La Sampdoria di Pirlo è un disastro
La stagione della Sampdoria è partita in maniera terribile e il suo allenatore sembra il primo responsabile.
Andrea Pirlo è, tra tutti gli addetti ai lavori nel mondo del calcio italiano, quello che forse più di ogni altro viene immediatamente associato all’idea di tranquillità. Pirlo evoca calma, tranquillità, senso di confortevole sicurezza in ogni suo aspetto. Lo evocava tanto nelle giocate – la sua sublime capacità di dirigere le squadre, il suo controllo del pallone, i suoi passaggi mai imprecisi – quanto nell’aspetto e nel modo di fare.
L’occhio sornione dietro al ciuffo, l’espressione imperturbabile ma apparentemente intorpidita del suo viso, la parlata lenta e suadente, hanno creato un vero e proprio filone memetico sull’ex regista di Milan e Juventus. Forse, è per questo che ha scelto Genova e la Sampdoria per provare a rilanciarsi nel calcio italiano: una città grande ma tranquilla, sdraiata in riva al mare, troppo occupata a pensare ai tempi che furono – alla sua perduta vivacità fatta di fabbriche, marinai e cantautori – per avere fretta.
Una squadra famosa in Italia per la quasi totale assenza di pressioni ambientali, per una tifoseria “comprensiva” ed esigente più nello stile di gioco e di comportamento che negli aridi risultati. La Genova calcistica, raccontano quelli che ci sono passati, è un po’ un mondo a sé. I Liguri, gente riservata e dai modi un po’ bruschi, difficilmente ti fermano per strada, nemmeno per un autografo o per un selfie. Al massimo un cenno col capo che sottintende la classica frase: "mi raccomando domenica".
Il centro di allenamento di Bogliasco non fa che confermare quest'idea di tranquillità. Per la sua posizione, consente di evitare quasi totalmente il caos cittadino ed è per questo che la maggior parte degli allenatori e dei giocatori sceglie di vivere direttamente in paese o, al più, tra Nervi e Pieve Ligure. Zone verdi ed eleganti dove, per lo stesso prezzo di un appartamento a City Life, si può vivere in un castello con giardino e piscina a picco sul mare. Il tutto ad una distanza di massimo 10 minuti di auto dal posto di lavoro.
Probabilmente, dopo l’esperienza frullatore alla Juventus, tutto questo era esattamente quello che Andrea Pirlo stava cercando: la possibilità di ripartire con un progetto nuovo, fresco, giovane, appena rinato dopo il fondato timore di un fallimento. Una sistemazione in cui le pressioni non fossero soverchianti, ma che al contempo offrisse gli stimoli giusti. Alla Samp, di certo, questi non mancano: una società storica da riportare in Serie A, una tifoseria calda e numerosa da accontentare, molti giovani interessanti da formare e lanciare tra i "grandi" plasmandoli alla propria idea di calcio. Lo stesso Pirlo ha detto, in una recente intervista, che la società non gli ha chiesto dei risultati immediati. In un certo senso, questo si può anche desumere dal fatto che la sua panchina fino ad ora non è mai sembrata in bilico nonostante i pessimi risultati.
Il rapporto con la piazza
Tuttavia, le cose stanno andando molto diversamente da come ci si aspettava e Pirlo – per quanto il suo aplomb non sia mutato di una virgola – non sembra essere riuscito a trovare quell’equilibrio professionale a cui ambiva. Non è certo cambiato il giudizio sulla città di Genova, sulla Sampdoria e sulle pressioni ambientali rispetto a quanto scritto sopra, ma qualcosa sembra essere andato storto fin dal principio. La tranquillità dell’ex Juve non sembra essere più quella che conoscevamo, nonostante il suo viso resti imperturbabile. Dopo il fischio finale della sconfitta casalinga contro il Catanzaro (quarta consecutiva a Marassi e quinta in otto partite di campionato) e il virtuale ultimo posto in classifica in Serie B, persino la Gradinata Sud – cosa assai rara – ha comprensibilmente coperto la squadra di fischi.
In quell’occasione, l’ex Juve è stato protagonista di un gesto (anzi, di un gesto mancato) che in un certo senso dà la misura dei problemi, della mancanza di feeling e di empatia tra Pirlo, i tifosi blucerchiati, la città e forse anche la squadra stessa. Fischiata la fine della partita, prima di rientrare negli spogliatoi, la Gradinata Sud ha chiamato a sé la squadra perché potesse assaporare da vicino l'ennesima delusione dei venti-e-passa-mila del Ferraris, che in quella domenica - come in tutte le partite precedenti - avevano accompagnato la squadra con tutta grande calore.
L’allenatore, che nei momenti di difficoltà è normalmente un filtro e in alcuni casi persino una figura auto-sacrificale verso l'esterno, semplicemente non ha partecipato. Come non ci fosse stata l'ennesima bruciante sconfitta casalinga, come se i tifosi non fossero esistiti, è rientrato negli spogliatoi senza voltarsi, lasciando una squadra giovane, inesperta, con nessuna esperienza in maglia blucerchiata, in balìa del pubblico. Un gesto che non è passato inosservato. Ai giocatori, ovviamente, non è accaduto nulla di particolare: qualche fischio e qualche insulto. Il solito coro "tirate fuori i coglioni!" e poi tutti a prendersi un tè caldo (o a fumare una sigaretta, visti i racconti dalla Turchia). I giocatori non hanno subìto neanche la classica ramanzina del "capo" ultrà, come ormai si vede sempre più spesso in altri contesti.
La decisione di Pirlo e dello staff di rientrare immediatamente negli spogliatoi, è sembrato a tutti un gesto inequivocabile e pregno di significato, che assume ancora più gravità alla luce delle dichiarazioni della settimana precedente, in cui l’allenatore lamentava il fatto che la squadra soffrisse la pressione della tifoseria nelle partite in casa. Lamentela ai limiti del surreale, considerando che nelle partite precedenti la tifoseria non aveva mai fischiato né tantomeno contestato la squadra. Anzi, l'aveva accompagnata in un'atmosfera di grande festa per lo scampato fallimento e l'arrivo della nuova proprietà.
Al di là del gesto eloquente di Pirlo, il rapporto tra l’ex Juventus e la squadra blucerchiata sembra reggersi su un equilibrio ancora instabile. Era possibile, probabilmente prevedibile, che la magia potesse rompersi, ma questo caso era stato valutato come peggior scenario. Nessuno pensava che la magia non sarebbe mai nata, che non si sarebbe visto ancora nulla di calcisticamente adeguato. Andrea Pirlo sembra avere sbagliato i calcoli. Se è vero che Genova e la tifoseria blucerchiata sono ambienti piuttosto rilassati, le pressioni sono comunque arrivate dall'esterno.
Il fardello delle aspettative
Da un lato la pressione viene dall'allenare la Sampdoria in Serie B, una squadra dal doppio fardello di neoretrocessa quindi favorita e di squadra "storica", dal nome altisonante; dall'altro, dall'irrefrenabile desiderio dei media di tornare a giudicare Pirlo, a deriderlo per ogni difficoltà, a rinfacciargli il titolo della sua tesi - "Il calcio che vorrei" - quando il calcio che vorrebbe resta solo una costruzione teorica. Questa esperienza alla Sampdoria, per molti, non è semplicemente una stagione da allenatore ma è la cartina tornasole per capire se il Maestro abbia o meno la stoffa per sedersi sulla panchina di una big. Non c’era, quindi, una sola spada di Damocle che pendeva su di lui e, a cascata, sull’ambiente sampdoriano, ma ce n'erano ben due. Già dall’estate si sapeva che Pirlo e il Doria sarebbero stati gli osservati speciali della nuova edizione di Serie B.
Andrea Pirlo, come prima cosa, sconta il suo passato da calciatore. L’essere stato uno dei migliori centrocampisti della sua generazione, se non il migliore, non ha certo agevolato la sua carriera da allenatore. Nei giudizi su di lui, spesso piuttosto severi, non si è tenuto conto della sfida che ha dovuto affrontare, letteralmente, fin dall'inizio. Allenare la Juve è difficile per allenatori navigati, figurarsi per un neo-diplomato a Coverciano. Peraltro, l’equazione grande giocatore uguale grande allenatore non sempre funziona.
Su Pirlo, nonostante tutto, non possiamo ancora dare una risposta definitiva: i giudizi su di lui sono troppo influenzati dal suo passato di grande regista, di centrocampista dal piede finissimo e dalla visione periscopica, ma anche di "traditore" passato dall'Inter al Milan e dal Milan alla Juventus. C’è tutto un sottobosco che quasi gode nel chiamarlo Maestro ironicamente, nel dedicargli titoli sensazionalistici - Pirlolandia è un termine che ricordiamo tutti - prima che abbia fatto vedere qualcosa, di buono o cattivo che sia.
Il Pirlo allenatore, per come abbiamo imparato a conoscerlo, è fedele ad alcuni principi tattici ben codificati. Forse anche troppo codificati. Principi che in un certo senso rispecchiano i suoi pregi da campione e che, in particolare, riflettono la calma olimpionica con cui riusciva ad eludere la pressione. È anche per questo, indubbiamente, che alla base del suo calcio c’è sempre lo sviluppo dell’azione dal basso, con il portiere costantemente sollecitato a intervenire nell’azione. Stanare l’avversario per creare superiorità dietro le linee di pressione sarebbe anche un modo intelligente di affrontare la Serie B, un campionato in cui le squadre - almeno in linea di principio - preferiscono un atteggiamento conservativo.
Evidenti problemi tattici
Nell’importare queste idee di gioco a Bogliasco, Pirlo forse non ha tenuto conto effettivamente della rosa a disposizione. In un certo senso, è come se avesse anteposto le sue idee tattiche alle individualità. La Samp, si diceva prima, è andata ad un passo dal fallimento e, fino all’intervento risolutorio di Radrizzani e Manfredi, non era neanche certa di potersi iscrivere al campionato di Serie B. La complessa situazione economica non ha permesso ai blucerchiati di attrezzarsi adeguatamente per affrontare la categoria, quanto piuttosto di guardare a giovani talentosi. Non a caso, la Sampdoria ha una delle rose più giovani del campionato: età media di 24,7 anni per i giocatori scesi in campo finora. Solo lo Spezia ha una rosa più giovane (24,5), ma ha impiegato quattro giocatori in meno rispetto ai blucerchiati.
Se l'età media bassa dei giocatori può essere un vantaggio, perché più malleabili tatticamente, dall'altro lato è un limite per quanto riguarda l'esperienza in campo. Questa lacuna si è vista già dalle primissime partite nella fase di costruzione del gioco. E no - non ci stancheremo mai di dirlo - non è colpa della costruzione dal basso, quanto degli errori individuali sotto pressione. Lo stesso Pirlo non aveva stigmatizzato le leggerezze dei suoi uomini: «Abbiamo giocatori giovani, devono sbagliare per crescere. Dobbiamo dar loro supporto in queste situazioni, loro hanno voglia di migliorarsi. Anche l’autostima sale se affronti un errore».
Errori grossolani come quello contro il Pisa si sono ripetuti più volte (anche se non sempre si sono trasformati in gol) e hanno messo in mostra tutta l'inesperienza dei giocatori di Pirlo nel gestire il possesso davanti alla pressione avversaria. In fondo, tenere la palla dovrebbe essere miglior modo per eludere la pressione e al contempo per impedire all'altra squadra di giocare. Un modo per essere più sicuri. La verità, in questo momento, è un'altra: la squadra di Pirlo è sembrata tutt'altro che sicura nel far circolare la palla dal basso, come se temesse costantemente di perdere il controllo della sfera. A volte basta una leggera pressione per mandare in tilt i meccanismi di costruzione della Samp.
Nonostante tutto, questo non è nemmeno il problema principale. Un altro dei principi codificati del calcio secondo Pirlo, almeno in fase iniziale, prevedeva una linea difensiva piuttosto alta, che richiede ai difensori l'abilità di difendere all'indietro, di scappare per tamponare le ripartenze avversarie. Nessuno dei difensori della Samp ha dimostrato di avere queste caratteristiche e i tentativi goffi di difesa all'indietro sono sotto gli occhi di tutti. La retroguardia della Sampdoria, in questo contesto, si è sempre trovata a rincorrere l'avversario in parità numerica e ha spesso peccato di poca lucidità. Subire gol in ogni singola partita giocata - tredici totali in nove uscite - non può essere un caso.
Se i movimenti della difesa in fase di costruzione e in fase di transizione negativa sono piuttosto chiari e codificati, per quanto malfunzionanti, non si può dire la stessa cosa dal centrocampo in su. Già nell'articolo di presentazione di Pirlo sulla panchina della Juve si notava come l'iniziativa offensiva fosse affidata ai singoli senza particolari indicazioni. Le trame offensive della Sampdoria sono rimesse a Pedrola e a Borini, di fatto i giocatori più tecnici che al momento i blucerchiati hanno a disposizione. Il catalano, arrivato in prestito dal Barcellona, è una delle poche note positive di quest'inizio stagione: è capocannoniere della squadra con tre gol ed è il giocatore che entra più volte in area palla al piede. La sua propensione offensiva è l'arma in più dei liguri.
A dire il vero, i blucerchiati in avanti soffrono soprattutto della mancanza di una prima punta che sia in grado di fare raccordo tra i reparti e di aprire gli spazi ai compagni. In questi fondamentali né La Gumina, né De Luca, né tantomeno Esposito sono particolarmente abili e, fino ad oggi, non si sono dimostrati abili nemmeno nel concretizzare le poche azioni costruite dai compagni. Aggiungendo la mancanza di supporto da parte del centrocampo, tanto in appoggio quanto in inserimento, l'inevitabile conseguenza è che la manovra offensiva della Sampdoria è piuttosto stantia e si riduce, per l'appunto, a sporadiche iniziative personali. Nella foto sotto, ad esempio, si vede bene come i blucerchiati facciano fatica a trovare uno scarico centrale.
Se ciò non bastasse, la Sampdoria tramortita dopo le prime prestazioni non soddisfacenti (per usare un eufemismo) si è trovata costretta ad inseguire i risultati per non perdere la scia dei playoff. Ciò, ovviamente, ha costretto la squadra a giocare con l'obiettivo di guadagnare punti e quindi - forse inconsciamente, forse per scelta tattica di Pirlo - a essere molto più conservativa. Questo atteggiamento, già visto nella trasferta di Como e al Tardini contro il Parma, è stato ancora più evidente nella sconfitta in casa contro il Catanzaro.
Nella partita di Marassi, in particolare, mentre la squadra di Vivarini giocava di fino, la squadra di Pirlo cercava di tamponare le lacune difensive senza però mai riuscirci. Entrambi i gol subiti dai blucerchiati sono frutto sia di gravi errori di posizionamento che di scelte errate, quasi inspiegabili. Inoltre, la rinuncia ai principi tattici visti nelle prime uscite, sembra aver aggravato il problema dello sfilacciamento della squadra, come si può notare dalla grafica sottostante.
Nell'ultima partita di campionato, pareggiata 1-1 ad Ascoli, l'urgenza di un risultato utile ha spinto Pirlo ad abiurare il 4-3-3 per ricorrere al modulo magico, alla panacea di tutti i mali, all'asso nella manica di ogni allenatore italiano in difficoltà: il 3-5-2. Il cambiamento, però, non ha portato frutti. Anche al Del Duca si è visto il solito Doria e il risultato non è stato diverso dai precedenti, con i soliti limiti di tenuta difensiva e di sterilità offensiva. Un gol subito per una marcatura "moscia" e un gol segnato su rigore. Oltre all'aspetto tattico, quello alla Sampdoria sembra mancare anche il lato mentale. C'è grande insicurezza quando si è in possesso del pallone, grande confusione quando si tratta di difendere la propria metà campo e soprattutto una chiara mancanza di concentrazione. I blucerchiati si sono fatti recuperare il gol di vantaggio in ben quattro partite su nove.
Le responsabilità e il futuro
Come sempre nel calcio, la colpa non è certamente imputabile solo e soltanto ad Andrea Pirlo. Come si suol dire "in campo ci vanno i giocatori" e la rosa la allestisce la società (in questo caso, il direttore sportivo Mancini in collaborazione con il direttore tecnico Legrottaglie). Tuttavia, scorrendo i nomi, i giocatori a disposizione del Maestro non sono forse di primissimo livello per la categoria, ma certamente nemmeno da penultimo (potenzialmente ultimo, viste le tre partite da recuperare del Lecco) posto in Serie B. Soprattutto, sembra che Pirlo abbia avuto voce in capitolo in un mercato estivo costruito – come abbiamo già detto, per questioni di necessità - su cessioni importanti, prestiti e svincolati. Sono arrivati Ricci e Borini – suoi fedelissimi nel Karagümrük - e tanti giovani adatti al il suo 4-3-3.
Le lacune restano evidenti sia in campo (Pirlo ha a disposizione tre ali mancine e nessuna di piede destro; tre centrali difensivi in totale e sei terzini per una difesa a quattro; nessun centravanti di livello) che in uno spogliatoio privato di tutti i leader di maggiore carisma ed esperienza nella piazza genovese. Quest'estate, infatti, i blucerchiati hanno rinunciato contemporaneamente al capitano Quagliarella e a tutti i suoi vice: Gabbiadini, Audero, Bereszynski e Augello.
Sono ormai diverse settimane che a Genova si vocifera di un esonero di Andrea Pirlo, che nel caso sarebbe il terzo consecutivo in sole tre stagioni di carriera. Probabilmente, nonostante la situazione disastrosa della Sampdoria, il cambio in panchina non è ancora arrivato anche per la situazione finanziaria. Fino all'omologa del piano di ristrutturazione del debito, emessa dal Tribunale di Genova soltanto lo scorso 13 ottobre, Manfredi e Radrizzani avevano pochissima libertà di movimento e la questione rimarrà comunque complessa almeno almeno fino a un prossimo, fondamentale, aumento di capitale. Inoltre, Pirlo è stata l'unica scelta mediaticamente di rilievo attribuibile alla nuova dirigenza e al duo Mancini-Legrottaglie. Il suo allontanamento sarebbe una grossa sconfitta e l'arrivo di un mister dal nome meno altisonante, restituirebbe un'immagine meno ambiziosa del progetto.
I sampdoriani, a questo punto, cominciano a essere preoccupati. Com'è d'altronde è ovvio che sia. Nessuno a Genova pretendeva il ritorno immediato in Serie A, così come non lo pretendeva la società. La Sampdoria, però, non vince una partita dal 19 agosto (1-2 alla Ternana), ha subito gol ogni partita, non ne ha mai segnato più di uno – con l'eccezione di Terni – e, soprattutto, ha già nove punti da recuperare per l'ultimo posto utile ai playoff e quattro dalla zona salvezza. A questa situazione, si aggiunge lo spettro di avere il mercato bloccato anche a gennaio. In questa situazione, qualcosa dovrà necessariamente cambiare: o i risultati, o l'allenatore in panchina Nel secondo caso, ci potrebbe essere il rischio che Andrea Pirlo cambi addirittura lavoro.
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