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, 11 Ottobre 2023
5 minuti

A Gaza anche il calcio è sotto assedio


Israele e Hamas stanno facendo di tutto per distruggere il calcio nella Striscia.

Il calcio, come ogni altra cosa a Gaza, è ammantato di tragedia. Digitando "Gaza strip football" o “Calcio a Gaza” su Google, nella speranza di avere informazioni sullo svolgimento della Gazan Premier League, la maggior parte dei risultati mi mostra la notizia di un famigerato massacro di quattro bambini, avvenuto il 16 luglio del 2014, a causa di alcuni colpi partiti da una nave da guerra israeliana. Furono quattro tra le 2.251 vittime dei 51 giorni di bombardamenti chiamati Operazione Margine di Protezione. Tra di esse c’è anche Ahed Zaqout, 49 anni, uno dei più grandi giocatori nella storia del calcio palestinese, inspiegabilmente ucciso da un missile mentre dormiva nel suo appartamento. Un attacco mirato, chirurgico, che Israele non ha mai giustificato, proprio come nel caso dei quattro cugini che giocavano sulla spiaggia. Ma secondo le Forze di Difesa israeliane, non ci sono stati attacchi sulla popolazione civile. Delle due l’una.

Le cose sono andate leggermente meglio per Muhammad Khalil Obeid, giovane difensore dell’Al Salah FC e della nazionale palestinese, gambizzato nel 2018 da un cecchino israeliano mentre partecipava alla Grande Marcia del Ritorno. Un proiettile gli ha forato entrambe le ginocchia, mettendo la parola fine al sogno di una carriera da calciatore. Anche il diciassettenne Attallah Fayoumi è stato colpito alle gambe durante la Grande Marcia del Ritorno, ma gli è andata peggio: ha dovuto subire l’amputazione dell’arto. Se possibile ancora più tragicamente assurda la vicenda di Jawhar Nasser Jawhar e di Adam Abd al-Raouf Halabiya, rispettivamente 17 e 19 anni, a cui due soldati israeliani hanno sparato sui piedi, senza alcun avviso e senza alcun motivo, mentre tornavano a casa dall’allenamento nella città di al-Ram, al centro della Cisgiordania.

Tutti questi casi così simili, ovviamente, non sono frutto del caso. L’esercito israeliano sta creando una vera e propria generazione di zoppi tra i giovani palestinesi di Gaza. Secondo un’inchiesta delle Nazioni Unite, 4903 dei 6106 feriti durante la Grande Marcia del Ritorno sono stati colpiti sotto il ginocchio. Di questi, 122 hanno subito un’amputazione. Ma, considerando le condizioni di vita e l’assistenza medica nella striscia di Gaza, anche tra chi ha avuto la fortuna di non perdere un arto, saranno pochissimi coloro che potranno tornare a camminare come prima. Figuriamoci a giocare a calcio, una delle poche distrazioni accessibile a tutti, amata da tutti e che è riuscita a mantenere il proprio ruolo di intrattenimento e di speranza verso il domani durante l’ultimo tragico decennio.

Infatti, la striscia Gaza ospita ben 56 club, distribuiti tra la Gaza Strip League, un torneo a 12 squadre, e due divisioni minori, First e Second League. Le partite vengono giocate negli unici cinque stadi della striscia, tra i quali spicca l’impianto di Rafah, ricostruito nel 2019 dopo essere stato distrutto durante la guerra del 2014. Racchiusi in un'area di soli 360 chilometri quadrati, molti dei club non rappresentano altro che piccoli quartieri claustrofobici ma sono seguiti con grande passione da migliaia di tifosi.

I giocatori del Khadamat Rafah
Il Khadamat Rafah, la squadra migliore dell'ultimo lustro di Gaza Strip Premier League.

Bassil Mikdadi, che gestisce il blog e l'account ex-Twitter di Football Palestine, racconta la passione di Gaza per il calcio e di come resista anche nei più tragici momenti di difficoltà. «Considerando le circostanze e la mancanza cronica di infrastrutture, il livello del calcio palestinese è piuttosto alto», ha detto. «Dal punto di vista sportivo, Gaza ha tratto grandi benefici dall'essere sotto amministrazione egiziana dal 1948 al 1967, avendo assorbito e replicato l'approccio egiziano allo sviluppo dei giocatori e alle infrastrutture sportive». 

Nonostante le limitazioni, molti dei migliori giocatori palestinesi provengono proprio da Gaza. «Nella Gaza Premier League ci sono molti giocatori che spiccano per qualità e che potrebbero passare a campionati di maggior prestigio, ma a causa delle condizioni peculiari in cui sono costretti non ottengono lo stesso tipo di copertura mediatica dei loro omologhi della Cisgiordania», ha detto Mikdadi. «Gaza continua ad essere un focolaio di talenti per calcio palestinese e per il calcio arabo in generale, molti dei migliori calciatori della nostra storia sono cresciuti lì. La nostra Lega produce ancora giocatori di qualità, ma a causa del blocco pochissimi hanno la possibilità di mettersi alla prova su palcoscenici più importanti».

Tuttavia, l’unico margine di crescita “consentito” ai calciatori di Gaza è la West Bank Premier League (WBPL), la massima serie della Cisgiordania, dove ha anche sede la Federazione calcistica palestinese (PFA) e dove si svolgono le partite della nazionale. L’approdo nella West Bank a volte riesce a essere un trampolino di lancio verso verso i club professionistici della Giordania e dell’Egitto o, meta ambitissima, nei ricchi campionati della penisola arabica. A Gaza invece il calcio è ancora quasi totalmente amatoriale: la maggior parte dei giocatori non riceve uno stipendio, ma occasionali bonus mensili che possono variare da un minimo di 50 a oltre 500 shekel, ovvero tra i 12 e i 120€. Invece, grazie ad investimenti locali ed esteri, alla presenza della Federazione affiliata all’Asian Football Confederation e al generale maggior sviluppo economico, la WBPL riesce a garantire stipendi non certamente ricchi in confronto agli standard internazionali, ma quantomeno sufficienti a rendere il calcio un’attività sostenibile.

Tuttavia, per molti abitanti di Gaza che aspirano a giocare in Cisgiordania, le restrizioni di viaggio imposte sia da Hamas che delle autorità israeliane rendono un incubo logistico-burocratico anche il semplice trasferimento da un campionato palestinese all’altro, in due aree distanti 60km. Qualsiasi passaggio da Gaza alla West Bank Premier League può essere compromesso dall’impossibilità di ottenere un permesso di uscita dalla Striscia. «La Federazione Calcistica Palestinese spesso prova a facilitare l’adempimento delle questioni burocratiche, ma Hamas e Israele possono porre un veto al trasferimento», continua Mikdadi. «Accade persino che il blocco imposto a Gaza impedisca ai giocatori di rispondere alla convocazione della nazionale». O, come successe per la finale della Coppa di Palestina del 2016, che Israele rifiuti di consegnare a giocatori e staff i visti necessari per spostarsi tra la Striscia e la Cisgiordania.

È nel calcio, e forse solo nel calcio, che i giovani abitanti di Gaza vedono una potenziale via d'uscita dalla miseria della vita sotto assedio. Ma questo è chiaro anche a chi – da una parte e dall’altra della barricata – pare intenzionato a sfruttare per fini politici la miseria e la rabbia dei ragazzi palestinesi. Mentre i club, i giocatori, i tifosi e gli amanti dello sport in generale cercando di resistere, aggrappandosi al calcio come strumento di pace e di dialogo, chi predilige l’uso della forza e delle armi da fuoco cerca di sabotare il calcio palestinese (sia quello giocato che quello "tifato") con ogni mezzo, con l'obiettivo annichilire le flebili speranze e i pochi momenti di gioia di una popolazione ridotta allo stremo.


Questo articolo è uscito originariamente nel maggio 2021 su Catenaccio, la newsletter di Sportellate. Per ricevere Catenaccio gratuitamente o leggere i numeri arretrati, puoi cliccare qui

  • Genovese e sampdoriano dal 1992, nasce in ritardo per lo scudetto ma in tempo per la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni. Comincia a seguire il calcio nel 1998, puntuale per la retrocessione della propria squadra del cuore. Testardo, continua imperterrito a seguire il calcio e a frequentare Marassi su base settimanale. Oggi è interessato agli intrecci tra sport, cultura e società.

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