4 domande (e risposte) sui mondiali 2030
La stranissima assegnazione dei mondiali 2030 ha sollevato parecchie domande. Abbiamo provato a rispondere alle principali.
Dopo la stranissima assegnazione del Campionato Mondiale di Calcio FIFA 2030 al sestetto tricontinentale Spagna-Portogallo-Marocco-Argentina-Uruguay-Paraguay e alla candidatura dell'Arabia Saudita per ospitare l'edizione 2030, milioni di calciofili si sono trovati - di nuovo - a grattarsi la testa cercando di capire cosa stiano combinando Infantino e i suoi. Dopo lo scandaloso mondiale in Qatar, l'allargamento del torneo a ben 48 nazionali già dalla prossima edizione, l'introduzione di un nuovo mondiale per club e la proposta di un mondiale ogni due anni pare che la FIFA sia dedicando tutte le proprie energie a trasformare il massimo torneo calcistico per budget e prestigio in senso sempre più grottesco. Parlando con amici e con la redazione di Sportellate, ho cercato di raccogliere le domande e i dubbi più diffusi sulle prossime edizioni del Mondiale e ho cercato di rispondere in maniera concisa ma esauriente:
Perché la FIFA ha cambiato il format dei mondiali, aumentando il numero dei partecipanti a 48 squadre?
Come probabilmente molti di voi sapranno già, dall’edizione 2026 i mondiali di calcio sarà un torneo extra-large a 48 squadre, di gran lunga la competizione di alto livello più affollata di sempre. Le nazionali saranno organizzate in dodici gruppi da quattro squadre l’uno, dai quali passeranno ai sedicesimi di finale le prime due classificate di ogni girone e le otto migliori terze. Secondo la FIFA, questa nuova struttura renderà più avvincente la prima fase del torneo e molto più improbabile organizzare il famigerato “biscottone” all’ultima giornata. Tutto ciò dovrebbe portare a una competizione più avvincente, quindi più vendibile, quindi portare più soldi nelle - già stipate all’inverosimile - casse della Fédération. Tutto plausibile e verosimile, ma è chiaro a chiunque abbia seguito l’evoluzione della FIFA che in ballo - come sempre - ci siano questioni di potere e di organizzazione interna.
Infantino, seguendo il sentiero già tracciato da Blatter, lavora da anni per consolidare il proprio consenso tra le federazioni calcistiche “minori” - principalmente africane, asiatiche e centroamericane - che, pur contando poco nell’economia del calcio giocato, hanno un peso enorme nell’assemblea FIFA: 142 voti contro i 65 di Europa e Sud America. L’allargamento a 48 squadre significa più possibilità di partecipazione per le nazionali “minori”, che a sua volta significa più risorse per le federazioni locali e più visibilità (oltre che, molto spesso, più soldi intascati dai dirigenti federali) e il tutto si traduce in più voti allineati al volere di Gianni Infantino in opposizione al blocco UEFA-CONMEBOL.
Perché c’è una tendenza a ospitare i mondiali (e in generale i grandi tornei per nazionali) in più paesi?
Fino a Corea del Sud-Giappone 2002, non era mai accaduto che un Campionato del Mondo fosse organizzato da due nazioni diverse. Discorso simile per gli europei, che fino a Paesi Bassi-Belgio del 2000 si sono sempre svolti sotto un’unica bandiera, ma da quel momento in poi hanno preferito la strada della condivisione: Austria-Svizzera 2008, Polonia-Ucraina 2012, Europa 2020, UK-Irlanda 2028, Italia-Turchia 2032. Anche CAF e AFC hanno sperimentato, con minore successo, questa formula (Indonesia-Malesia-Vietnam-Thailandia 2007; Ghana-Nigeria 2000 e Gabon-Guinea Equatoriale 2012). Cosa spinge, quindi, due o più paesi a dividersi gli oneri e gli onori di ospitare una Coppa del Mondo di calcio?
In primis, il fatto che il rapporto tra oneri e onori è assolutamente sconveniente: se gli onori (principalmente visibilità internazionale) sono quasi esclusivamente intangibili e in potenza (possibili futuri aumenti di flussi turistici, ecc.), gli oneri sono estremamente concreti: realizzazione di stadi e centri d’allenamento (per il 2030 erano richiesti quattordici stadi all’avanguardia da almeno 40mila persone l’uno), infrastrutture turistiche, enormi investimenti sulla sicurezza, abbellimento delle città ospitanti, marketing, consulenze e tanto altro. Delle ultime 14 edizioni dei mondiali, soltanto Messico 1986 e Russia 2018 hanno ottenuto qualche (misero) guadagno mentre in tutti gli altri casi le spese sono state maggiori dei ricavi per diversi miliardi di dollari. Soprattutto, mentre le spese di organizzazione ricadono sul paese ospitante, gran parte dei ricavi vanno nei caveau di Zurigo. Una formula perfetta: gli stati pagano, la FIFA incassa.
Perché i mondiali 2030 saranno divisi in sei paesi, tre su un continente e tre su un altro, a 6000km di distanza, con un oceano di mezzo?
Per l’organizzazione del Campionato del Mondo esiste una “regola della rotazione” per cui una confederazione non può ospitare due tornei consecutivi. A questa si aggiunge una regola non scritta interna alla FIFA, ovvero che la UEFA ha il diritto di ospitare almeno un mondiale ogni tre. Considerando che le edizioni 2022 e 2026 sono assegnate rispettivamente ad AFC e CONMEBOL, quella del 2030 era sostanzialmente un assegnazione decisa in privato a Nyon. Tra le pretendenti c’era l’Inghilterra, che però dopo diverse sconfitte ha preferito candidarsi come Regno Unito, insieme all’Irlanda, per EURO'28.
Gli unici altri candidati forti erano Spagna e Portogallo, che avevano già una candidatura pronta “avanzata” dal 2018, a cui – dopo una prima ipotesi Ucraina – è stato offerto di aggiungersi al Marocco; un win-win per tutti: il coinvolgimento di Rabat ha aggiunto 54 voti CAF alla candidatura; ha dato quel tocco esotico e “inclusivo” al mondiale mantenendo al contempo un legame geografico, storico e culturale tra i tre paesi ospitanti; ha escluso dai papabili ospiti del 2034 un intero continente che, per quanto malato di calcio, non si è ancora ripreso dal trauma socio-economico di Sud Africa 2010. Una candidatura perfetta sotto ogni punto di vista.
Al contempo, però, la FIFA vorrebbe aggiungere un po’ di narrativa al torneo, anche per darsi un’immagine un po’ meno cinica e asettica di come sia oggi. Se non ve ne foste resi conto, nel 2030 si festeggerà il centenario dalla prima Coppa Rimet, giocata un secolo prima in Uruguay. Una prima idea era quella di rigiocare i mondiali proprio lì, ma è stato immediatamente chiaro che sarebbe stato impossibile organizzare un evento del genere in un paese in cui vivono più capi di bestiame che esseri umani. Così, la COMENBOL ha proposto una candidatura congiunta: Argentina, Cile, Uruguay e Paraguay, ma anche in questo caso c’era un problema enorme: nessuno dei quattro paesi ha un singolo stadio che rispetti gli standard FIFA, né tantomeno soldi da investire per costruirne o ristrutturarne quattordici.
Che fare? Chi scegliere? UEFA e COMENBOL, è importante sapere, hanno da sempre rapporti strettissimi, che si sono rinsaldati nell’ultimo periodo, da quando la FIFA ha diretto molte delle sue attenzioni alle economie in crescita di Africa e, soprattutto, Asia. Le Confederazioni europee e sudamericane hanno firmato un primo memorandum d’intesa nel 2020 e, due anni dopo, hanno creato una vera e propria partnership che dovrebbe durare almeno fino al 2028 (ricordate la Finalissima? Oltre a quello ci sono programmi di sviluppo dei giovani e degli arbitri, uffici in comune a Londra e altre cose che preoccupano la FIFA). Queste ottime relazioni hanno portato al compromesso reso pubblico la settimana scorsa: mondiale in sei paesi, in cui Argentina, Paraguay e Uruguay ospiteranno la cerimonia d’apertura e soltanto una simbolica partita a testa delle rispettive nazionali. La prima, ovviamente, si giocherà all’Estadio Centenario di Montevideo – là dove tutto ebbe inizio.
Perché si dice che questa scelta per il 2030 sia un regalo all’Arabia Saudita?
Dato che i Mondiali del 2030 si svolgeranno da tre continenti e tre confederazioni - CAF, UEFA, CONMEBOL - e una quarta, la CONCACAF, organizzerà quelli del 2026, a causa della già menzionata regola di rotazione le uniche confederazioni a potersi candidare per il 2034 sono quella asiatica (di cui fa parte anche l’Australia) e quella dell’Oceania, di cui fanno parte Nuova Zelanda e altri dodici stati insulari del Pacifico. Certo non si può affermare che la scelta di ampliare la candidatura ad Africa e Sud America sia creata ad hoc per stendere un tappetto rosso all’unico paese asiatico che ha dimostrato interesse, ovvero l’Arabia Saudita - già candidata per il 2030, l’anno di compimento del programma strategico “Saudi Vision 2030”, insieme a Grecia ed Egitto - ma, senza fare processi alle intenzioni, prendiamo atto che questa è una conseguenza fattuale del mondiale tricontinentale.
Non a caso, Riad si è candidata ufficialmente nemmeno due ore dopo la scelta di Spagna-Portogallo-Marocco-Argentina-Uruguay-Paraguay per il 2030. Non solo si è candidata, ma si è candidata da sola e senza avversari all’orizzonte: L’Australia, realisticamente unica possibile candidata (magari in coppia con la Nuova Zelanda o con il trio Indonesia-Malesia-Singapore, come si vocifera in questi giorni) dopo la bruciante e ingiusta “sconfitta” per il 2022, non ha ancora avanzato alcuna proposta ufficiale e ha tempo soltanto fino al 31 ottobre.Per non rischiare che l’esclusione dei competitor più temibili non fosse ritenuto un gesto sufficientemente benevolo da parte di Mohamed Bin Salman, la FIFA ha preferito andare sul sicuro decidendo di allentare il regolamento sugli stadi.
Se per i tornei 2026 e 2030 FIFA richiedeva ai paesi candidati rispettivamente sedici e quattordici stadi da almeno 40’000 posti, di cui almeno otto/sette già esistenti, dopo l’ultima assegnazione la regola è cambiata e gli stadi già costruiti devono essere soltanto quattro: esattamente quelli che l’Arabia Saudita ha in costruzione e/o in ristrutturazione per la Coppa d’Asia 2027. Una decisione che, tralasciando l’opportunità di cucire una candidatura al mondiale su misura per il progetto di sportwashing dell’Arabia Saudita, risulta comunque assurda se si guarda alle scelte di sostenibilità a cui si stanno orientando tutti i grandi eventi sportivi e non, lezione che la FIFA avrebbe dovuto imparare dopo i disastri di Sud Africa 2010. Basti pensare che il CIO ha dichiarato che il 95% delle strutture utilizzate per Parigi 2024 saranno strutture preesistenti ristrutturate, o di come la UEFA abbia avviato una partnership con Deutsche Bahn - la Trenitalia tedesca - per promuovere gli spostamenti in treno durante Euro 2024.
Questo articolo è uscito originariamente nel su Catenaccio, la newsletter di Sportellate. Per ricevere Catenaccio gratuitamente o leggere i numeri arretrati, puoi cliccare qui.
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