare le sue straordinarie doti atletiche e fisiche.
L’innesto dei due francesi, come abbiamo già avuto modo di vedere, ha radicalmente modificato il modo di attaccare e difendere dell’Inter. Il contributo di Pavard è fondamentale perché fornisce un’importante fonte di gioco sulla destra grazie alla sua qualità d’impostazione. Thuram permette alla squadra di poter tenere un baricentro notevolmente più basso, dando il suo meglio nell'attacco della profondità che si crea così. In questo nuovo contesto, Dumfries si trova pienamente a suo agio: non ha più quei compiti di gestione della palla e di fraseggio con Barella che non riusciva ad assimilare e può finalmente insieme a Thuram sfruttare la sua potenza e velocità per colpire in transizione, come accaduto nel derby di settembre.
Quello che stiamo vedendo è un Dumfries più versatile, meno responsabilizzato in fase di possesso ma sicuramente più coinvolto in fase offensiva: l'olandese continua ad essere, assieme a Thuram, il principale riferimento per i cross dalla sinistra di Dimarco e Bastoni, ma è sempre più spinto ad approfittare degli spazi aperti dal movimento delle punte per accentrarsi e provare il tiro. Sempre dal punto di vista tattico, è molto interessante il ruolo che Inzaghi ha disegnato per lui nelle due partite contro Salernitana e Torino quando, in due frangenti diversi, si è ritrovato a dover giocare sostanzialmente da seconda punta.
L’assenza di Arnautovic e le caratteristiche di Sanchez hanno imposto al tecnico soluzioni alternative per assicurare il giusto turnover per Lautaro e Thuram: la soluzione escogitata è una sorta di attacco a tre, composto da una prima punta a fare da boa e affiancato, di volta in volta, dal terzino olandese sulla destra e dal connazionale Klaassen (o dallo stesso Mkhitaryan) sulla sinistra, lasciando invece il cileno più libero di svariare tra le linee. In questo modo Dumfries può sfruttare la sua fisicità e la sua propensione offensiva andando a riempire l’area di rigore e diventando anche un riferimento grazie al suo gioco aereo.
Come abbiamo visto, quindi, la crescita di Dumfries si colloca all’interno di un contesto sicuramente più funzionale e organico, che lo valorizza facendo passare in secondo piano quei limiti, comunque evidenti, che continua a mostrare. Non renderemmo giustizia all’olandese se però ci limitassimo a questo.
La crescita di Dumfries è stata prima di tutto mentale. È migliorata la sua capacità di lettura della partita in entrambe le fasi; ora mostra più sicurezza nella gestione della pressione avversaria ed è migliorato persino nella coordinazione e nel controllo del corpo. Ma, soprattutto, l'olandese sta mostrando finalmente quella sicurezza e confidenza in sé stesso che tanto era mancata nelle due precedenti stagioni: punta molto di più l’avversario, tenta molto più spesso la giocata, si sovrappone e cerca il cross con più insistenza e, aspetto fondamentale, riesce a gestire meglio la paura di sbagliare, non scoraggiandosi dopo un cross troppo lungo o dopo aver incespicato nel tentativo di un dribbling, ma riprovandoci quando ce n’è la possibilità.
La crescita mentale di Dumfries sta anche in questo: nella capacità di operare sempre più spesso le scelte migliori nel contesto giusto, senza però eccedere né in un senso né nell’altro. La prestazione col Benfica, come quella contro Roma e Milan, offrono ottime testimonianze di questa attitudine. È chiaro che questa nuova maturità può essere considerata, almeno in parte, come la conseguenza di quelle modifiche tattiche che hanno riproposto Dumfries finalmente al centro dell’impianto di gioco, ma non sottovalutiamo l’attitudine del giocatore, che sta dimostrando perfino un’inedita propensione alla giocata decisiva, all’essere clutch.
Contro Monza e Torino, per esempio, ha messo offerto due assist fondamentali per sbloccare due partite insidiose; ha poi segnato contro il Cagliari un gol che ha indirizzto la partita sui binari giusti e, infine, ha sbloccato, con un taglio perfetto, la sfida europea contro il Benfica, sfruttando quella connection tra lui e Thuram che si è poi ripetuta appunto anche contro il Torino. Mai giocate banali e quasi sempre decisive, un bel passo avanti per un giocatore che fino a poco tempo fa non sapeva cosa fare del pallone tra i piedi.
Insomma, la seconda vita di Denzel Dumfries è tra le novità più sorprendenti e piacevoli di questa prima parte di stagione. La sua centralità non è più in discussione, neanche se si prende in considerazione l’infortunio del suo diretto concorrente per il ruolo, Juan Cuadrado. Il ritorno del colombiano (ammesso che possa prima o poi contare su una condizione fisica all’altezza) fornirà certamente un’alternativa valida, una nemesi quasi totale rispetto alle caratteristiche dell’olandese, ma per il modo di giocare che l’Inter sta cercando di sviluppare in questo momento la titolarità di Dumfries non è assolutamente in discussione. La domanda, ora, è se l’attuale livello prestazionale sia solo il merito di un ottimo periodo di forma o se sia la definitiva affermazione di un giocatore dalle caratteristiche uniche in Serie A, la necessità di riadattarsi al ritorno di Darmian in sostituzione dell'infortunato Pavard potrebbe, in tal senso, offrire un test interessante. Come Dumfries riuscirà ad affrontarlo solo il tempo ce lo dirà, ma intanto il giocatore impicciato della finale di Champions sembra davvero un ricordo che appartiene al passato.
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