Istantanee da Galatasaray-Besiktas
Che ci mostrano quanto è eccitante il Galatasaray.
"Erasmus" è la rubrica del lunedì in cui vi raccontiamo una partita interessante dal weekend di calcio internazionale. La 9° giornata di Süper Lig ci ha ipnotizzato grazie a Galatasaray-Beşiktaş. Potete recuperare gli episodi precedenti qui.
Istanbul è nata nel 667 a.C., secoli prima che il calcio venisse anche solo concepito. La diffusione capillare del pallone non conosce confini, ma ha alcuni luoghi dove l'ossessione e la passione raggiunge il culmine. La maggior parte delle capitali ha il cuore calcistico diviso in due anime, ma alcune fanno eccezione.
Città del Messico ha 3 squadre in Liga MX, Teheran altrettante nella Persian Gulf Pro League, stesso numero per Bogotà nella Categoría Primera A colombiana. Rio de Janeiro 4 nel Brasileiro, Mosca 4 nella Prem'er Liga e Riyadh 4 nella Saudi Pro League. Lima arriva a 5 nella Liga 1 peruviana. Santiago del Cile con 6 in Primera División sfiora l'accoppiata Buenos Aires-Londra, che con 7 squadre nel massimo campionato nazionale raggiungono un livello inconcepibile per gli standard razionali del campanilistico e frammentato panorama italiano.
La Süper Lig turca estremizza questo concetto: su 20 squadre ne annovera 8 di Istanbul. Pendikspor, Kasımpaşa, İstanbulspor, Başakşehir e Fatih Karagümrük, sommati, hanno ottenuto 1 solo titolo nazionale, quello della squadra legata a doppio filo al presidente Erdogan nel 2020 - alcuni nomi del Başakşehir di quell'anno, anche se non richiesti: Gaël Clichy, Arda Turan, Eljero Elia, Demba Ba, Martin Škrtel, Robinho e Gökhan Inler. Sulla sponda asiatica del Bosforo sono le maglie e le sciarpe del Fenerbahçe a dominare, mentre da quella europea c'è un'ulteriore divisione.
Galata e Beşiktaş non sono quartieri confinanti, separati da una decina scarsa di km, eppure Galatasaray-Beşiktaş è il derby turco più antico, radicato nelle strade senza ponti da attraversare o canali da navigare a nuoto o in traghetto. Galata in particolare ha un rapporto simbiotico col calcio: Galatasaray, letteralmente Palazzo di Galata, è il nome del liceo della cittadella medievale genovese a nord del Corno d'Oro i cui studenti – attratti dall'arrivo di cittadini inglesi e italiani e con loro dei palloni in cuoio –fondano nel 1905 una polisportiva fortemente incentrata attorno alla sezione calcistica. Ancor più lontana nel tempo è la nascita del Beşiktaş J.K., più antica società sportiva dell'allora Impero Ottomano (1903), le cui due squadre di calcio decidono di unificare le forze nel 1911 per creare l'attuale BJK.
Dopo annate complicate e stagnanti, questa sembra la prima in cui il calcio turco raccoglie i primi dividendi di una rinnovata attrazione nel panorama calcistico europeo, non essendo più un mero cimiteri degli elefanti ma un campionato nel quale lanciarsi e rilanciarsi ai massimi livelli. Il derby è tra Aslanlar e Kara Kartallar, Leoni e Aquile Nere, seconda e quarta in Süper Lig. Il Beşiktaş arriva da 3 sconfitte consecutive alla Türk Telekom Arena, 4 nelle ultime 5, con l'ultima vittoria risalente al febbraio 2017 –Bruma-Podolski-Snejder e Babel-Talisca-Quaresma i due tridenti titolari dell'occasione – e ci arriva alla seconda gara sotto la guida di Burak Yılmaz, icona del Gala da giocatore e promosso ad interim sulla panchina bianconera in seguito all'esonero di Şenol Güneş.
La Türk Telekom Arena ci mette giusto qualche secondo per entrare in clima partita, tra il silenzio tombale che precede il primo squillo di tromba della banda che esegue l'inno nazionale turco in onore del 100° anniversario della Repubblica con le squadre schierate in campo e la valanga di fischi che ricopre Rashica al 12° secondo di gioco. 12" per costituire un sottofondo eterno, un gorgoglio perpetuo e assordante nel suo non conoscere pause né picchi. Timo Werner, allora bersaglio delle attenzioni dagli spalti in quanto stella emergente del RB Lipsia era stato costretto a uscire, nel settembre 2017, al 32' del primo tempo della trasferta di Champions in casa del Beşiktaş nonostante i tappi nelle orecchie a causa delle vertigini causate dal pubblico costantinopolitano. Milot Rashica dura gli stessi 32' dell'attaccante tedesco prima di venir tolto da Burak Yilmaz. I motivi, stavolta, non sono però né circolatori né auricolari.
Il Galatasaray approccia la partita come solo una squadra da 14 vittorie e 3 pareggi sin qui in stagione potrebbe fare, con la sicurezza psicologica e l'arroganza tecnica dell'esperienza di gruppo e individuale vincente. Le Aquile Nere cercano di risalire il campo nell'unica maniera che il Galatasaray potrebbe concedere, ossia con gli scambi rapidi sugli esterni per battere il campo alle spalle di uomini di fascia che tutto sanno fare in maniera eccellente ad eccezione di tutte le richieste difensive, sia in chi potrebbe anche degnarsi di farlo ma ha altre ambizioni su un campo di calcio (Tetê a destra e Zaha a sinistra) sia in chi teoricamente dovrebbe farne il suo pane ma è schierato sul terreno perché troppo forte fisicamente o tecnicamente per stare in panchina (Boey a destra e Angeliño a sinistra).
Le connessioni Zaynutdinov-Rashica e Rosier-Ghezzal funzionano discretamente, Hadžiahmetović è il centrocampista che ogni allenatore sognerebbe di avere se si è costretti a giocare sotto pressione ma, contro questo Galatasaray, il Beşiktaş funziona solo in teoria.
I giallorossi praticano un calcio di posizione basato sull'iperattività di Torreira nella fascia centrale. La costruzione vede costantemente uno tra l'ex Fiorentina e Kaan Ayhan abbassarsi sulla linea dei centrali - tra gli stessi o come esterno della linea a 3 così formatasi - per tutti gli altri giocatori di movimento ad esclusione di Icardi di trovare disordinatamente gli spazi nel blocco medio costituito da Burak Yilmaz. È sufficiente il movimento di un'unica pedina per dare scacco matto alla pressione dei bianconeri: le distanze da coprire alle spalle della retroguardia ospite sono infinite.
Il Beşiktaş ha pure il tempo di prendere un palo su una punizione dalla trequarti esterna di Ghezzal che, venendo solo sfiorato da Tayfur Bingöl, grazia un Muslera colto nella terra di mezzo dell'area piccola, ma tutto il resto è a tinte leonine. Tetê scombina i piani di qualsiasi pressing sulle sue ricezioni spalle alla porta con una sensibilità nel controllo orientato e nel dribbling da nazionale brasiliana; Zaha ha la carrozzeria di una macchina ben più cilindrata degli effettivi cavalli del motore, che permette a chi naviga nei paraggi di poter solo rimbalzare lontano per via dell'onda d'urto; Aktürkoğlu è tuttocampista dall'estetica fuori dal tempo, che sembra ancora tutto da scoprire un'azione e antico l'azione successiva.
Ayhan di testa su punizione; Zaha che si addormenta solo davanti a Günok; Tetê che si diverte a illudere Zaynutdinov di poter riconquistare il possesso solo per sbagliare la più banale delle cose dell'azione personale iniziata a metà campo, il tiro a giro con tutta la porta scoperta; Aktürkoğlu che arriva puntuale a rimorchio ma apre troppo l'interno del destro dal limite dell'area. La squadra di Buruk pare saper fare tutto benissimo tranne una cosa, segnare. Per sua fortuna ha un attaccante che pare saper fare tutto malino tranne una cosa, segnare.
L'appoggio di Ayhan sull'ennesima pressione uomo su uomo ben eseguita dal Galatasaray è preciso, calibrato per permettere uno stop e decidere il da farsi spalle alla porta appena dentro l'area di rigore avversaria. Mauro Icardi non colpisce il pallone, lo incoccia per sbaglio. Forse voleva fare da sponda per Tetê ma, se avesse voluto davvero farlo, avrebbe sbagliato la direzione di almeno una decina di metri. Una giocata sbagliata, in tutto e per tutto, ma proprio per questo imprevedibile e imprevista. La sfera rimbalza sulla gamba destra di Colley, che sarebbe dove dovrebbe essere se succedesse tutto secondo la logica.
Quando Icardi, un pallone di cuoio e l'area di rigore si incontrano, però, è un matrimonio mistico, che sfugge al controllo della ragione. Come se quel tocco di testa non fosse un'esecuzione tecnica superficiale ma fosse una tavoletta del calcio balilla mascherata, utile solo a sistemarsi meglio la palla per tirare nella maniera più spietata e crudele per la difesa di fronte a te, in un battito di ciglia Icardi (si) è messo nelle condizioni ideali per fare l'unica cosa che sa fare benissimo. Segnare.
Nemmeno mezz'ora di gioco e il Beşiktaş ha ricevuto la prima lezione della filosofia icardiana, che ti porta a dover pensare in una maniera differente quando l'argentino si avvicina alla porta avversaria. Ci vogliono più minuti dei 2 che intercorrono tra il vantaggio del Galatasaray e il retropassaggio sconsiderato di Rosier per assimilarla, e le ripercussioni sono fatali. Icardi si avventa sul passaggio morbido, anticipa l'uscita disperata di Günok e solo il recupero di Amartey impedisce a Zaha di raddoppiare. Il VAR richiama però Meler al monitor: l'estremo difensore delle Aquile Nere ha toccato con il braccio sulla scivolata, e lo ha fatto oltre il limite della propria area. Espulsione e cambio obbligato per Yilmaz. A fare spazio a Destanoğlu è Milot Rashica, Stesso minuto del Werner di 6 anni fa, stesso sollievo per le orecchie del kosovaro.
Fino a metà secondo tempo il leitmotiv non varia: transizioni da una parte e dall'altra, con quelle del Beşiktaş irretite dall'inferiorità numerica e quelle del Galatasaray dall'imprecisione di tutti i 9 giocatori di movimento non argentini; controlli infiniti al VAR, anche per situazioni che stando al protocollo non dovrebbero competere ai videoassistenti ma che, in una gara a-protocollare, poco senso avrebbe gestire canonicamente. La lunghezza infinita tra i reparti di entrambe non mutano con le sostituzioni a inizio ripresa: Masuaku e Oxlade-Chamberlain ridisegnano la sinistra delle Aquile Nere, mentre Barış Alper Yılmaz e Mertens stringono le maglie della trequarti giallorossa attorno ad Aktürkoğlu.
I cambi di Buruk non sortiscono effetto, quelli di Yilmaz sì: le catene laterali del Galatasaray sono le ideali predilette per qualsiasi squadra di EA FC 24, dove non compete alle dita sui tasti e le levette del joystick e agli attributi di base dei giocatori tutte quelle marcature preventive, letture di copertura della profondità e gestione dei contatti nelle corse all'indietro. A differenza della realtà virtuale, nella realtà reale non esiste ancora un'IA che sbriga tutto ciò che troppo faticoso e banale risulta per la leggerezza dell'animo umano: 3 passaggi bastano al Beşiktaş per pareggiare. Il cross di Rosier è il quarto tocco in area di rigore avversaria nel giro di 69', il destro di prima di Oxlade-Chamberlain è il quinto, ma quel che conta è l'1-1 sul tabellone.
Per una squadra incapace a gestire e controllare, poca differenza c'è tra una situazione di gioco o punteggio e un'altra. Il Galatasaray si sbilancerebbe ed esalterebbe la Türk Telekom Arena sia sotto che sopra nel punteggio, sia al calcio d'inizio che al fischio finale. Nonostante il pareggio arrivato troppo facilmente per una squadra imbattuta in stagione e in piena corsa per il superamento del girone di Champions League, la lancetta dei secondi non fa in tempo a compiere un giro completo dall'ingresso in campo di Cedric Bakambu che la campanella della seconda ora di lezione di filosofia icardiana trilla tonante.
Il naturalizzato congolese si guadagna una punizione sulla trequarti esterna, Aktürkoğlu pennella, Torreira anticipa l'arretramento della linea e spizza sul braccio largo di Hadžiahmetović. Meler indica subito il dischetto, ma deve aspettare che il quarto controllo al VAR della gara confermi una decisione lapalissiana. Il resto del cast predispone, crea suspense, architetta e decora tutto. Tutto, tranne una cosa, segnare. Chi se non Mauro Icardi sul dischetto per aprire il piatto alla sinistra di Destanoğlu per il 2-1.
In seguito a un pestone, Icardi trascorre tutti gli 8' di recupero camminando, lasciando sostanzialmente i suoi in 10 per i minuti conclusivi. Entrano Demirbay e Ndombelé a rinfoltire il centrocampo del Galatasaray, tenuti in panchina fino al momento solo per la regola della federazione turca che limita a 8 il numero di stranieri contemporaneamente in campo con la stessa maglia. Col sesto pallone toccato in area della partita, Ante Rebic piazza un cross che un Rosier giusto un pizzico meno esausto dai km solcati sulla fascia avrebbe appoggiato alle spalle di Muslera invece di scivolare qualche centimetro prima che il destro incontri la traiettoria infida del filtrante del croato. Come se il potere dell'ultimo triennio nell'Istanbul europea non possa concepire un Galtasaray-Beşiktaş che non finisca 2-1. Come se fosse la conferma di un assioma, di un dogma filosofico, valido da secoli prima che il calcio venisse anche solo concepito.
Extra Time
(Tutto quello che non si è visto ma che non è passato inosservato)
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