Il car-jitsu è esattamente quello che sembra
Quanto è difficile il combattimento corpo a corpo dentro un'utilitaria?
Il jiu-jitsu o jujutsu – come viene chiamato in giapponese – è di per sé un’arte marziale piuttosto strana a vedersi per un osservatore casuale: si usano calci e pugni, bastoni e coltelli, ma soltanto nella fase iniziale del combattimento. Il fulcro intorno a cui ruota la lotta sono finte e prese (nage-waza), che permettano di sfruttare la forza cinetica dell’avversario, indipendentemente dalla potenza del proprio corpo. Dalle prese si passa poi fase di combattimento a terra, il cosiddetto grappling, nel quale l'obiettivo è immobilizzare l'avversario al suolo (osae-komi) o costringerlo alla resa tramite leve articolari (kansezu-waza) o strangolamento (shime-waza).
Il jiu-jitsu nasce nel XV secolo come arma di difesa personale dei bushi (“guerrieri”) per difendersi da nemici più grossi e possenti. Il suo nome significa letteralmente “tecnica flessibile” e fonda i propri principi nell’antico motto “il morbido vince il duro”, un concetto non lontano dal confuciano “la verde canna che si piega nel vento è più forte della potente quercia che si spezza nella tempesta”.
Una derivazione di grande successo del jiu-jitsu è il jiu-jitsu brasiliano (d’ora in poi, BJJ), nato dall’iniziativa di Mitsuyo “Otavio” Maeda, console giapponese tra il 1914 e il 1941, pioniere e grande promotore del judo nonché dell’immigrazione nipponica in Brasile, la cui biografia merita un articolo a sé stante. La principale differenza tra il jiu-jitsu tradizionale e la sua versione giapponese – in realtà più vicina al judo, che è a sua volta una derivazione del jiu-jitsu – è che quest’ultimo si concentra su lanci e leve articolari, mentre il BJJ si concentra sulle prese di sottomissione e sul combattimento a terra. Per quanto le regole su cosa sia consentito e cosa no siano molto chiare, spesso gli incontri di BJJ si tramutano in pochi attimi in nodi inestricabili di braccia e gambe in cui persino atleti esperti, da fuori, fanno fatica a comprendere esattamente cosa stia succedendo sul tatami.
Un giorno del lontano 2019, un lottatore russo di nome Vik Mikheev, cintura nera di judo e BJJ e attivo anche nel giro del sambo e dell’MMA, decise che la confusione delle prese a terra in palestra non era sufficiente. Serviva qualcosa di più estremo, ancora più folle e confuso, che allo stesso tempo però avesse un’utilità pratica – non dimentichiamoci che il jiu-jitsu è una nobile arte di difesa personale – e che fosse abbastanza catchy per raccogliere sponsor e organizzare grandi tornei. Dal momento che i combattimenti nel fango e quelli su tappeti elastici e gonfiabili saponati erano già stati presi, Mikheev decise di ripiegare su qualcosa di semplice e alla portata di tutti: l’automobile che aveva parcheggiata in garage. Da questa trovata geniale, nasce lo sport di cui ci occuperemo nella sportellata odierna: il car-jitsu.
Il car-jitsu è esattamente quello che sembra: un incontro di jiu-jitsu brasiliano, che, anziché su un tatami, si combatte all'interno di una macchina, per fortuna parcheggiata. Per quanto sembri un’idea stupida (e sinceramente lo sembra anche a chi scrive!) il car-jitsu sta riscuotendo sempre più successo, attirando folle di curiosi ma anche un pubblico esperto. Non si tratta, comunque, di un progetto amatoriale ma di un vero e proprio circuito con regole precisi, arbitri ufficiali, campioni e cinture e i cui incontri sono filmati da operatori video professionisti. I lottatori possono indossare il gi (quello che noi poco esperti chiamiamo ignorantemente “kimono”) oppure una tuta da lotta libera e hanno il diritto di utilizzare qualsiasi cosa si trovi nell'auto purché non venga usata come oggetto contundente, ma rimanendo nel confine regolamentare di prese, leve e sottomissioni varie.
Come molti altri sport di combattimento assurdi (tra i tanti, una menzione speciale va al phone boot fighting) è nato in Russia, inizialmente nel giardino davanti casa di Vik Mikheev, per poi spostarsi in palestre e persino locali, in cui ring, ottagono o tatami vengono sostituiti da un'auto decappottabile. Inizialmente, l’auto era una berlina di proprietà di Vik, ma da quando il pubblico si è allargato e osserva da distante, si è saggiamente ritenuto di cambiare il mezzo con uno privo di tettuccio, così che si riuscisse a vedere qualcosa anche dall’esterno. Purtroppo, per ora non sono a conoscenza di eventi organizzati fuori dalla Russia, ma dato il successo che questo sport sta riscuotendo su YouTube (oltre due milioni di visualizzazioni), immagino che sia una questione di tempo prima che il torneo ufficiale o qualche suo spin-off faccia capolino negli Stati Uniti e in Europa.
Come dicevamo, il progetto di Vik Mikheev è nato in Russia nel 2020, per la precisione durante i primi mesi della pandemia, quando in quasi tutto il mondo erano in vigore diversi tipi di lockdown. La sua idea originale era quella di sviluppare un tipo di combattimento che consentisse agli di utilizzare le tecniche del BJJ all'interno di uno spazio ristretto, come quello in cui si trovavano costrette miliardi di persone. Inoltre, sostiene non a torto Mikheev, il jiu-jitsu è nasce per la difesa personale e, nel mondo contemporaneo, saper combattere all'interno di un’automobile ha applicazioni utili nel mondo reale. Non a caso, anche Rener Gracie – ultimo esponente di una dinastia di judoka tra i più conosciuti allenatori al mondo – ha inventato qualcosa di simile e lo ha proposto in uno dei suoi video di qualche anno fa.
Come funziona un match di car-jitsu? Attualmente, come dicevamo, il Car Jitsu Championship si è spostato da una vecchia macchina parcheggiata con i finestrini aperti a una più presentabile un'auto decappottabile posizionata al centro di una palestra, di un locale o di un luogo adatto all’uso. Gli arbitri sono rimasti due (uno su ciascun lato dell'auto) e monitorano molto attentamente tutto ciò che succede, facendo sostanzialmente ciò che di solito fanno gli arbitri in questo tipo di sport: controllare che non ci siano irregolarità e stabilire la fine del combattimento.
Le regole sono piuttosto semplici: entrambi i contendenti partono seduti sui sedili anteriori e si scambiano posto tra un round e l’altro. I round totali sono due, ognuno lungo tre minuti. I punti si assegnano quando si ottiene il controllo della schiena dell’avversario (4 punti) o una sottomissione con il ginocchio sul busto (due punti). L'obiettivo, come al solito, è quello di sottomettere completamente l’avversario tramite leva articolare, sottomissione o strangolamento. Se dopo due round nessuno si è arreso e i punti sono pari, i combattenti si spostano sui sedili posteriori per una “bella” di quattro minuti.
Tutto ciò che si trova all'interno dell'auto – ci tengo a ribadire - comprese cinture di sicurezza, volante, specchietti, poggiatesta e braccioli, può essere utilizzato per sottomettere/fare leva/strangolare. La chiave per vincere, a differenza dei combattimenti tradizionali, è l’uso creativo dell'ambiente, un concetto fondamentale dell’autodifesa in real life, molto caro a Vik Mikheev. Gli atleti che gareggiano nel car-jitsu, a quanto pare, allenano intensamente (lo faranno nella loro auto o ne avranno una apposita, magari in una palestra) mosse e tattiche sia offensive che difensive molto diverse a seconda se si trovino sul posto del guidatore o del passeggero o addirittura sui “comodi” sedili posteriori.
A quanto si legge, le cinture di sicurezza sono l'arma preferita da tutti nonché la più efficace per portare a casa la vittoria. Anche lo stesso inventore della disciplina ha detto così a grapplinginsider.com: “la cintura di sicurezza è molto efficace. È molto comoda, anche più delle giacche che si usano di solito. Se blocchi qualcuno con la cintura puoi tirarla a lungo. Inoltre, sai sempre esattamente dove si trova”. Anche i telai dei finestrini sembrano un’arma piuttosto efficace, usati per potenziare le sottomissioni o per darsi una leva migliore per sparare nel cosiddetto strangolamento triangolare.
Persino l'uso dello spazio sotto il volante, tra i sedili o sopra il cruscotto è fondamentale, perché ovviamente c’è ben poco spazio per muoversi e cominciare occupando le zone giuste è un grande passo verso la vittoria. Chi domina lo spazio e riesce a posizionarsi al di sopra, ha sempre maggiori possibilità di sottomettere l’avversario. Inoltre, quando i combattimenti si svolgono in auto “normali”, non decappottabili, anche i livelli di ossigeno giocano un ruolo importante.
Dalle notizie trovate nel mai noioso mare dell’internet, comunque, i russi non si sono fermati ad attendere pazientemente che il car-jitsu arrivi al successo globale che, chiaramente, meriterebbe, ma stanno già lavorando a sue nuove declinazioni mediatiche. Ad oggi, il Car-Jitsu Championship ha già organizzato un torneo in cui star femminili del cinema per adulti hanno combattuto tra di loro (cringe si può dire?). Un’altra possibile evoluzione, un po’ più seria e meno sessista di quella delle pornoattrici, è il car-MMA. Penso possiate immaginarvi da soli di cosa si tratti.
Questo articolo è uscito originariamente nel su Catenaccio, la newsletter di Sportellate. Per ricevere Catenaccio gratuitamente o leggere i numeri arretrati, puoi cliccare qui.
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