Cosa significa l'esonero di Mignani per il Bari?
Una decisione sorprendente che arriva da lontano.
Nella fotografia cinematografica esiste un metodo chiamato panning: si tiene un soggetto fermo, immobile, in una data posizione, mentre tutto ciò che accade sullo sfondo continua a muoversi.
Sono passati 4 mesi dall’11 giugno, da quella pioggia battente che ha innaffiato i 60.000 dello stadio San Nicola e che ha donato l’immagine di un Michele Mignani bagnato fradicio che alza un braccio invocando in maniera quasi apotropaica una chiamata arbitrale che invalidasse il sinistro con cui Leonardo Pavoletti aveva fatto crollare un sogno a pochi secondi dal diventare realtà.
Da quel momento, proprio come accade con il panning, è l’ultima immagine che i tifosi del Bari hanno in testa di Michele Mignani. Come se il ligure fosse rimasto ancora lì, sotto la pioggia, ad aspettare che il tempo tornasse indietro e gli lasciasse la possibilità di trovare un rimedio per neutralizzare il cross di Zappa e il tocco del centravanti.
Ma la realtà è che lo sfondo alle spalle dell’ex tecnico del Modena ha continuato a muoversi. Una nuova stagione è iniziata ma Mignani è rimasto ancora lì, come se queste prime 8 giornate di campionato non gli appartenessero. Fino ad arrivare alla scelta del Bari di rimuoverlo dal proprio incarico come presa di coscienza reciproca, la prima pietra da posare per mettere da parte quella dannata notte dell’11 giugno.
Cosa ha portato il ciclo Mignani a Bari
Nell’estate del 2021 il club biancorosso si trova a dover affrontare il terzo campionato consecutivo di Serie C, decisamente un grosso passo indietro rispetto al progetto iniziale della famiglia De Laurentiis che preventivava un doppio salto dalla D alla B nel giro di due stagioni dopo aver raccolto il titolo sportivo dalle ceneri dei derelitti AS Bari e FC Bari 1908.
Dopo il disastro del ticket Auteri-Romairone, il Bari si affida ad una nuova coppia: Ciro Polito alla direzione tecnica, Michele Mignani in panchina. Le idee sono subite chiare, il nuovo direttore sportivo fornisce all’allenatore reduce da una stagione molto positiva a Modena una squadra adatta al suo 4-3-1-2, Mignani ringrazia e porta a casa la promozione diretta con tre giornate di anticipo in un campionato dominato dall’inizio alla fine e superando il momento più difficile con una vittoria allo scadere contro il Francavilla in un’altra partita giocata al San Nicola sotto una pioggia battente.
La stagione successiva è quella che vede Bari ed il Bari riaffacciarsi in serie B: San Nicola rinnovato e squadra che mantiene la stessa ossatura dell’anno precedente. Mignani non rinuncia al suo rombo a centrocampo ed inizia la stagione proponendo una squadra che vuole arrivare in porta mediante rapide combinazioni centrali al limite dell’area.
Il senso di continuità rispetto a quanto visto nella stagione precedente è ben tangibile, il che alimenta l’entusiasmo della squadra e della piazza: a un inizio di stagione con la testa della classifica presa dopo otto giornate si contrappone una serie di partite senza vittoria che si interrompe a cavallo del ponte dell’Immacolata dove in due partite il Bari trova due vittorie rotonde contro Cittadella e Modena che ne rilanciano le ambizioni in chiave promozione.
Chiuso il girone d’andata con la sconfitta interna contro il Genoa la notte di Santo Stefano in un San Nicola stracolmo (col senno di poi un presagio della notte dell’11 giugno) il Bari nel girone di ritorno trova un ritmo che la fa viaggiare di pari passo con le prime della classe, la squadra trova convinzione ed anche soluzioni alternative al rombo che ci mostrano un Mignani anche stratega, che si discosta dal partigiano 4-3-1-2.
Grazie a questi accorgimenti e le prestazioni sorprendenti di giocatori alle prime armi in serie cadetta come Cheddira, Morachioli, Benedetti e Caprile il Bari resta vicino al sogno promozione fino alla fine ma deve accontentarsi dei playoff come terza classificata.
Era dai tempi della famosa stagione fallimentare del 2014 che un gruppo di giocatori ed un allenatore non entravano in empatia totale con la città: il lavoro portato avanti con sapienza e garbo da Michele Mignani ha creato un’alchimia all’interno dello spogliatoio che aveva alla base un’idea di gioco precisa ed in cui gli interpreti sapevano ciascuno quale contributo dare. Le giocate estemporanee di Botta, le progressioni di Folorunsho e Benedetti, gli scatti in profondità di Cheddira, per citare alcuni esempi, permettevano al Bari di dettare vari contesti tra una partita e l’altra ed anche all’interno della stessa partita. Questo rapporto speciale raggiunge l’apice con le notti del tutto esaurito al San Nicola nel corso dei playoff.
I playoff: l’apice e l’inizio della fine?
Il 3° posto in classifica fa partire il Bari in una situazione di sostanziale vantaggio nei playoff, potendo arrivare in serie A anche con quattro pareggi e giocare sempre per due risultati su tre.
Questa situazione anziché avvantaggiare i biancorossi sembrano essere un freno per una squadra che ha costruito la propria stagione sull’entusiasmo derivante dal non avere l’obbligo di andare in Serie A: ma arrivati a questo punto Mignani e la squadra sembrano come sentire sulla propria testa una responsabilità improvvisa, l’idea che un potenziale exploit si dovesse trasformare in un dovere. Lo si vede nell’atteggiamento della squadra nella prima partita contro il Sudtirol: il Bari non da mai fastidio alla porta di Poluzzi e cerca di giocare per lo 0-0, una scelta che si ritorcerà contro perché allo scadere la formazione bolzanina realizza la rete che rende la partita del San Nicola una sfida da giocare con l’acqua alla gola.
E qui arriva una nuova inversione di rotta: senza avere più nulla da perdere Mignani ritrova la squadra che aveva plasmato in questo ciclo, nonostante l’inferiorità numerica per l’espulsione di Ricci i biancorossi dominano la partita e con un gol di Benedetti nella fase centrale della ripresa trovano il goal che li manda in finale. Arriva la doppia sfida contro il Cagliari, ed ancora una volta il bipolarismo della squadra viene fuori: la formazione di Ranieri passa immediatamente in vantaggio nella gara d’andata ma il Bari risponde con un tiro al bersaglio alla porta di Radunovic che trova premio solo su un calcio di rigore trasformato da Antenucci allo scadere.
Il Bari al San Nicola ha ancora l’inerzia dalla sua parte, ma ancora una volta il vantaggio diventa un peso che nessuno riesce a sostenere, il Bari soffre tantissimo per tutta la partita, fallisce due occasioni in contropiede per poi ritrarsi fino al limite dell’area piccola nei minuti finali e questa storia ritorna da dove l’avevamo iniziata: il goal di Pavoletti e Michele Mignani con il braccio alzato sotto la pioggia.
Come si riparte da una delusione?
In tanti a Bari si sono interrogati su cosa sarebbe successo dopo quel gol di Pavoletti: molti tifosi hanno giurato di non voler più tornare allo stadio per il troppo dolore che quella partita ha comportato, il club è sembrato a sua volta intontito, come un pugile colpito improvvisamente da un montante in un momento in cui la gara sembrava sotto controllo, insomma più che superare una delusione Bari sembrava dover affrontare un lutto. Il silenzio del club, della direzione tecnica e dello stesso Mignani nelle settimane successive a quel Bari-Cagliari avevano il chiaro odore di una difficoltà totale a reagire a quel cazzotto preso. Con quali stimoli si ricomincia da capo, tanto più per restituire alla tifoseria una squadra in grado di giocarsi la serie A e stavolta con l’obbligo di farlo?
Polito e Mignani hanno provato a ricaricare le pile in estate per cercare di rilanciare la sfida ma il tentativo non ha avuto evidentemente successo, a maggior ragione con una squadra da ricostruire tra diverse partenze e giocatori rimasti ma anch’essi consumati mentalmente dall’epilogo della stagione precedente.
Ed oggi siamo qui, a commentare l’esonero di un allenatore che aveva dato alla piazza di Bari quelle emozioni che tanto ama vivere, emozioni che però lo hanno consumato al punto di non essere più in grado di trasmettere nulla di nuovo ad una squadra costruita per fare un calcio neanche nelle sue corde.
L’esonero di Mignani è forse stato il gesto necessario da parte di un club per fare proprio il metodo freudiano di “ammazzare il padre”, una scelta nata dalla necessità di togliere l’immagine di Mignani fermo sotto la pioggia mentre lo sfondo alle sue spalle continua a muoversi. A sostituirlo ci sarà Pasquale Marino, un allenatore che sembra anch’egli soggetto di un panning, quello della sua Udinese di fine primo decennio di questo secolo; riesumare quel 4-3-3 sarà l’inizio di una nuova storia?
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